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Sonderkommando Auschwitz Sonderkommando Auschwitz

Sonderkommando Auschwitz

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"Tutto mi riporta al campo. Qualunque cosa faccia, qualunque cosa veda, il mio spirito torna sempre nello stesso posto... Non si esce mai, per davvero, dal Crematorio." Sono parole di Shlomo Venezia, ebreo di Salonicco, di nazionalità italiana; è uno dei pochi sopravvissuti del Sonderkommando di Auschwitz-Birkenau, una squadra speciale selezionata tra i deportati con l'incarico di far funzionare la spietata macchina di sterminio nazista. Gli uomini del Sonderkommando accompagnavano i gruppi di prigionieri alle camere a gas, li aiutavano a svestirsi, tagliavano i capelli ai cadaveri, estraevano i denti d'oro, recuperavano oggetti e indumenti negli spogliatoi, ma soprattutto si occupavano di trasportare nei forni i corpi delle vittime. Un lavoro organizzato metodicamente all'interno di un orrore che non conosce eccezioni: il pianto disperato di un bimbo di tre mesi, la cui madre è morta asfissiata dal gas letale, richiama l'attenzione del Sonderkommando, lo scavare frenetico tra i corpi inanimati, il ritrovamento e subito dopo lo sparo isolato della SS di guardia che ammutolisce per sempre quel vagito consegnandolo alla storia. Per decenni l'autore ha preferito mantenere il silenzio, ma il riaffiorare di quei simboli, di quelle parole d'ordine, di quelle idee che avevano generato il mostro dello sterminio nazista ha fatto sì che dal 1992 abbia incominciato a parlare, e quei racconti sono la base della lunga intervista che è all'origine di questo libro. Questa testimonianza è l'antidoto a ogni follia negazionista. Il lucido e onesto racconto di quest'uomo oggi ottantatreenne è la forma più nobile di omaggio alle vittime di ieri: la memoria.



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Sonderkommando Auschwitz 2018-04-16 16:50:45 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    16 Aprile, 2018
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Sonderkommando

«”Cosa vuol dire Sonderkommando?”
“Comando Speciale.”
“Speciale perché?”
“Perché lavoriamo nel Crematorio… dove la gente viene bruciata.» p. 70

I Sonderkommando erano delle unità speciali composte da deportati che, a seguito del superamento di una selezione, venivano destinati al lavoro all’interno dei forni crematori. Ciclicamente questi venivano sostituiti e brutalmente uccisi dalle SS onde evitare di lasciare testimoni di quelle atrocità a cui le stesse vittime erano chiamate ad assistere e partecipare. Questi individui, dalla costituzione fisica e psicologica abbastanza forte, vivevano in baracche separate rispetto a quelli degli altri prigioni e in condizioni di vita leggermente migliori rispetto alla fame e al freddo a cui siamo abituati immaginare le condizioni dei lager (della serie, una branda non condivisa a testa o la certezza di un tozzo di pane rispetto alle ristrettezze degli altri condannati, e tutto al fine di evitare “fughe di notizie”. Attorno alla loro figura vigeva un grande alone di mistero, nessuno sapeva di cosa si occupavano questi, nessuno doveva scoprirlo o apprenderne notizia in qualsiasi modo). È anche per questo motivo che spesso e volentieri i membri di questa unità sono stati criticati. Molti si sono chiesti perché non abbiano tentato una fuga, perché non abbiano tentato di ribellarsi, e in questo Shlomo, è magistrale nello spiegarsi: semplicemente perché non sarebbe servito a nulla. Chi si rifiutava veniva ucciso, se non ti rifiutavi eri comunque destinato a morte certa visto che trascorso un determinato lasso di tempo seguiva una nuova “selezione” con “eliminazione” del precedente comparto. Perché comunque, anche tentando di ribellarti il risultato non lo avresti ottenuto, saresti stato soltanto ucciso seduta stante e sostituito da un altro recluso. E anche di questo l’autore ci illustra i motivi in quello che è un intero capitolo dedicato ad un tentativo di sovversione del Sonderkommando e di tutti i crematori. Ribellione, inutile a dirsi, fallita. Continua così il dolore, la presa visione di un male costante e perpetuo che non aveva fine. Continua così il contatto inarrestabile con la morte. A cui si è costretti. Perché non basta il dolore della prigionia, perché non basta l’agonia della condizione in cui si è relegati, a questo va aggiunto anche l’obbligo di far parte di quel macabro disegno di eliminazione. Seppur non volendo. Seppur rifiutandosi. Seppur essendovi forzati. Significative le sue parole:

