Memorie dalla Torre Blu
Saggistica
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Nascondersi in superficie
Mentre si legge questo libro di Memorie - quelle di Leonora Christina Ulfeldt, figlia illegittima di Cristiano IV di Danimarca, imprigionata per 22 anni (1663-1685) nella Torre Blu di Copenhagen sotto l’accusa di aver cospirato con il marito contro la corona - viene in mente la celebre massima eraclitea, “la natura ama nascondersi”. O meglio, a leggerle con l’occhio disincantato di chi sa che anche la politica, in fondo, è fatta di passioni più terrene di quello che siamo disposti ad ammettere, viene invece in mente che agli uomini piace nascondere la verità. Perché in effetti, sedotti dalla sorprendente fluidità che emana da queste pagine scritte tra escrementi di topo, rari brandelli di luce e strati di sporco incrostato sul pavimento della cella, quasi ci dimentichiamo che a scrivere è una donna che la storia, a posteriori, ha probabilmente riconosciuto colpevole. Convinti dalle ripetute apologie di Lenora Christina, persuasi dalla grazia della sua cultura e dall’acume del suo occhio, quasi ci illudiamo di scorgere il bandolo della matassa di intrighi e sotterfugi, odio e rivalse, che la hanno condotta in carcere. Eppure e ben vedere questo libro di Memorie poco di dice di Christina, che continuamente si nasconde proprio nel momento in cui più di espone: mai si lascia di tradire qualcosa più del necessario, superbamente chiusa nei suoi segreti, trincerata dietro le preghiere continue a Dio che sembra metterla alla prova per testare la sua fede. L’attenzione è tutta per i carcerieri, per la loro vita condotta nell’inerzia e nella malvagità, per le serve che via via la accompagneranno nella vita in prigione, per gli altri malfattori presenti e per la piccola vita che si muove nella cella: a colpire e restare impressi sono i rapidi ritratti psicologici degli uomini che la circondano e le curiose osservazioni naturalistiche qua e là disseminate, come quelle sulle pulci e il loro ciclo riproduttivo. Eppure il fascino di queste Memorie, che ancora scintillano di intelligenza dopo oltre quattro secoli, sta proprio nel gioco di manipolazione dell’informazione che Christina dissimula con consumata esperienza: per noi lettori lei è innocente, quasi una martire. In queste che dovevano essere memorie destinate ai figli, in realtà, Lenora Christina tesse la trama di una memoria storica a lei compiacente: sacralizzando se stessa, i suoi avversari politici appaiono come empi miscredenti puniti da Dio in svariati modi (significativa, in questo senso, la lista delle morti più o meno atroci dei suoi vari aguzzini posta nella prefazione del libro). In questo senso queste Memorie sono un grandioso esempio di come lo sguardo dell’autore abbia la capacità di ridefinire la realtà e di come la storia possa, entro certi confini, trasformarsi in uno stimolante, quanto sofistico, gioco del linguaggio.
Non stupisce, e anzi sigla il potere di queste Memorie, il fatto che questa donna sia stata paragonata a “Giobbe”, per il peso delle sventure che continuamente sostiene: tutto quello che Leonora Christina ha scritto è un raffinato dispositivo di risemantizzazione che disvela, in nuce, le fondamenta su cui il potere costruisce la propria forza. In quella che quasi diviene la sua sofferta agiografia, intravvediamo l’inquieta verità della massima nietzschana “il fatto è stupido, tutto è interpretazione” e guardiamo in faccia gli ingranaggi implacabili di una volontà che mai ha ceduto e che ostinatamente ha affermato se stessa.