La grande mattanza. Storia della guerra al brigantaggio
Saggistica
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Una guerra feroce e spietata.
Leggendo l’approfondito saggio di Enzo Ciconte, ci si rende conto del fatto che, pur essendo passati poco più di centocinquant’anni dai fatti narrati, ancora oggi l’eco di quegli avvenimenti si ripresenta proponendoci i temi più volte dibattuti sulla cosiddetta “questione meridionale” e sulle divergenze tra il nord e il sud del nostro Paese. Enzo Ciconte, pur non essendo forse ben conosciuto dal grande pubblico, è storico e saggista di grande valore, docente universitario, autore di un gran numero di libri sulle associazioni mafiose in Italia e consulente nella X legislatura presso la Commissione Antimafia parlamentare. Le sue opere più importanti (“Storia della ‘ndrangheta dall’Unità a oggi” del 1992, “Storia illustrata di Cosa Nostra “ del 2012 e “Storia delle organizzazioni criminali italiane e straniere in Italia” del 2017) fanno testo. Un altro argomento è invece ampiamente trattato in questa sua ultima opera, “La grande mattanza”, del 2018, in cui viene trattata con ricchezza di particolari la guerra al brigantaggio, nell’Italia dell’800. Guerra feroce, spietata, senza esclusione di colpi, soprattutto nel decennio 1860-1870 ad opere delle truppe piemontesi. Ciconte spiega che il termine “brigante” deriva dal francese “brigand”, ed ha un significato piuttosto ampio, da soldato di ventura a malvivente propriamente detto. Bande dedite al brigantaggio infestavano già l’Italia negli Stati papalini, in Sicilia, a Napoli, in Calabria; alla fine del ‘500 si usava impiccare i condannati, squartarli ed esporli come mònito; nel ‘600 e nel ‘700 si tagliavano le teste e si facevano girare ingabbiate per dissuadere i malintenzionati; sotto i francesi e Napoleone i calabresi erano definiti “gente cattiva” “abominevole” “sauvages” addirittura, ed è famosa la repressione del generale Manhès per le atrocità commesse, le torture e le inaudite crudeltà. Non meno crudeli furono i generali borbonici, prima dell’avvento dei Savoia. Il problema del brigantaggio prese quasi alla sprovvista i piemontesi, gente che arrivava quasi da un altro mondo, con giovani poco preparati al combattimento su terreni tormentati, guidati da comandanti provenienti in gran parte da famiglie della nobiltà sabauda. Grande spazio viene dato nel saggio alla guerra dal 1860, anche perché il cosiddetto brigantaggio ha spesso l’appoggio dei contadini in miseria vessati dai grandi proprietari terrieri. I piemontesi, come si suol dire, non fanno prigionieri, le fucilazioni di massa sono all’ordine del giorno, non si contano i villaggi dati alle fiamme e rasi al suolo. Famosa, cita l’autore, la frase del Presidente del Consiglio Carlo Luigi Farini (1862) : ” … altro che Italia, questa è Affrica (sic), i beduini al riscontro con questi caffoni (sic) sono fior di virtù civiche”. Tanto per sottolineare qual era l’idea che allora aleggiava sul Sud e come la repressione feroce fosse quasi un dovere (famose le fucilazioni indiscriminate, al minimo sospetto, ordinate dal generale Fumel), senza attendere che il potere giuridico potesse impostare processi seri e giudicare caso per caso con giustizia. E finalmente nel 1869 cade l’ultima testa, quella del bandito Palma. Il brigantaggio sta per esaurirsi, tanto che il Presidente del Consiglio Lanza il 9 gennaio del 1970 dichiarava che il brigantaggio poteva considerarsi definitivamente sconfitto. I briganti non ricompariranno più sia, spiega Ciconte nell’epilogo del saggio, per la migrazione di lavoratori in terre lontane, sia per le predicazioni socialista e cattolica che educheranno le masse a lotte più civili e consapevoli.
L’opera di Ciconte è ricchissima di particolari, date, avvenimenti, personaggi, quasi una cronaca mensile di quegli anni di guerra, così minuziosa da minare apparentemente l’unità strutturale del racconto. Tale ricchezza di dati può essere tuttavia considerata anche un pregio, dato che si vengono a conoscere particolarità di fatti e di personaggi non riportate nei manuali di storia ad uso scolastico. Numerosissime le note alla fine del saggio: 476, tra ricerche in archivi ( Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, Archivio di Stato di Torino, Archivio Centrale dello Stato-Roma) e bibliografiche, la maggior parte riguardanti il periodo dei Savoia. Completa il libro l’elenco alfabetico dei nomi riportati. Il giudizio sul saggio di Ciconte non può che essere positivo: un quadro storico affascinante sulle violenze compiute nel Meridione, che ha coinvolto briganti, truppe d’invasione, contadini in miseria, grandi proprietari terrieri e una borghesia in lenta ascesa. Un quadro storico che fa parte della storia del nostro Paese e che invita a molte riflessioni.