L'archivio segreto di Mussolini
Saggistica
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Vizi privati e pubbliche virtù
Ogni dittatore, nessuno escluso, diffida, oltre che dei nemici, anche e soprattutto degli amici, di chi sta intorno a vario titolo e che potrebbe rivelarsi all’improvviso per uno che desidera soppiantarlo. Benito Mussolini lo sapeva bene e non era quindi un caso che ricorresse ai servizi dell’OVRA, la polizia segreta fascista, per documentarsi dei comportamenti degli altri gerarchi, in modo da renderli facilmente ricattabili. Il duce era anche un uomo ordinato e pignolo e, oltre a conservare i rapporti degli agenti segreti, non buttava via niente, né le lettere dei numerosi postulanti, né documenti apparentemente banali come lettere di invito a cena. Alla sua caduta nel luglio del 1943 questa immensa mole di dati sparì, per poi essere ritrovata nel settembre dello stesso anno alla Stazione di Milano. Nulla vieta di supporre che nel tragitto ne siano venuti a mancare, come è anche certo che, finita la guerra, siano stati consegnati all’archivio di stato, dove Arrigo Petacco li ha potuti visionare. Certamente mancano quelli che Mussolini portò con sé nella sua vana fuga verso il confine svizzero e che, finiti in mano ai partigiani che lo catturarono, si volatilizzarono. Si mormora anche oggi che si trattasse del carteggio intercorso fra Churchill e Mussolini, ma sembra si tratti di pure illazioni, anche se ad aggiungere mistero a mistero vi è da ricordare il lungo soggiorno dello statista britannico, dopo l’aprile del 1945, sulle rive del lago di Como. Forse si trattò solo di una meritata villeggiatura, ma è una ben strana coincidenza. Data la mole della documentazione Petacco ha dovuto fare una scelta e, a mio avviso, ha scritto di ciò che potrebbe sembrare al lettore di particolare interesse, il tutto con ampie riflessioni personali che non mancano di un pizzico di sana ironia. Non poteva mancare un dossier su Achille Starace, segretario per un lungo periodo del partito, una sorta di macchietta vituperato non solo dagli antifascisti, ma anche dai suoi camerati. Eppure, quest’uomo fascistizzò il modo di vivere degli italiani, con assurde disposizioni quali quella di sostituire al “lei” il “voi”, di italianizzare tutti i nomi di origine straniera, con risultati spesso esilaranti, come nel caso di Eden, insegna di non pochi teatri, cinema, bar e alberghi, un “paradiso” in latino che lo zelante funzionario credeva un termine in inglese, visto che così si chiamava anche il ministro degli esteri britannico. E poi il sabato fascista, le divise, insomma una sorta di baraccone carnevalesco che come come un mago Starace tirava fuori dal suo cilindro, previa autorizzazione beninteso di Mussolini. Pure interessanti sono i vizi privati, contrapposti alle pubbliche virtù, di gerarchi come Balbo e Farinacci e altri, né poteva mancare la corrispondenza amorosa fra Benito e Claretta. Sta di fatto che leggere i documenti di questo archivio, pur con i dovuti distinguo fra un’epoca dittatoriale e l’attuale democratica, ci si accorge che, fra chi tiene le leve del potere, il vizio imperante è quello della corruzione, cosicché si può parlare di una tradizione a cui non si vuol rinunciare. E se é vero che forse Mussolini scappando non portava con sé valori ingenti, è altrettanto vero che la numerosa famiglia, compresi i parenti acquisiti, batteva spesso cassa e in parte veniva soddisfatta, beninteso con i soldi dello stato.
Il libro é assai piacevole e non sono rari i casi in cui si sorride o addirittura si ride, soprattutto quando si legge di gente come Farinacci, il ras di Cremona, considerato un duro, laurearsi in legge con una tesi copiata interamente da un’altra o impuntarsi, sbraitare, insomma fare dei capricci quasi come un bimbo per ottenere medaglie al valore per azioni eroiche del tutto inventate. É forse allora che si comprende come l’Italia fascista fosse uno stato di operetta, soggiogata a tantissimi pagliacci; peccato che poi si sia passati dalla farsa al dramma, ma ciò era inevitabile quando chi comanda ha una smisurata vanità e ben poco cervello.