Lepanto
Saggistica
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Esauriente e piacevole
Nel corso del XVI secolo l’impero ottomano raggiunse la sua massima espansione; al riguardo basti pensare che sotto Solimano il Magnifico la Sublime Porta, nome con cui era più conosciuta all’epoca la potenza turca, si spinse fino alle porte di Vienna, senza riuscire tuttavia a impadronirsene, ma assoggettando l’Ungheria e tutti gli stati slavi. La politica di continua conquista di nuovi territori fu sempre una prerogativa dei sultani che si avvicendavano sul trono a partire dal XIV secolo e così anche il figlio di Solimano, Selim II, succeduto al padre senza essere il primogenito e grazie all’uccisione degli altri fratelli, per quanto considerato un debole e un depravato, intese proseguire negli ampliamenti territoriali e a farne per prima le spese fu Cipro, di proprietà sì dell’impero ottomano, ma affittata ai veneziani. Fu così che, senza un preavviso di sfratto, le truppe turche sbarcarono nell’isola, mettendola a ferro e fuoco ed entrando dopo 45 giorni di assedio a Nicosia. Restava, però, ancora in mani veneziane Famagosta, ma anche questa, nonostante una difesa eroica, cadde e il suo comandante, Marcantonio Bragadin, malgrado che l’atto di resa prevedesse salva la vita per tutti, fu orribilmente scorticato vivo.
Alla notizia dello sbarco degli ottomani a Cipro Venezia non poteva restare inerte, come disinteressati non potevano essere agli stati del Mediterraneo, perché era evidente che la minaccia di essere conquistati si rafforzava ogni giorno di più, così si ideò una spedizione con navi veneziane, del re di Spagna, dello Stato Pontificio al fine di contrastare questo tentativo di impadronirsi del Mediterraneo e con esso dei suoi traffici. Ma fra disaccordi di gestione sull’azione da intraprendere, picche e ripicche non si arrivò a uno scontro con la grande flotta ottomana. Era il 1570 e il naviglio ritornò ai propri porti, tentando, almeno la Serenissima, di arrivare a un accordo di pace con il Sultano. Le intenzioni di questo, tuttavia, come del resto di alcuni alleati, erano ben altre e così, dopo non poche difficili trattative, si arrivò nel 1571 a costituire, sotto l’egida di Papa Pio V, una Lega Santa a cui parteciparono il Granducato di Toscana, il Ducato di Savoia, i Cavalieri di Malta, la Repubblica di Genova, lo stato pontificio, l’impero spagnolo, con i Regni di Napoli e di Sicilia, e la Repubblica di Venezia. Si allestì una poderosa e agguerrita flotta costituita da 204 galee e 6 galeazze, con 28.000 soldati, circa 13.000 marinai e un gran numero di rematori, stimati in 43.000; la potenza di fuoco di questa armata marittima era assai notevole, rappresentata da circa 1.800 cannoni, di eccellente fattura, molti dei quali di grosso calibro. L’impero ottomano poteva opporre 216 galee, 64 galeotte e 64 fuste, un numero quindi superiore, ma lo stato di manutenzione di queste imbarcazioni era spesso inferiore a quello del naviglio avversario che, fra l’altro, era anche più moderno; sulle navi della Sublime Porta erano imbarcati 34.000 soldati, pochi con archibugio, a differenza degli avversari, 13.000 marinai, 41.000 rematori e solo 750 cannoni, soprattutto di piccolo calibro. Al comando alla Lega Santa era Don Giovanni d’Austria, alla flotta ottomana Alì Pascià. Lo scontro avvenne il 7 ottobre 1571 nelle acque antistanti la cittadina greca di Lepanto e, dopo alterne vicende e rovesciamenti di fronte, si concluse con una grande vittoria della Lega Santa, che affondò e catturò circa 189 navi nemiche, contro la perdita di soli 17 suoi vascelli; tanti furono gli schiavi catturati e i soldati uccisi e fra questi il comandante in capo Alì Pascià. Se si pensa che con questo grande successo si riuscì a porre freno all’espansionismo turco ci si sbaglia di grosso, poiché continuarono le conquiste in terraferma e anche in mare, per quanto limitate a isole geograficamente greche, come Creta, oppure all’Africa settentrionale, come la Tunisia. Invece fu una battuta d’arresto per la marina turca, da cui non riuscì più a risollevarsi e, soprattutto, il successo della Lega Santa ebbe un valore simbolico più grande di quello bellico, sia perché in tanti anni era la prima grossa sconfitta patita dagli ottomani, sia perché questi rinunciarono per sempre a dominare su tutto il Mediterraneo. Benchè la flotta fosse stata ricostruita in un solo anno, i vascelli risultavano inferiori come qualità e armi in dotazione a quelli della Cristianità e se anche serpeggiava un naturale desiderio di riscatto e di rivincita, questo non avvenne, perché gli esiti drammatici di quello scontro avevano incrinato la sicurezza degli ottomani; a ciò aggiungasi che la Lega Santa fu rapidamente sciolta, anche per ls morte del Papa che l’aveva così tanto sostenuta, venendo quindi a mancare in ogni caso l’avversario di prestigio per una nuova grande battaglia navale.
