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La presentazione e le recensioni di "Nel nome del Signore. L'Europa dall'anno Mille alla fine del Medioevo", saggio di William Chester Jordan edito da Laterza. Parentesi luminosa fra il caos dell'anno Mille e un quattordicesimo secolo infestato dalla peste, il Medioevo fu un'epoca di possibilità e di speranza, di crescita e di conquiste. Dalle controversie Chiesa-Stato ai conflitti religiosi e ai movimenti riformatori, dalla crescita demografica alle crociate, fino a straordinarie conquiste intellettuali - la letteratura epica, il fiorire delle grandi università inglesi, francesi e italiane, i capolavori dell'architettura gotica -, William Chester Jordan ripercorre il cammino lungo il quale si sviluppò quello che può ben essere definito il primo vero Rinascimento europeo.



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Nel nome del Signore 2014-09-09 17:35:53 catcarlo
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catcarlo Opinione inserita da catcarlo    09 Settembre, 2014
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Nel nome del Signore

Il sottotitolo di questa edizione è ‘L’Europa dall’anno Mille alla fine del Medioevo’ e si avvicina assai di più al titolo originale ‘Europe in the High Middle Ages’ di quanto non faccia quello italiano, che sembra gli sia stato affibbiato da qualcuno che ha letto solo la prima pagina, in cui si parla dei futuri riformatori della Chiesa all’inizio dell’Undicesimo secolo. Ovviamente, Papi e clero svolgono un ruolo importante in molte di queste pagine, ma non è questo il centro dell’attenzione dello storico statunitense, bensì l’analisi di tre secoli che segnarono una sorta di prima rinascita della società e della cultura europea dopo la svolta del primo millennio. Un mondo in crescita economica costante, con un notevole aumento della popolazione e un sensibile miglioramento delle condizioni di vita in tutto il continente anche se le strutture sociali differivano a volte in modo notevole: un mondo la cui fioritura è rappresentata visivamente dallo stile gotico che prese piede ovunque anche grazie a nuove scoperte tecniche che consentivano costruzioni sempre più ardite. Il bello è che si tratta di trasformazioni che avvennero in uno stato di guerra o guerriglia permanente: a est e a nord si agitavano i pagani (che spesso e volentieri si convertirono solo per convenienza) mentre a sud gli arabi la facevano ancora da padroni almeno fino alla Riconquista spagnola e comunque mantenendo il controllo del Vicino Oriente malgrado le sempre più sconclusionate crociate. Il risultato furono massacri su massacri a volte di assoluta efferatezza: non furono però da meno le dispute interne (tra Papa e impero, tra i vari regni o all’interno dei regni stessi di solito per cause successorie) che fanno considerare una volta di più come il vero comune denominatore della storia umana sia sempre stata la violenza. Eppure, non furono le lotte fratricide o gli assalti degli infedeli (i mongoli più dei mussulmani) a far crollare il mondo gotico, ma la peste e le epidemie che la seguirono: in certe zone, pochi decenni fecero crollare il numero di abitanti in modo tale che ci vollero anche centinaia di anni per tornare ai numeri di inizio Quattordicesimo secolo, con il risultato che la società alla fine del Trecento era diversa nel profondo da quella che l’aveva cominciato. Per raccontare tutto questo, Jordan passa in rassegna l’Europa per zone geograficamente e culturalmente omogenee, narrandone le complicate evoluzioni politiche che si intrecciano in modo inevitabile con lo sviluppo del diritto e delle conquiste dei sudditi (almeno quelli che avevano qualche soldo) nonché con una fioritura delle arti dovuta anche all’accumulo di capitali. Al racconto della nascita e della crescita degli embrioni statali si affianca quello della riforma della Chiesa che da una parte segna un desiderio di ritorno alle origini (con la comparsa di francescani e domenicani), ma dall’altra vede un forte rafforzamento di gerarchia e potere centrale. L’autore racconta il tutto con uno stile che si lascia leggere con notevole scorrevolezza in un libro che, per le sue caratteristiche (tre secoli dell’intera Europa in meno di quattrocento pagine), risulta essere un colpo d’occhio su di un’epoca che forse conosciamo meno di quanto crediamo, mentre gli approfondimenti sono lasciati alla bibliografia in appendice.. Le pagine scorrono e la pedanteria ne risulta bandita (pure troppo, visto che Canossa finisce in Toscana) malgrado a volte ci si perda fra le guerricciole per qualche trono non di prima importanza: del resto, uno dei pochi difetti che si possono imputare al libro è una esagerata preminenza della narrazione politica su quella sociale, aiutata poco da una piccola parte iconografica in bianco e nero.

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