Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso Vajont
Saggistica
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Sulla pelle viva
«... La storia del “grande Vajont”, durata vent’anni, si conclude in tre minuti di apocalisse, con l’olocausto di duemila vittime ...»
Questa frase, tratta da “Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso Vajont” di Tina Merlin, riassume perfettamente il libro e la storia che in esso viene raccontata con la rabbia e la caparbietà di chi ha provato in tutti i modi di gridare, invano, la verità. Di aprire gli occhi alla gente e alle istituzioni puntando i riflettori su una strage annunciata, che si è consumata il 9 Ottobre 1963.
E’ un libro di denuncia e io l’ho letto tutto d’un fiato non perché avessi fretta di conoscerne il finale, quello purtroppo è ben noto a tutti, ma per capire fino a che punto possono arrivare gli uomini a ignorare l’evidenza di un’imminente catastrofe pur di tutelare i propri interessi.
Indicazioni utili
la Storia...
Ho scoperto Tina Merlin a 15 anni, quando Marco Paolini ne parlò nel suo “Racconto del Vajont”, il 9 Ottobre 1993.
Sapevo della frana, dell’onda che ha spazzato via Longarone, Pirago, Maè, Villanova, Rivalta, Longarone.
Mia madre mi raccontava che per anni erano rimaste le “cose” di Longarone sugli alberi, nel greto del Piave. Era bambina, ma ricorda bene, così come mio padre. Il Piave scorre vicino a casa nostra. Quando mormora, di sicuro non è ne calmo, né placido. Fa paura, il Piave, quando è gonfio e nero. Pretende rispetto. Ma la “gentaglia” che ha voluto la diga, di rispetto non ne porta. Non agli abitanti di Erto e Casso, dove sorge la diga. Non a quelli di Longarone, che si ritroveranno in mezzo al binario di quel treno impazzito che sarà l’onda. Nessun rispetto infine, per la montagna che stanno violando e che scatenerà la sua furia.
Tina Merlin è una cronista, racconta i fatti, li pubblica, prima e anche dopo la catastrofe, prendendosi insulti e raccogliendo odio. L’accusano di speculare sulla tragedia, sulla “disgrazia”, sulla “disgraziata fatalità”. Ma i tribunali le daranno ragione: nessuna fatalità, solo agghiacciante premeditazione e prevedibilità. Chi aveva il potere di fermare tutto, sapeva dell’enorme frana del Toc. Ma i soldi erano spesi e c’era da vendere all’Enel quell’impianto, spacciato per funzionante, al miglior prezzo. Tina Merlin racconta la costruzione della diga, la guerra dei contadini conto la grande SADE.
La lucidità, la chiarezza, la puntualità di ciò che scrive è angosciante. Sopratutto quando sai che a pagare con la vita saranno duemila persone.
Bisogna rendere onore a questa cronista che mostra i fatti “dal punto di vista dell’ aquila”, dal punto di vista di chi è in alto e vede la situazione in tutta la sua ampiezza, raccontandola senza inutili fronzoli linguistici.