La mia vita carnale. Amori e passioni di Gabriele D'Annunzio
Saggistica
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Mistero
Corpo, pensiero, attitudini, scelte, azioni contribuiscono a creare di noi un’immagine che, nel corso dell’esistenza, si cristallizza e fornisce un rimando agli altri- pensiamoci bene- assai parziale di quello che siamo. E molto spesso le nostre esistenze, seppur nella loro unicità, non hanno alcunché di straordinario, se non, immancabilmente, quello di restituirci agli altri, distorti, o nella migliore delle ipotesi, poco conformi all’originale. Questa premessa si rende a me necessaria per avallare la tesi che, nel caso del nostro grande letterato D’Annunzio, tutto ciò che egli è stato, ha fatto, ha pensato, non può essere un codice per decifrare il mistero della sua esistenza amplificato da un estetismo, da un istrionismo, da un‘eccentricità, da un’originalità- direi, sopra ogni altra cosa, che mira appunto a confondere piuttosto che a spiegare. Semplicemente visitare il Vittoriale degli italiani può assurgere a simbolo della confusione e della fascinazione che si patisce a conoscere nel dettaglio gli aspetti dell’esistenza del Vate, soprattutto se essi si riferiscono a un aspetto dell’esistenza così misterioso come la “vita carnale”, oggetto di questo contributo del custode del Vittoriale, appunto Giordano Bruno Guerri. Dico custode nel senso più alto del termine perché il nostro Guerri ama il Vate, ama il Vittoriale, ama l’uomo e ama il poeta e trasfonde a noi una chiave di lettura del suo mito che permette appunto di leggerlo senza mitizzazione alcuna. Insomma, se si approccia questa lettura pensando di indagare un mistero e di risolverlo, si rimarrà ampiamente soddisfatti nel leggere, dopo infiniti particolari, dopo disturbanti scenari, dopo eccessivi particolari, che egli era semplicemente un mistero come ognuno di noi. Un mistero che si perpetua nelle sue creazioni, nelle sue opere letterarie, nel suo lascito che rinnova il mistero e lo alimenta, all’infinito. Desistete dal comprendere oltre. Buona lettura.
Indicazioni utili
Alla corte del Principino
Cinque stelle e lode per una lettura consigliabile a tutti gli appassionati di Gabriele d’Annunzio!
Ho letto con estremo piacere ed entusiasmo questo libro di Giordano Bruno Guerri, autore d’eccezione per raccontare uno dei protagonisti più i più illustri e straordinari del panorama culturale nostrano e internazionale fino agli anni Trenta del secolo scorso.
Del resto, chi meglio del presidente della Fondazione Vittoriale degli Italiani può aiutarci a conoscere d’Annunzio che nel ritiro sul Lago di Garda prese stabile e non modesta dimora per oltre tre lustri? Chi più del Guerri, autorizzato quotidianamente ad aprire armadi e cassetti e ad aggirarsi tra gli ambienti in cui il Vate visse l’ultima parte della propria movimentata esistenza, persino tra quelli di più intimo e corporale raccoglimento, può guidarci alla scoperta delle passioni dannunziane?
Il libro, che si lascia apprezzare per la prosa scorrevole, dai toni quasi confidenziali e quindi tutt’altro che noiosa, è infatti una preziosa e ricchissima miniera di informazioni sul d’Annunzio soprattutto privato, privatissimo, a tratti segreto (ma non troppo); vizi e virtù, più i primi che i secondi, si susseguono tra queste pagine, amori travolgenti e bollenti e altri più blandi e tiepidi. Non più unicamente il raffinato poeta e romanziere, non più soltanto l’ardito comandante di Fiume o l’aviatore del mitico volo su Vienna durante la Grande Guerra: quel che affiora da lettere, biglietti e da tutto lo straordinario materiale cui il Guerri può attingere (in particolare, il diario di Amélie Mazoyer, alias Aélis, allo stipendiato servizio del Vate fin dagli anni trascorsi in Francia) è il ritratto di un uomo a trecentosessanta gradi.
E dalla gran mole di carte private ecco, dunque, apparire il d’Annunzio ghiotto di uova e frutta, quello ecologista e animalista, lo sportivo, il profumiere, il geniale pubblicitario, il padre non amorevole, quello triste e malinconico, il dispregiatore del fascismo (“camicie sordide”, le chiamava), lo spendaccione (nel suo caso, puro eufemismo!), il munifico, il debitore cronico, il cocainomane, l’innamorato dell’amore e l’amante del sesso nella sua più orgiastica dimensione…
Già, le donne… Nel suo letto al Vittoriale se ne adagiò un numero difficilmente quantificabile, a partire dalle stesse dipendenti della casa (solo la cuoca Albina non godette delle premure sessuali del Vate perché, a quanto pare, più che in soprappeso: lui detestava il grasso, su se stesso e nelle donne in particolare). Sarà stato pure un esimio donnaiolo, ma della donna in generale aveva un gran rispetto e una visione che non era certo misogina né corrispondente a quella caldeggiata poi dal fascismo (casalinga florida e dai fianchi larghi, pronta a scodellare copiosamente figlioli per la patria).
Degna corte di un principe (e d’Annunzio, che di nobili natali non era, aveva ottenuto l’artificioso titolo di principe di Montenevoso), il Vittoriale vide il passaggio non solo di intriganti gonnelle (tutte, beninteso, più che maggiorenni e smaniosamente consenzienti), ma anche di noti personaggi dell’epoca, come piloti, ciclisti, giornalisti, editori, persino “quell’imbecille” - poetiche parole dannunziane! - del “compagno” Benito, costretto a fare lunga anticamera prima di essere ricevuto dal padrone di casa.
Meglio rinunciare a esprimere qualsiasi giudizio morale; Gabriele d’Annunzio era quel che era: prendere o lasciare. Al di là di tutto, restano anzitutto la figura di un artista che, in un incessante anelito verso il bello, fece della sua stessa vita un’opera d’arte e poi un eccezionale monumento, il Vittoriale appunto, prezioso “Libro di pietre vive” del quale d’Annunzio volle fare dono agli italiani fin dal 1923 (e lui sarebbe morto nel ’38).
Infine, una precisazione: il “Principino” cui faccio riferimento nel titolo di questa mia recensione non è d’Annunzio di per sé, già principe di Montenevoso; “Principino” è il nome con cui il poeta in persona aveva ribattezzato, senza modestia né volgarità, la parte più attiva del suo corpo subito dopo il cervello artefice di tanta e raffinata produzione letteraria… Non c’era amante che potesse ignorare quale fosse…
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