Saggistica Storia e biografie Il prefetto di ferro
 

Il prefetto di ferro Il prefetto di ferro

Il prefetto di ferro

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Arrigo Petacco racconta la verità sulle gesta quasi leggendarie del prefetto Cesare Mori, incorruttibile funzionario "piemontese" inviato dal governo fascista in Sicilia per debellare la mafia. Compito che svolse fin da subito con grande efficacia, anche grazie a metodi non sempre ortodossi e alle ingenti forze di cui era stato dotato: un vero piccolo esercito, l'intera Procura di Palermo a sua disposizione, poteri straordinari che utilizzò oltre i limiti della legge. La sua azione energica permise di distruggere quasi interamente la struttura di base della malavita organizzata siciliana e offrì a Mussolini un argomento per la sua propaganda. Ma quando Mori iniziò a diventare troppo famoso e a indagare troppo in altro venne messo da parte, e le tracce del suo lavoro accuratamente eliminate.



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Il prefetto di ferro 2016-08-25 00:43:05 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    25 Agosto, 2016
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Il prefettissimo

La n’drangheta, la Sacra Corona Unita, la camorra e la mafia sono mali endemici del nostro meridione, anche se l’operatività di queste associazioni criminali si sono ormai estese a tutta l’Italia, ramificandosi perfino all’estero. La mafia è certamente la più conosciuta e si è sviluppata in Sicilia, diventando un contro stato. Mai sconfitta, magari qualche volta ferita, attraversò tuttavia un brutto periodo negli anni ‘20, allorchè Mussolini, ormai al potere, decise di combatterla, affidando l’incarico, con pieni poteri, al prefetto Cesare Mori, uomo non di regime, anzi avversato ferocemente dai fascisti romagnoli da quando era a capo della prefettura di Bologna, dove, con il solo scopo di far ispettore la legge, cercava di ostacolare le manovre eversive delle squadracce. Uomo integerrimo, di vecchio stampo liberale, era l’unico che poteva riuscire nello scopo, sia per le sue indubbie capacità, sia per l’esperienza maturata in alcuni anni di inizio secolo proprio in Sicilia. Dotato di una forte personalità e anche di una notevole ambizione i risultati non tardarono a venire, anche perché, investito di poteri assoluti, non andava tanto per il sottile e di fatto conduceva una guerra senza quartiere. Famoso fu l’assedio di Gangi, paese di 16.000 abitanti con 160 briganti; riuscì non solo a catturarli, ma anche a far passare dalla sua parte i cittadini, prima consenzienti soprattutto per paura. La sua massima, a cui sempre si ispirò, era questa: “Se la mafia fa paura, lo Stato deve farne di più.”. Da questa azione gli derivo una notorietà non solo a livello nazionale, ma anche all’estero, con soddisfazione di Mussolini che poteva così presentare un regime che risolveva anche i più difficili e spinosi problemi. Tuttavia, e Mori ne era ben consapevole, nella rete cadevano solo i pesci piccoli, al massimo qualche pezzo da 90 ormai imbolsito, ma il cervello, la cupola era inattaccabile, grazie alle connivenze con i politici locali e non solo con quelli. Certo tanti malfattori finirono in carcere o al confino, ma i grandi capi preferirono emigrare, per poi tornare con gli americani all’epoca dello sbarco in Sicilia. Altri ancora, invece, capirono l’aria che tirava e si inserirono, magari indirettamente, nel tessuto connettivo del fascismo. Qualche risultato fu comunque ottenuto, come la defenestrazione dell’onorevole Cucco, federale di Palermo e di fatto massimo esponente del fascismo in Sicilia, che non era mafioso, ma colluso con l’onorata società. Con il tempo Mori divenne un personaggio scomodo, uno che non si tirava indietro e andava fino in fondo, chiunque fosse l’indagato; anche lui si accorse che qualcosa stava cambiando e più per opportunità che per convinzione si iscrisse al partito nazionale fascista. Non bastò, e, nominato senatore per alti meriti il 22 dicembre 1928, nel giugno dell’anno successivo fu collocato a riposo con effetto dal 16 luglio stesso anno “per anzianità di servizio” (35 anni per i prefetti sulla base di nuova legge che sembrava varata ad hoc). Gli si diede anche un piccolo omaggio: la presidenza del Consorzio di 2° grado dell’Istria, in cui ben operò fino alla sua morte avvenuta il 5 luglio 1942. In quel periodo quasi di esilio gli venne la passione di scrivere, in verità con mediocri risultati, tranne che per Con la mafia ai ferri corti, un libro sulla sua esperienza siciliana, non ben accolto dal fascismo, anzi decisamente avversato, ma che riuscì a vendere bene, soprattutto all’estero.
Petacco ne fa una biografia in cui unisce ammirazione a recriminazioni, ammirazione per la coerenza, la ferrea volontà, la capacità dell’individuo, recriminazioni per non aver saputo essere anche un politico, il che forse avrebbe permesso la morte della mafia, invece solo stordita, e pronta a riprendersi proprio con la caduta del fascismo. Lo stile snello, la vicenda stessa, il personaggio rendono la lettura particolarmente interessante e piacevole.


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I saggi storici e le biografie di Arrigo Petacco
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