La catastròfa. Marcinelle 8 agosto 1956
Saggistica
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quando il terzo mondo era l'Italia
A Marcinelle sono morti 262 minatori, di cui 136 italiani. Il racconto di quel giorno terribile, in quella terra lontana, è affidata a chi è sopravvissuto, alle vedove, agli orfani.
Nessuna domanda. Non è un'intervista. E' lo scorrere della memoria. Lo stile è colloquiale e l'autore non "corregge" la cadenza, ma lascia che le testimonianze siano genuine, rispettando la voce di chi racconta.
Alternate ai ricordi, sono le deposizioni degli imputati e dei testimoni al processo che seguì il dramma.
Traspare la rabbia, l'impotenza e l'abbandono da parte dello stato itagliano, quello con la esse minuscola e con la gi:
"... Non voglio dire che ci hanno venduti allo straniero, non voglio dirlo inquantoché in fondo in fondo sono partito spontaneamente e senza obbligo di nessuno, ma [quelli del governamento, n.d.r.] restano falsi e imbroglioni, bastardi falsi farabutti imbroglioni e minchie di primissima qualità, che loro sicuramente dovevano saperlo dove ci inviavano a morire, nelle vene della sottoterra, e che cos'erano le mine e di quanti ci lasciavano la vita..."
"... Tutte ste genti che si sono dimenticati e la gioventù che non può conoscere quello che abbiamo visto noi là sotto e non possiamo neanche dirlo, quello che abbiamo visto, perché noi delle squadre di soccorso siamo censurati ancora oggi, non possiamo dire quello che abbiamo visto e quello che abbiamo trovato là sotto..."
"...Questa è la storia di un lavoratore italiano che non ha avuto niente da nessuno..."
Il pensiero corre. Corre a mio nonno e a suo fratello, anche loro in miniera in Belgio a cavar carbone, anche loro "a buttare sangue nelle mine". E a mio padre, coi suoi dieci anni di galleria e trenta di fabbrica. E un po' anche a me, che del mio posto di lavoro non rimane che un mucchio di cenere. Ancora oggi, l'altra firma sul contratto spesso non è del "datore di lavoro", ma del "paròn".