«Fino a quel momento mi ero in qualche modo vietato di pensare a cosa stava succedendo; bisognava fare quello che ci ordinavano come degli automi, senza riflettere, ma vedendo quel corpo bruciare mi ritrovai a pensare che i morti avevi forse più fortuna dei vivi: non erano più obbligati a subire questo inferno in terra, a vedere la crudeltà degli uomini» p. 79

Cosa dovevano fare quindi gli uomini del Sonderkommando? Semplice, dovevano accompagnare i deportati appena arrivati con i convogli nelle camere a gas, dovevano invitarli a spogliarsi, calmarli se necessario facendogli anche capire che rivoltandosi o far attendere i tedeschi avrebbe significato prenderne di santa ragione, anche a morte, e poi dovevano condurli in quella sorta di docce comuni da cui in realtà usciva il prezioso gas letale. Dopo seguiva la ricerca di denti d’oro, di beni preziosi di vario genere e il taglio di capelli, soprattutto le trecce, e che venivano utilizzati per oggetti da appartamento come pantofole o moquette. Concluse queste operazioni si procedeva con la cremazione o nei forni o nelle fosse a seconda del numero di “pezzi” disponibili al momento.
“Sonderkommando Auschwitz” è questo: un perfetto resoconto, veritiero e conciso, autentico e forte, di quelle atrocità che furono le protagoniste degli anni più bui della storia umana. E Shlomo Venezia, non ha mancato di rendere testimonianza di quanto accaduta. Egli era affetto dalla “malattia dei sopravvissuti” e per tutta la sua esistenza ha dovuto far fronte e far i conti con quel senso di colpa che l’esperienza nei campi gli ha comportato. Per far fronte a questo ha parlato nelle scuole, ha combattuto con ogni gioia che si affacciava nella sua realtà, ha mantenuto il silenzio ma ha lottato contro chi non voleva credere a quanto successo in quei luoghi di distruzione, ha scritto e scritto, ha lasciato una testimonianza essenziale e fondamentale affinché quanto già accaduto non riaccada. Perché come disse Primo Levi:

«È avvenuto quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire. Può accadere, e dappertutto… Occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare dagli incantatori, da quelli che dicono belle parole non sostenute da buone ragioni»

Un libro che nasce dalla lunga intervista rilasciata dallo scrittore a Béatrice Prasquier e che è riportato nell’edizione italiana come un lungo racconto, senza i quesiti posti dalla donna. A completare il quadro non mancano vere e proprie foto dell’epoca nonché le immagini di David Olére a sua volta membro del Sonderkommando di Birkenau.
Uno spaccato, un’analisi analitica, che nulla cela e nulla nasconde, una diversa e più approfondita visione di uno dei temi più delicati di sempre, uno degli argomenti che soprattutto i più giovani dovrebbero acuire.

«Mi dà conforto sapere che non parlo nel vuoto, perché testimoniare rappresenta un enorme sacrificio. Riporta in vita una sofferenza lancinante che non mi lascia mai. Tutto va bene e, d’un tratto, mi sento disperato. Appena provo un po’ di gioia, qualche cosa mi si blocca dentro; la chiamo “la malattia dei sopravvissuti”. Non si tratta di tifo, tubercolosi o di altre malattie. La nostra è una malattia che ci rode dal di dentro e che distrugge ogni sentimento di felicità. Ce l’ho dal tempo della sofferenza nel campo e non mi lascia mai un momento di felicità o di spensieratezza, è uno stato d’animo che logora le mie forze continuamente.» p. 177

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Sonderkommando Auschwitz 2011-11-15 19:28:41 Nadiezda
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Nadiezda Opinione inserita da Nadiezda    15 Novembre, 2011
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Squadre speciali

