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Una vita come le altre Una vita come le altre

Una vita come le altre

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«Ci sono stati altri casi di malattia mentale nella vostra famiglia?». Comincia così, con la domanda di un assistente sociale dello Yorkshire, questo straordinario, commovente viaggio interiore di Alan Bennett. Siamo nell'istituto psichiatrico dove l'anziana madre è stata ricoverata per una grave forma depressiva - così almeno viene definita. Comunque sì, ci sono stati altri casi in famiglia, ma lui non lo aveva mai saputo. E’ il padre a svelare per la prima volta, in un atto burocratico e liberatorio, la fine drammatica e segreta del nonno di Bennett, e a indurlo a esplorare le storie nascoste e dimenticate degli altri parenti. Ma come si distingue la malattia mentale dalle manie, dalle fobie, dal silenzio, dall'infelicità? Da parte di uno scrittore che in passato non poteva «neanche togliersi la cravatta senza prima far circondare la casa da un cordone di polizia», un libro come questo è un dono prezioso e inaspettato. Solo di recente, infatti, Alan Bennett ha sentito il bisogno di dedicarsi a quell'attività vagamente disdicevole che è lo scrivere di sé. Cambiando tonalità, forse, rispetto agli scritti esilaranti e feroci che gli hanno dato la celebrità, ma sempre con lo stesso sguardo acuminato e instancabile. Uno sguardo di un'onestà dolente, poco caritatevole soprattutto verso le sue manchevolezze. E l'umorismo? Sotteso - o forse sospeso - in ogni pagina come uno strumento di interpretazione insostituibile, col quale ci si può destreggiare anche fra le tragedie della vita e della senilità.



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Una vita come le altre 2012-02-06 20:07:08 Ally79
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Ally79 Opinione inserita da Ally79    06 Febbraio, 2012
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La famiglia

Alan Bennett ha il coraggio e l’orgoglio di aprirci la porta principale della sua casa,lasciandoci vagare indisturbati tra stanze piene di ricordi di vita.
Una famiglia semplice,genitori umili e schivi,custodi di tempi oramai trascorsi e in parte dimenticati:”mamma e papà”cosi si appellavano vicendevolmente in quello che appare come un giustificato impeto di orgoglio e affetto verso i due figli messi al mondo.
Ignoravano cosa fosse un cocktail,possedevano i vestiti quelli “buoni” da indossare solo nelle occasioni speciali,non parlavano mai male di nessuno,il sesso rappresentava un segreto che solo alla camera da letto era concesso conoscere,vivere e scoprire.
Ci troviamo immediatamente immersi in un mondo che nulla ha da condividere con il nostro,che,al massimo,richiama alla mente l’eco lontana delle voci dei nostri nonni,ma indifferenti a questa estraneità,ci scopriamo a rimpiangerlo.
L’ironia accompagna buona parte del libro anche laddove ci si immerge nella intimità dei problemi psichiatrici che accompagnano queste vite:un nonno suicida,una nonna e una zia affette da demenza,la madre sofferente di una depressione che si trasforma in Alzheimer,mi vien da pensare in un ultimo,scoraggiato tentativo, di dimenticare quel male dentro.
Nonostante temi cosi delicati e,quasi per loro stessa sostanza tendenti alla tragicità,non ci ritroviamo in una storia triste.Tutt’altro.
A tal punto da farmi interrogare su come l’autore riuscisse a portarci nella sua esistenza con un tono si pieno di affetto ma a tratti distaccato,divertito e quasi cronologico.
Poi ho compreso,ma forse è più corretto dire ipotizzato,che fosse frutto della necessità:un trasporto eccessivamente emotivo avrebbe reso difficile questa stesura.
Solo nelle ultime pagine Bennett consente che a scrivere sia il figlio e non l’autore.
Ed è qui che nello sguardo disperatamente cercato e quasi rubato di una madre che non riconosce più il volto del figlio,straziante e poetico si fa strada l’amore viscerale di un uomo che ha talmente amato la sua famiglia da volerne condividere con noi l’intero cammino.
Un libro dal sapore antico,ma a ben rifletterci nulla è più attuale,contemporaneo e mi auguro eterno di una famiglia.

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