Motti dannunziani
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"Io ho quel che ho donato"
Un libretto molto interessante che raccoglie i motti ripresi o coniati ex novo da Gabriele d'Annunzio, l'artista, il soldato, il patriota.
Una lettura che, tra l'altro, mi ha confermato quanto ambiguo fosse il rapporto del Vate con Mussolini e il fascismo, un rapporto non certo idilliaco né di adesione convinta, tutt'altro; del resto, non risulta che egli avesse la tessera del partito fascista e, sulla base di un'autorevole fonte, pare che fosse pure un sorvegliato speciale del regime. Insomma, non fu d'Annunzio che fece propria l'ideologia di quegli anni, fu semmai il fascismo ad appropriarsi della sua figura carismatica.
Ho scoperto che i famosi "Eja, eja, eja, alalà" e "Me ne frego", che credevo fascisti, sono in realtà motti dannunziani pronunciati già tra la fine della prima guerra mondiale e l'esperienza di Fiume giunta al capolinea al termine del 1920, quando cioè i fasci di combattimento muovevano ancora i primi maldestri passi e il futuro duce rischiava nuovamente di soggiornare nelle patrie galere come ai tempi prima della Grande guerra.
Ma quel che mi ha stupita di più è stato scoprire il d'Annunzio "pubblicitario": non sapevo, infatti, che avesse ricevuto, e accettato in quanto molto ben pagate, offerte di lavoro da parte di famose industrie italiane per l'elaborazione di motti commerciali ad hoc per i più svariati prodotti, passando dal campo dei profumi a quello dei biscotti. E fu proprio d'Annunzio – cosa forse ignota ai più – a battezzare "La Rinascente" i grandi magazzini dei fratelli Bocconi che aprirono pian piano in tante città italiane. Nemmeno per il Vate, dunque, era sempre possibile cantare cose grandi!