"Non si esce mai, per davvero, dal Crematorio" parole forti, quasi un grido di disperazione di un autore che ha vissuto questo dramma come protagonista.
Il suo libro è una testimonianza unica di quello che accadeva nelle camere a gas, di come venivano trattate le vittime fino all'arrivo dei corpi senza vita al forno crematorio.
Gli uomini, del "Sonderkommando" ovvero "Squadre Speciali", venivano selezionati tra i deportati del campo con lo scopo di annientare il prossimo, talvolta anche i parenti stessi.
Queste squadre speciali erano incaricate ad accompagnare i prigionieri nelle camere a gas, li facevano svestire e terminata la gassazione si preoccupavano di tagliare i capelli alle donne e di togliere tutti i denti d'oro, infine, i corpi venivano trasportati fino ai forni per farne sparire i resti e per evitare le epidemie.
Per molti anni Shlomo ha preferito tenere tutto questo orrore dentro di se perchè molte volte quando narrava degli episodi lo credevano pazzo.
Poi però ha deciso di far scoprire al mondo dei fatti di cui nei libri non si parla in maniera così cruda ed esplicita.

Mi è molto piaciuto, perchè lo scrittore è riuscito a raccontare la tragedia vissuta ed anche perchè si è costruito una nuova vita con una famiglia che gli vuole bene.

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agli amanti degli episodi accaduti nei campi di lavoro e di sterminio della Seconda Guerra Mondiale
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Sonderkommando Auschwitz 2011-02-11 16:54:15 Stefp
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Stefp Opinione inserita da Stefp    11 Febbraio, 2011
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Sonderkommando Auschwitz

Birkenau. Il Sonderkommando; le vittime fatte complici, obbligate ad aiutare i carnefici nel più orribile compito. Persone, uomini, che accompagnano altri uomini, donne, bambini, nelle camere a gas, le aiutano a spogliarsi, lasciano intendere che è una doccia che li aspetta. Pianti, vergogna, paura. Poi il gas. Urla, gemiti, urla. Poi silenzio. Poi tagliano capelli, tolgono denti d'oro dai cadaveri. Svuotano la sala, puliscono pavimenti e pareti dai liquidi organici lasciati nella lunga agonia, respirano l'orrendo tanfo della morte cruenta. Poi trasportano quei poveri corpi, scivolosi, nel crematorio e li bruciano. Odore di carne cotta, bruciata. Tutti i giorni per ore e ore. Questo è stato.
Poi, ciclicamente, per non lasciare testimonianze, il ricambio, la morte, fisica. Quella dell'anima è già avvenuta. Vittime più volte.
Shlomo Venezia è uno dei pochissimi sopravvissuti dei Sonderkommando e dopo tanti tanti anni è riuscito a raccontare tutto questo.
Un libro che lascia senza fiato, sconvolti, stremati.

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Sonderkommando Auschwitz 2010-12-30 10:27:49 Jan
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Jan Opinione inserita da Jan    30 Dicembre, 2010
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La salamandra.

Ho avuto l'onore di ascoltare Shlomo Venezia al S. Raffaele tre anni fa.
Il tema della sua conferenza era testualmente:"Sopravvivere all'inferno attraverso una vaga speranza".
La sala 4 era gremita.
Shlomo Venezia ha raccontato l'esperienza del Sonder con la tranquillità degli angeli e la pace dei giusti.
Forse il libro è stato, deduco, composto antecedentemente a questa elaborazione.
Non è un testo per tutti, ma non per la drammaticità che può turbare, e turba, in tanti palpiti sopiti.
Non è per tutti perché in molti, oggi, concepiscono la Shoah come qualcosa di irripetibile.
Mentre Shlomo è convinto, lui che è passato dagli inferi come la salamandra di Katzetnik, che tutto possa ricominciare.
Oggi.
Alla fine della conferenza Venezia ed io ci siamo incontrati.
Mi ha firmato il libro con una dedica che dice...

Ma no...questo non interessa a nessuno.

