Saggistica Storia e biografie La repubblica di Mussolini
 

La repubblica di Mussolini La repubblica di Mussolini

La repubblica di Mussolini

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La Repubblica di Salò è stata a lungo uno degli episodi meno conosciuti della nostra storia recente. Per affrontarne senza pregiudizi e preclusioni un'analisi, c'è voluto nel 1977 il coraggio di uno scrittore attento e sensibile come Giorgio Bocca, un autore che come ex comandante partigiano poteva sicuramente considerarsi al di sopra di ogni sospetto ideologico. Bocca ha agito come storico e come giornalista, incontrando ed intervistando centinaia di ex nemici, i "repubblichini", politici, militari e intellettuali, nel tentativo di scoprire cosa spinse tanti italiani a confermare la loro adesione ad un regime visibilmente destinato alla sconfitta. Il risultato delle sue ricerche è stata la stesura di un'opera fondamentale che ancora oggi, a vent'anni dalla sua prima pubblicazione, è considerata senza eguali per attendibilità ed esaustività.



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La repubblica di Mussolini 2008-02-06 23:37:36 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    07 Febbraio, 2008
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La fine di un regime

E’ un libro di carattere esclusivamente storico che parla della Repubblica Sociale Italiana, uno dei tanti al riguardo verrebbe spontaneo dire, ma con caratteristiche sue che lo impreziosiscono e ne danno una parvenza di attendibilità, sia nello svolgimento che nel giudizio conclusivo.

Certo è stato scritto da un’antifascista, per di più da uno di quelli che all’epoca combatté gli occupanti nazisti e i loro pseudo alleati dell’appena nata repubblica di Salò, ma ad essere onesti vi è da dire che Giorgio Bocca ha cercato in tutti i modi di essere imparziale e di dare più risalto alla storia costituita dai fatti che alle impressioni del tutto personali.

Questa impostazione, che privilegia gli accadimenti senza necessariamente esprimere un’opinione, è accompagnata da interessanti valutazioni su Mussolini in quanto uomo e non statista, con il risultato che attraverso questi giudizi si hanno anche delle plausibili risposte ai tanti perché.

Tutto comincia, come noto, nel luglio del 1943, quando il 25, durante la seduta del Gran Consiglio del Fascismo, Mussolini viene deposto. Il duce, l’uomo roboante, onnipotente degli anni antecedenti la guerra, è ormai l’ombra di se stesso. I rovesci militari, la certezza che ormai tutto è perso si riflettono sull’uomo in un’abulia, una incapacità di prendere decisioni di importanza vitale che lo accompagnerà fino alla fine.

Nulla fa, quindi, per opporsi al disegno dei congiurati, anzi finisce per assecondarlo accettando quella riunione, pur sapendo quello che vi si deciderà.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre e l’avventurosa liberazione dalla sua prigione sul Gran Sasso, Mussolini in terra tedesca, davanti a Hitler che gli propone, per non dire impone, di essere il capo carismatico dell’Italia non ancora in mano agli alleati angloamericani, ha delle reazioni lente, quasi distaccate, proprie di un uomo stanco e sfiduciato.

Forse vorrebbe chiudere la partita, forse vorrebbe anche ritirarsi, ma finisce con l’accettare, diventando di fatto il Quinsling italiano. Non vengono formulate da Bocca particolari ipotesi sul perché di questa adesione ai desideri del Fuhrer, tranne quella, peraltro di stampo fascista, di evitare in tal modo guai peggiori a un’Italia ormai occupata dai tedeschi.

Può essere stato questo uno dei motivi, ma certamente non l’unico; è più probabile invece che l’uomo Mussolini, ormai vagante nella nebbia dello sconforto, abbia trovato nel dittatore tedesco colui che l’avrebbe condotto per mano, lasciandogli quelle scelte politiche di partito e non di governo che gli avrebbero dato la parvenza di ritornare ai battaglieri anni di gioventù.

E’ peraltro impossibile che non sia consapevole dei disegni dei tedeschi sull’assetto da dare all’Italia dopo la vittoria in cui ancora credono, perché l’annessione al Reich del Trentino, del Friuli e della Dalmazia sono sotto i suoi occhi; lui se ne lamenterà, ma blandamente, come se si trattasse di una conseguenza inevitabile, e sa pure che anche tutta l’Italia settentrionale fino al Po farà la stessa fine, mentre il resto del paese verrebbe colonizzato. Forse spera di restare un giorno in Romagna, la sua Romagna, come governatore di un’appendice della grande Germania, ben poca cosa per uno che aveva grandi sogni di gloria.

Se vi è stata quindi una scelta, è stata solo politica, di conservazione per restare a galla annaspando.

E’ giusto dire, inoltre, che il duce è ben conscio che la neonata Repubblica Sociale Italiana è un semplice paravento per consentire ai tedeschi di dimostrare ai loro alleati che, nonostante il 25 luglio1943, nulla è cambiato e per avere di fatto il potere in Italia sotto la copertura di un governo locale.

Le occasioni in cui Mussolini, con lettere indirizzate ai gerarchi nazisti e rimaste senza risposta, manifesterà questa sua condizione di burattino saranno molteplici, ma l’uomo non è capace di decidere, si illude di comandare pur sapendo che non è vero e come una foglia si lascia trasportare dal vento degli accadimenti fino al suo definitivo annientamento, con una fuga mal preparata e verso l’improbabile rifugio svizzero.

Se da un lato la figura di quest’uomo può anche far sorgere un senso di pietà, quelle più fosche dei suoi ministri e gerarchi, gente che ha colto l’occasione della repubblica sociale per riscatti politici e per affermazioni personali, forniscono un quadro di squallore e meschinità, concorrendo a formare un giudizio altamente negativo del periodo fascista successivo all’8 settembre 1943.

Non dimentichiamo che l’inazione di Mussolini da una parte, le pretese di governo dei suoi gerarchi dall’altra generarono una guerra civile, dove la naturale contrapposizione fra partigiani e tedeschi occupanti si dilatò al ben più tragico conflitto fra italiani.

Nella lotta di liberazione prevalsero ideali di libertà che invece nella reazione fascista mancarono del tutto, risultando invece determinanti le ambizioni personali e lo spirito di rivalsa. In questo senso non è possibile equiparare i partigiani ai repubblichini, come un certo revisionismo tende a fare; i primi furono combattenti per la libertà, i secondi non furono nient’altro che mercenari, peraltro al soldo dell’occupante tedesco e benché consapevoli di questo.

C’è da chiedersi comunque come sia potuto sopravvivere uno stato fantoccio per circa due anni e allora si può notare che il fascismo agonizzante si resse da un lato grazie alla compiacenza e all’interesse della classe imprenditoriale e dall’altro in forza dell’appoggio di molti italiani di ogni ceto, per i quali la repubblica di Salò, nonostante la servitù, il sangue fratricida versato, altri non era che un sogno in cui il culto mussoliniano e le relative speranze e illusioni cercarono di protrarsi al di fuori di ogni confronto con la realtà.

Da questo libro, veramente bello, emerge infine la figura di un dittatore grande politico, ma del tutto incapace come statista, un individuo che fece non poche scelte sbagliate, di cui l’ultima gli risultò fatale.

A un personaggio simile gli italiani affidarono i loro destini con i risultati che la storia ci ha riportato, un uomo della provvidenza incapace perfino di dare un orientamento chiaro e coerente alla sua vita.

E’ inutile che dica che consiglio vivamente la lettura di questo testo.

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