Settimane bianche e crociere a costo zero
Saggistica
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L'importanza della memoria
Se è inevitabile che nella grande Storia si perdano le piccole storie degli uomini, è però possibile che queste ultime spesso riescano a emergere in virtù di quell’innato desiderio umano di raccontare di sé, degli altri e per gli altri.
È così che si sono salvate dalle nebbie della dimenticanza anonime storie che altrimenti non avremmo mai conosciuto, per il semplice ma pur straordinario fatto che qualcuno abbia deciso di raccontare le proprie o le altrui vicende. La scrittura, in quanto scrigno di una oralità forte ma pur sempre fragile, resta uno strumento fondamentale per preservare e tramandare storie e memorie. Del resto, nemmeno di Ulisse avremmo avuto notizia, se i poemi omerici non fossero stati fissati per iscritto; così come quello della giovanissima Anna Frank sarebbe stato solo uno fra i tanti milioni di nomi finiti purtroppo nelle liste dello sterminio nazista, se lei stessa non avesse scritto il suo celebre diario. E che dire di Emilio Lussu o di Primo Levi, solo per citare a caso due personaggi che ci hanno trasmesso testimonianze fondamentali che leggiamo ancora oggi?
Anche quella di Tommaso Mondelli è una piccola storia, una delle innumerevoli di cui brulica la Storia italiana del Novecento. Una storia semplice, di ordinaria quotidianità e, a tratti, di altrettanta drammaticità nel bel mezzo di quell’immane delirio che fu il secondo conflitto mondiale. Le pagine di questo libro sono dense di una narrazione particolareggiata che espone la vicenda personale del protagonista senza scinderla dai contesti storico-politici che le fanno da sfondo.
Sono anni non facili quelli nei quali si muove quel giovane uomo, figlio di una Italia contadina e operosa che ascolta alla radio i discorsi di Palazzo Venezia e osserva incuriosita i fasti di un rinnovato impero, sognando di correre anch’essa veloce a bordo di quei treni dalla tanto decantata puntualità. Anni di autarchia, di leggi razziali e del “Taci! Il nemico ti ascolta”, a cui non tarderanno ad aggiungersi le corse ai rifugi antiaerei e il razionamento alimentare, se non la fame più nera. E il conto di una guerra imposta a tutti dalle scellerate decisioni di pochi non si sarebbe di certo esaurito così.
Partito dapprima per l’assolvimento del servizio di leva, Tommaso vedeva nella carriera militare un futuro lavorativo in condizioni di relativa stabilità quale era quella che si respirava nella seconda metà degli anni Trenta; gli eventi però precipitarono nel giro di breve tempo ed egli si ritrovò coinvolto all’improvviso in un gioco più grande di quello inizialmente ipotizzato. Eppure, lui sosteneva di non aver vissuto una vera e propria esperienza bellica, considerati i fronti “tranquilli” ai quali era stato inviato insieme al suo reparto; sembrerebbe così di essere davanti a niente di più di un semplice resoconto di fatti e spostamenti privi d’interesse. Certo, a eccezione del triste spettacolo del giugno 1940 al confine francese, il lettore non troverà descritti in queste pagine cruenti combattimenti fra soldati o massacri di popolazioni inermi; è pur vero, inoltre, che l’autore non ebbe la sventura di marciare sulle gelate steppe in terra di Russia né quella di combattere al sole di El-Alamein dove, si sa, “mancò la fortuna, non il valore”, così come non si trovò a Cefalonia all’indomani di quel fatidico 8 settembre del ’43 che a troppi costò la vita.
Tuttavia, ciò non significa che la storia di Tommaso debba essere considerata poco importante o meno degna di essere raccontata rispetto alle precedenti o a quelle di coloro che furono insigniti di medaglie al valor militare. Si tratta semplicemente di vicende diverse, il cui confronto risulterebbe tanto inutile quanto insensato, accomunate però dal fatto di essere tasselli inseparabili di un unico grande mosaico. C’è tanta drammaticità nella sua vicenda; trovarla non è difficile: basta soffermarsi agli angoli dei toni leggeri e spesso ironici della narrazione che fanno capolino fin dal titolo, riflettendo sulla condizione di soldati mandati allo sbaraglio contro un nemico senza dubbio meglio armato; osservare con occhi attenti le lunghe estenuanti marce consumate tra le strade polverose di stagioni dissestate; ascoltare nel “Va’, pensiero” intonato da un coro di voci in cammino verso ignota destinazione tutta l’incertezza del destino e scorgere la libertà perduta attraverso le sbarre seppur invisibili della prigionia.
Leggendo questo libro, ricco di notizie, aneddoti, citazioni storiche e riflessioni personali sul corso degli eventi, si ha l’impressione di sfogliare un vecchio album fotografico oppure di guardare un lungo filmato d’epoca, proprio come quelli che giravano i cineoperatori militari. Al tempo stesso, neppure i colori sono assenti, dal bianco accecante della neve sui Monti della Luna all’azzurro inebriante del mare di Sicilia, che si accompagnano ai tanti suoni che pervadono il testo, come gli squilli di tromba che scandiscono i ritmi delle giornate in caserma, il verso ribelle dei muli insofferenti al basto o, ancora, il rimbalzare monotono delle palle da tennis sui campi in terra battuta in cima a una collina di Algeri. Anche i giorni del dopoguerra avrebbero avuto i loro suoni e colori, a dispetto del sapore amarissimo del periodo iniziale.
Questa di Tommaso è un’autentica testimonianza di un’epoca, in verità neanche troppo lontana, che contribuisce a sottolineare l’importanza della memoria e il continuo bisogno che di essa abbiamo, soprattutto in una società come la nostra, troppo spesso distratta e sorda agli insegnamenti del tempo. Ricordare non è soltanto importante: è addirittura vitale, poiché senza passato non possiamo guardare al futuro che si costruisce degnamente, giorno per giorno, traendo i giusti insegnamenti alla luce della memoria. Ecco perché, forse, non è sbagliato parlare di un dovere della memoria che ricada specularmente su vecchie e nuove generazioni: le prime devono ricordare, le seconde non dimenticare. È l’unico modo affinché non venga meno la speranza anzitutto in noi stessi, in quanto esseri umani, e nella possibilità di un mondo migliore, dove ciò che d’inumano è stato non accada più.
Classe 1919, Tommaso Mondelli, originario di un piccolo centro del Cilento, in provincia di Salerno, ma residente per decenni in Piemonte, si è spento lo scorso mese di aprile al compimento di ben 101 anni. Uomo di straordinaria cultura e laureatosi tre volte presso l’Ateneo di Torino, ha pubblicato diversi libri a partire dal 2012, in particolare raccolte poetiche. La presente pubblicazione è stata curata dalla sottoscritta che ha avuto il grande piacere e l'onore di conoscere l'autore.