Vita di Gabriele D'Annunzio
Saggistica
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 1
Top 10 opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Il Vate
Di biografie di Gabriele D’Annunzio, personaggio assai noto, soprattutto per la sua vita fuori da qualsiasi canone, ne sono state scritte innumerevoli, ma a me interessava soprattutto quella di Pero Chiara, scrittore fra i miei preferiti. Il motivo? Considerata la propensione dell’autore luinese a narrare, nel contesto delle piccole realtà, di avventure spesso boccaccesche, ho pensato, non a torto, che un protagonista della storia come D’Annunzio dovesse anche essere visto sotto l’aspetto che forse più l’ha caratterizzato, cioè quell’insaziabile appetito sessuale che ha contraddistinto tutta la sua vita. Non crediate, però, che il libro indugi solo sulle numerose avventure galanti del Vate, perché invece fornisce anche un quadro puntuale ed esauriente di uomo che fece di se stesso un vero e proprio mito. Se 447 pagine sembrano tante, sono invece appena sufficienti per una biografia di un personaggio poliedrico come D’Annunzio, e comunque prescindono da una disamina della sua arte letteraria, che non era nelle intenzioni di Chiara e per la quale si limita di tanto in tanto a degli incisi, quasi sempre non benevoli, o riferendo degli insuccessi di rappresentazioni teatrali, o accennando al vizietto che aveva di scopiazzare. Ne desumo, pertanto, che il D’Annunzio letterato non fosse particolarmente apprezzato dal biografo, e del resto, al riguardo, la critica non è concorde, passando dall’esaltazione alla stroncatura. Credo, tuttavia, che la vita del poeta, narratore e drammaturgo pescarese possa influire non poco sul giudizio delle sue opere, in cui sovente si riflettono alcune delle tante esperienze vissute.
Ciò premesso, posso dire che giunto, non con fatica, ma anzi con piacere all’ultima pagina, il lavoro di Chiara è riuscito assai bene e fa emergere la figura, per certi versi straordinaria, di un uomo che fece di se stesso un mito. E pensare che era un tipo volubile, gran bugiardo, spendaccione oltre misura e sempre inseguito dai creditori (vizio di famiglia questo), del tutto amorale, ossessionato dal rapporto sessuale al punto che, in tarda età, per poterlo praticare dovette ricorrere a sostanze stimolanti come la cocaina. Ma D’Annunzio è anche l’uomo un po’ anarcoide, nazionalista, ma non fascista, che si gettò nella prima guerra mondiale con un entusiasmo, mai scemato, che lo portava a sfidare la morte con atti eroici; al riguardo, non si trattò solo del volo su Vienna o della beffa di Buccari, ma anche di ripetute azioni sul fronte che, se magari non arrecavano danni consistenti al nemico, avevano però il pregio di galvanizzare i nostri soldati. Fu anche ferito (perse un occhio), ma non in episodio bellico, bensì in uno sfortunato atterraggio del suo aereo. Da questa sua partecipazione al conflitto trasse ulteriori fama e onori, con promozioni, medaglie d’argento e anche una d’oro, e altri riconoscimenti degli alleati, tutte cose a cui teneva in modo particolare, essendo un gran vanitoso, tanto che mi è sorto il dubbio che certe imprese fossero motivate unicamente dal desiderio di gettare ulteriore benzina sul fuoco del mito. Poi, come in ogni essere umano, poiché la vita è una parabola, dopo il vertice raggiunto con la questione fiumana, assai ben delineata da Chiara, iniziò la fase discendente, il ritiro a Gardone nella bella villa, i continui foraggiamenti di Mussolini, che lo temeva, vedendo in lui un possibile avversario, e infine l’inesorabile e malinconico declino, chiuso nella sua prigione adorata, come sempre attorniato da una corte di donne, ma sempre più l’ombra di se stesso, fino alla morte, che avvertiva vicina, avvenuta a seguito di un aneurisma cerebrale. Ma il Mito non doveva finire ed ecco allora il suo desiderio, puntualmente realizzato, di far diventare la sua dimora (il Vittoriale) un museo mausoleo, ancor oggi meta di numerosi turisti e curiosi.
Vita di Gariele D’Annunzio è un buon libro, scritto in modo scorrevole, mai greve, punteggiato qua e là dall’ironia dell’autore che, pur tuttavia, accompagna le ultime pagine con un sincero senso di pietà, poiché con il degrado fisico dovuto all’età il SuperUomo D’Annunzio diventa l’uomo che se forse non teme la morte, avverte ogni giorno l’approssimarsi della fine, l’ineluttabilità di un destino comune a tutti gli esseri viventi. Corredato dall’indicazione di tutte le fonti l’opera di Chiara assume una valenza storica che riesce anche a farci meglio comprendere quel periodo di fine ‘800 e di inizi ‘900 in cui una vecchia struttura sociale credeva di allontanare da sé lo spettro della sua imminente scomparsa gettandosi nel più ampio appagamento dei sensi e che la Grande Guerra spazzerà via. Il miglior rappresentante di questo stile di vita non poteva che essere D’Annunzio, un uomo che al termine dei suoi giorni non deve aver potuto nemmeno pensare che la sua esistenza fosse stata fatta solo di monotonia. Ha amato tanto, anche troppo, ma negli ultimi anni era sostanzialmente solo, come probabilmente solo aveva condotto la sua vita, fatta solo di passioni sfrenate e di soddisfazioni carnali, senza la tranquilla presenza di un autentico affetto.
Da leggere.