O Roma o morte O Roma o morte

O Roma o morte

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Arrigo Petacco ricostruisce il clima e le premesse del decennio turbolento che si concluse nel 1870 con “Roma capitale”. Rivivono in questo libro, sfrondate dagli orpelli della retorica risorgimentale, le imprese dei briganti, che per cinque anni impegnarono la metà dell’intero esercito italiano; gli eroismi di tanti giovani legittimisti che, affascinati dall’intrepida Maria Sofia, ultima regina di Napoli, si immolarono per la difesa di un mondo destinato a scomparire. Nel racconto, intessuto di oscuri retroscena, assistiamo alle spedizioni fallimentari di Garibaldi in Aspromonte e a Mentana, ma anche all’inedito tentativo compiuto dal presidente Lincoln di affidare all’invitto, ma frustrato, generale il comando dell’esercito “nordista” impegnato nella guerra di secessione. Rivive, nella sua cruda realtà, anche la terza guerra d’indipendenza, che rivelò l’inadeguatezza della nostra orgogliosa casta militare, battuta a Custoza e naufragata a Lissa (con la sola eccezione della vittoria garibaldina di Bezzecca), che ci consentì di ottenere il Veneto “in limosina”, grazie a un umiliante escamotage di Napoleone III. Pur essendogli debitrice della raggiunta unità, l’Italia non esitò ad approfittare della sua disgrazia (la sconfitta subita a Sedan nella guerra contro la Prussia) per impadronirsi di Roma, rimasta indifesa, e consentire così a Vittorio Emanuele II di esprimere, davanti al portone del Quirinale, la sua soddisfazione con una frase diventata storica: “Finalment ij suma!”.



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O Roma o morte 2017-10-31 09:47:53 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    31 Ottobre, 2017
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Più che un saggio, un sunto

Dal 1861, anno in cui avviene la proclamazione del Regno d’Italia, al 1870, allorché il 20 settembre i bersaglieri entrarono in Roma dalla breccia di Porta Pia, trascorrono all’incirca due lustri, un periodo di tempo abbastanza breve, ma talmente denso di avvenimenti per il nostro Risorgimento che è impensabile poterne parlare in modo esauriente e anche critico in sole 160 pagine. Nondimeno, Arrigo Petacco ha voluto provarci, ma ne è uscito, come era logico prevedere, un saggio che ha più il sapore di un sunto che di un’opera storica di stretto rigore scientifico. Gli avvenimenti in quei dieci anni sono talmente tanti e di rilevante importanza che per ognuno di essi già 160 pagine risulterebbero inadeguate. Basti pensare, al riguardo, all’originario progetto di Cavour, abortito sul nascere con l’improvvisa morte dello statista, e che prevedeva per l’Italia un assetto federale, progetto che se attuato avrebbe cambiato il corso della storia del nostro paese, che con ogni probabilità non avrebbe sofferto di quei problemi ormai divenuti cronici e di cui patisce ancor oggi. Anche la questione meridionale, cioè quella lotta al brigantaggio, che poi solo in parte era brigantaggio, che travagliò il Sud dal 1861 al 1865 ha lo spazio di poche pagine, pur presentando il pregio di evidenziare come i Savoia procedettero con mano particolarmente pesante, come anche in altre zone annesse, per esempio la Romagna, dove pure certe rivolte avevano un’origine diversa, cioè più motivata da questioni socio-economiche che da un tentativo di restaurazione borbonica proprio invece del Meridione. Pure i disgraziati esiti delle battaglie in terra e sul mare del 1866 nel corso della terza guerra di indipendenza sono diligentemente riportati, ma con scarsi approfondimenti. E così si arriva alla presa di Roma quasi all’improvviso, fatta eccezione per pochi cenni all’intenso lavorio che la precedette. Certo per chi volesse avere un’idea della storia d’Italia in quel periodo il saggio di Petacco è l’ideale, ma non gli si può chiedere di più, e questi due aspetti costituiscono rispettivamente un pregio e un limite, con il secondo tuttavia che prevale sul primo.



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