Liliana Segre. Il mare nero dell'indifferenza
Saggistica
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Quel mare nero dell'indifferenza...
Correva l’anno 1938 quando Liliana Segre fu espulsa da scuola, si ritrovò clandestina, chiese asilo e fu respinta dalla Svizzera. Correva l’anno 1944 quando fu deportata ad Auschwitz insieme ad Alberto, suo padre, che non sopravvisse alla vita nei lager. Ed è passato poco più di un anno da quando il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’ha nominata senatrice a vita.
Da oltre trent’anni ella si impegna a far sì che la memoria non vada dimenticata per evitare che quel che è accaduto negli anni ’30 e ’40 possa nuovamente ripetersi. Perché «per ripetere quegli errori bisogna negare, cancellare la memoria. E affidarsi a parole imprecise, confuse tra loro, usate in modo strumentale, affibbiate senza attenzione, con l’esclusiva finalità di discriminare e colpire» e perché è il circolo dell’indifferenza che sprigiona violenza consentendo a quest’ultima di diffondersi a macchia d’olio. Liliana ci ricorda che tra lo ieri e l’oggi esistono delle diversità, tuttavia, a queste differenze seguono delle analogie che non vanno sottovalutate.
L’opera è interamente strutturata come una ricostruzione di quelli che sono gli interventi e che sono state le interviste della Segre negli anni soffermandosi, in particolar modo, su quel che è “il mare nero dell’indifferenza”, un qualcosa che è stato provato dalla popolazione ebraica durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale e che oggi si ripropone in altre vesti e con versatili destinatari.
«Il nesso tra allora e oggi sta proprio nell’indifferenza. L’indifferenza in ogni sua accezione: l’indifferenza verso chi soffre, verso le conseguenze delle nostre azioni, verso l’umanità e ciò che rappresenta, ma anche indifferenza come mancanza di empatia, di solidarietà, di intervento. Indifferenza che diventa disprezzo delle leggi e quindi delle persone. Il punto iniziale e la paura principale, per me, è l’indifferenza.»
Vi è l’urgenza, nelle parole dell’autrice, di descrivere i pericoli, di definirli, perché l’odio è un sentimento che facilmente si dipana tra la gente con lo strumento della propaganda, perché l’indifferenza è capace di portare al disumano, perché la violenza può facilmente diventare una costante abitudine.
Ancora, con grande precisione ci racconta di quel filo nero, noto elemento nei suoi interventi, che ha inizio proprio dalla parola scritta che ha portato alla nascita delle leggi razziali e da lì a tutte le più nefaste conseguenze. È un circolo vizioso, quello descritto, dove parole, inchiostro, silenzi e omissioni hanno dipinto un quadro sanguinolento che resta – e deve restare – indelebile anche a distanza di decenni.
L’indifferenza non è intesa soltanto nel senso di “omissione”, di “negazione”. Tutto può esserlo, dall’indifferenza verso chi soffre, a quella verso le conseguenze delle nostre azioni, a quella verso l’umanità, all’assenza di empatia, all’incapacità di esser solidali, alla mancata volontà di intervento quando ve ne è occasione etc etc. Il passaggio da questa al disprezzo verso le persone, verso le istituzioni, verso le disposizioni di legge, è minimale. La non scelta è un qualcosa di più comodo e semplice della scelta, non comporta sforzi, non comporta decisioni. Vengono così a mancare gli ideali e aderire all’un gruppo o all’altro è più semplice perché c’è chi decide al tuo posto. I pochi che si oppongono a ciò, sono, come erano, una minoranza.
Un tema portante, quello dello scritto, che non manca di indurre alla riflessione e che può sintetizzarsi ulteriormente nel dato che l’indifferenza è impunita. Perché? Perché:
«E come si fa a prendersela con gli indifferenti? Ti possono sempre rispondere che non hanno fatto nulla»