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Letteratura ebraica del Galut.
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Sonderkommando Auschwitz 2009-11-30 23:29:44 katia 73
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katia 73 Opinione inserita da katia 73    01 Dicembre, 2009
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Sonderk. Auschwitz

Ho letto parecchi libri di testimonianze di sopravvissuti all'olocausto e ai campi di concentramento ma sicuramente questo è quello che mi ha colpito maggiormente, il più crudo di tutti forse perchè Shlomo viene assegnato alle camere a gas e lui non vede solo la sua morte in faccia ma quella di tutte le persone che accompagna e non risparmia al lettore neppure il più macabro dettaglio. Non posso negare di aver fatto un pò di fatica a leggerlo in certi punti ma sono contentissima di averlo finito ne vale veramente la pena una testimonianza unica leggetelo!

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Sonderkommando Auschwitz 2008-06-12 08:34:31 Maristella
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Opinione inserita da Maristella    12 Giugno, 2008

La testimonianza

L’istituzione delle unità speciali denominate Sonderkommando fu il più grave delitto commesso dal nazionalsocialismo in quanto le SS, attraverso questi reparti singolari, nati all’interno dei Lager, cercarono di scaricare ( se non anche di condividere) il crimine, con le loro stesse vittime”, così scrisse Primo Levi. Molti storici e diversi deportati avvalorarono questa tesi ed ebbero anche parole eccessivamente aspre nei confronti di chi si trovò, suo malgrado, costretto a farne parte. Lo stesso Levi li battezzò ingiustamente e forse un po’ superficialmente “ I corvi neri del Crematorio”. Gli uomini dei Sonderkommando subirono l’accusa di non aver tentato una ribellione che avrebbe sì portato alla morte sicura, ma sarebbe stata una sorte preferibile agli orribili compiti che venivano loro imposti con una violenza ed una ferocia disumana. Alcuni di loro tentarono di resistere al crescente orrore, altri non furono capaci di reggerne il peso e si suicidarono, ma la maggioranza di essi, perdendo ogni inibizione etica, sviluppò una forma di apatia che, robotizzando ogni azione ed annullando ogni pensiero cosciente, annichilì ogni umana emozione. Era questo l’unico modo per trovare scampo in quel terribile inferno in cui erano stati gettati.

I Sonderkommando vennero attivati in tutti i campi di sterminio nazisti. Sono pochi i sopravvissuti (solo dodici quelli attualmente viventi in tutto il mondo), perché i suoi appartenenti venivano uccisi dai tedeschi ciclicamente, al fine di non lasciare testimoni dell’agghiacciante sterminio compiuto.

Ma cos’ erano esattamente i Sonderkommando?

I membri di queste unità venivano selezionati tra i deportati, immediatamente dopo il loro arrivo al campo. Si trattava in genere di individui giovani e di costituzione fisica piuttosto forte in quanto i compiti a cui venivano destinati erano oltremodo duri e difficilmente tollerabili. Essi vivevano in baracche separate da tutti gli altri prigionieri, per evitare fughe di notizie e venivano trattati “meglio” degli altri, assegnando loro maggiori quantità di cibo, di indumenti e talvolta rifornendoli di alcolici e sigarette che li aiutassero a sopportare le mostruose ma indispensabili incombenze che erano tenuti ad eseguire.

Gli uomini del Sonderkommando dovevano: accompagnare i deportati verso le camere a gas senza lasciar trapelare la verità, anzi cercando di tranquillizzarli per evitare panico e rivolte, aiutarli a svestirsi e accompagnarli all’interno dei locali camuffati da docce comuni. Si trattava di un’ingente quantità di persone: nel Krematorium 2 di Birkenau ad esempio ogni camera a gas era capace di contenere 1400 “pezzi”( così erano considerate le persone umane) ma ne venivano fatti entrare più di 1700 per volta, per sveltire le operazioni. Una volta che le SS completavano l’eccidio, dovevano rimuovere i corpi dalle camere e trasportarli verso i forni crematori che erano perennemente in funzione. Le ceneri venivano poi disperse e i resti umani ulteriormente sminuzzati. Prima della cremazione dovevano provvedere al taglio dei capelli delle donne ( capelli che venivano usati nella fabbricazione di tappeti, moquette o di pantofole) e all’estrazione dei denti d’oro dai cadaveri ( oro che veniva fuso ed utilizzato per la causa del Reich). Verso la fine del conflitto vennero impiegati per smantellare tutto l’apparato usato nello sterminio, compresa la demolizione di fabbricati e ciminiere e l’incenerimento in roghi all’aperto dei corpi che non era stato possibile cremare.