Ecco, di questo conflitto, dei prodromi, della battaglia navale vera e propria, e delle sue conseguenze parla in questo libro Alessandro Barbero, con quella sua particolare capacità di avvincere gradualmente il lettore e di renderlo quasi presente ai fatti; non manca la sottile vena ironica che caratterizza lo storico piemontese, vena che alleggerisce il racconto ed è capace anche di sfumare fatti tragici e morti orrende.
Lepanto è uno di quei libri che, benché assai lungo (ma molte pagine sono destinate alle corpose fonti bibliografiche, alle note e all’appendice), riesce a non stancare mai, a continuamente interessare chi, con vero piacere, lo sta leggendo.
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storiografia
Più che un libro di storia questo è un resoconto storiografico. Un testo scritto per chi conosce già la storia e vuole un approfondimento; lo dimostra il fatto che già alla ventesima pagina l'autore svela il finale. Come in molti altri libri di storiografia, l'autore spesso non segue l'ordine cronologico degli eventi e, per spiegare certi episodi, li mette a confronto con altri successivi. Barbero è, grazie al cielo, uno dei massimi esperti di storia medioevale che abbiamo in Italia, una vera istituzione vivente; arricchire la propria cultura con un suo testo è certamente un atto di grande pregio, ma, ahimè, lo stile di scrittura è a dir poco soporifero. Fa impressione la sequela di cifre: si elencano le armi, gli equipaggiamenti, i soldati raggruppati nei vari corpi, le misure degli scafi, le tecniche di arruolamento eccetera.
Un libro indicato per chi studia storia e per chi è veramente appassionato, perditempo astenersi.
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Semplicemente geniale.
Credevo che questo meraviglioso volume fosse stato recensito già da altri. Mi sbagliavo, e ne sono quasi contento perché, a ben osservare, scrivere di questo magnifico connubio fra saggio e letteratura è un autentico privilegio.
L'ho letto durante le feste invernali e mi ha molto colpito.
Barbero descrive secondo un canone accademico britannico Lepanto, il "grande spartiacque".
Eppure non lo fa nella solita veste letteraria paludata tipica di molti storici italiani, anzi, prende spunto dalla nota impronta inglese del saggio romanzato per arrivare molto, molto lontano.
In Italia il termine "divulgare" acquisisce spesso, per molti, una valenza negativa o, almeno, di basso profilo.
Gli anglosassoni per quanto concerne le materie umanistiche concepiscono un livello di divulgazione molto diverso, per dire, da quello populista della Angela gang.
Per Lepanto Barbero sceglie intenzionalmente di descrivere gli episodi più importanti che "precedono il turbine": Cipro e Famagosta,l'impostazione del bipolarismo metaculturale, lo scontro della fede utilizzata al protocolonialismo.
Nonostante il prezzo piuttosto alto, Laterza non perdona,mi sento di consigliarlo caldamente.
Unica nota negativa: la fascetta della seconda edizione riportante una frase di Saviano che invita alla lettura.
Domanda: Saviano è diventato uno storico? Mah...