Shlomo Venezia, italiano nato a Salonicco, è uno dei pochi uomini che è riuscito ad uscire vivo da un Sonderkommando. I suoi occhi hanno visto accadere cose inenarrabili e talmente inverosimili che difficilmente erano credute possibili. Shlomo era tormentato dalla “malattia dei sopravvissuti”, quel senso di colpa nell’essere riuscito a conservare la vita. Ogni tipo di gioia che accennava ad affacciarsi nella sua anima veniva istantaneamente sostituita da una disperazione profonda e da una tormentosa e lancinante angoscia. La sua vita, dopo quell’esperienza, era assolutamente non godibile. Per anni Shlomo Venezia mantenne il silenzio e il dolore dentro di sé fino a che dei fatti di cronaca avvenuti a Roma, agli inizi degli anni ’90, riportarono in luce simboli, idee e parole chiaramente antisemite. Così, dal 1992, Shlomo incominciò a raccontare, per allontanare lo spettro di una follia che sembrava far riemergere i fatti accaduti in Germania nel 1933, quando, come prima avvisaglia di ciò che poi avvenne, vi fu l’ostruzionismo e il boicottaggio delle attività commerciali gestite da ebrei. Il libro nasce da una lunga intervista filmata rilasciata a Béatrice Prasquier, studiosa di scienze politiche, elemento al centro del mondo universitario ebraico francese ed è a cura di Marcello Pezzetti ed Umberto Gentiloni, con prefazione di Walter Veltroni. E’ illustrato, inoltre, con alcune significative tavole di David Olére, artista anche lui appartenuto al Sonderkommando di Birkenau. E’ un libro di una grande integrità ed onestà morale, di grande correttezza e franchezza. Shlomo Venezia si limita a descrivere tutto quello che lo ha visto come diretto testimone, senza reticenza, esponendo i fatti nudi e crudi, senza commenti di sorta e senza indugi su nessun macabro particolare. Nonostante tutto, il quadro che trasmette è nitido e accurato: è un pugno nell’anima. A tutt’oggi, con un grande sforzo, continua a riaprire una ferita pulsante per far sì che l’orrore non venga mai dimenticato. E’ tornato più volte a Birkenau per far fede alla sua missione e dare la sua preziosa testimonianza ai giovani delle scuole, agli insegnanti di storia, alle organizzazioni ebraiche e cattoliche, alle scuole di partito, alle commissioni episcopali ed alle stesse guide di Auschwitz. E lo ha fatto per noi, per tutti noi. “ Credo nell’amore” dice Shlomo e dai suoi racconti, immersi nel raccapriccio e nella prevaricazione più atroce, affiora un vero e proprio inno alla vita e alla voglia di viverla a qualunque costo. “Essere vivo dentro l’inferno, vivere l’inferno da vivo. E raccontarlo oggi perché quell’esperienza resti nella memoria di tutti”. Viene voglia di inginocchiarsi e di chiedere perdono per ciò che la Storia ha fatto, spezzando crudelmente tante vite innocenti. Shlomo Venezia ci ha lasciato, con la sua preziosa testimonianza, un’arma che ci offre la possibilità di risvegliare le coscienze e di combattere strenuamente affinchè tutto ciò non possa essere mai più ripetuto.

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Sonderkommando Auschwitz 2008-03-10 09:19:49 Mara
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Mara Opinione inserita da Mara    10 Marzo, 2008
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Per non dimenticare...

Per decenni l'autore ha preferito mantenere il silenzio, ma il riaffiorare di simboli, parole ed idee che avevano generato il mostro del periodo più buio della nostra storia, ha fatto sì che dal 1992 abbia incominciato a parlare, e quei racconti sono all'origine di questo libro. Questa testimonianza è l'antidoto a ogni follia negazionista è la forma più nobile di omaggio alle vittime di ieri: la memoria. Un grazie a Shlomo Venezia, che con la sua vicenda umana ci aiuta a non dimenticare. Buona lettura:)

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