Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo
Saggistica
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I mondi di un intellettuale...
...INADEGUATO A COMPRENDERLI
Recensendo la 'Novella degli scacchi' consigliavo di leggere in sequenza anche 'Il mondo di ieri', l’autobiografia scritta da Zweig nell’ultimo anno della sua vita e che pare completò proprio il giorno prima di suicidarsi insieme alla giovane moglie nel rifugio brasiliano. Confermo ora questo mio consiglio, anzi lo amplio, nel senso che la lettura de 'Il mondo di ieri' risulta a mio avviso essenziale per comprendere le fondamenta culturali sulle quali si innalza l’edificio dell’opera letteraria di Zweig.
Il sottotitolo di questo libro è 'Ricordi di un europeo' e, se il suo felicissimo titolo è divenuto nel tempo quasi sinonimo dell’Austria asburgica, credo che il sottotitolo rispecchi meglio il senso complessivo del libro, o perlomeno ciò che oggettivamente quest’opera complessa e sfaccettata ci offre. In primo luogo occorre infatti specificare che il libro non si limita alla descrizione, filtrata attraverso le vicende dell’esperienza umana e culturale di Zweig, della società austriaca nel periodo antecedente la prima guerra mondiale. Solo cinque dei diciassette capitoli del libro si occupano in senso stretto della Vienna asburgica, ed un ampio spazio viene riservato da Zweig alla sua vita e agli avvenimenti storici seguenti il 1918, giungendo il racconto sino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Sono quindi tre i mondi che l’intellettuale Zweig si è trovato a affrontare, e di questi almeno uno era drammaticamente il mondo di oggi nel momento in cui veniva fissato sulla carta. Vi è poi il fatto che Zweig si confronta con le vicende che hanno segnato la sua vita da una prospettiva non 'Viennocentrica'. Pur sentendosi profondamente austriaco, come dimostrano i primi capitoli del libro, Zweig si è sempre sentito parte di una comunità intellettuale internazionale, si è sempre aggrappato tenacemente all’idea che la cultura potesse superare ed anche annullare i nazionalismi, venendo peraltro clamorosamente sconfitto dalla Storia. All’epoca in cui scrive, inoltre, non solo non esiste più l’Austria asburgica di cui si sentiva figlio, ma non esiste neppure più l’Austria come entità statale indipendente, essendo stata fagocitata dalla Germania hitleriana. E’ quindi quasi giocoforza che lo Zweig rifugiatosi in Sudamerica non possa che definirsi europeo, anche per lanciare il suo estremo grido di dolore rispetto alla distruzione dell’Europa che in quel momento si stava compiendo.
Detto questo, è fuor di dubbio che le radici culturali e morali (per Zweig i due termini sono quasi sinonimi) che orgogliosamente rivendica sono quelle dell’Austria 'felix', della buona, vecchia 'Kakania' che negli ultimi decenni del XIX secolo sembrava poter gestire i cambiamenti imposti dai tempi nuovi in un modo regolato ed organico, riuscendo a mantenere immutate le strutture portanti della società. Significativamente Zweig intitola il primo capitolo, dedicato alla società austriaca al tempo della sua infanzia, 'Il mondo della sicurezza', ed in questi passi quasi apologetici si dispiegano già appieno i limiti dell’elaborazione teorica di Zweig rispetto ad una vera comprensione della realtà in cui è immerso. Quello di Zweig è infatti lo sguardo nostalgico di chi in quella società è nato e cresciuto come un privilegiato, neppure sfiorando le contraddizioni che in essa si palesavano (anche se vedremo come, nei successivi capitoli, questo sguardo si farà, almeno parzialmente, più criticamente oggettivo). Zweig rimpiange (ancora nel 1941!) l’ottimismo positivista che pervadeva quella società ”in cui tutto aveva una sua norma, un peso e una misura precisi”, in cui il progresso, supportato dall’ideale liberale, portava a sempre nuove conquiste a beneficio di tutti, in cui il benessere si stava diffondendo a tutte le classi sociali, in cui, ci dice con una buona dose di paternalismo, "sociologi e professori andavano a gara nello sforzo di rendere più sana e persino più felice l’esistenza del proletariato…" Certo, Zweig è conscio che le certezze di quel periodo si sono rivelate illusioni, ma di quelle certezze egli salva e rivaluta la base ideologica, il liberalismo, da lui inteso come rispetto dei diritti dell’individuo e sovrano distacco dalle cose della politica, senza rendersi conto della piena organicità di tale ideologia, e del progresso tecnico da lui tanto esaltato, rispetto ai tragici sviluppi futuri. Del resto il suo milieu altoborghese, da cui non si sarebbe mai staccato e di cui esalta la sobrietà e l’avvedutezza negli affari, non gli permetteva probabilmente altre opzioni.
Il secondo caposaldo dell’Austria felix è per Zweig l’amore per la cultura, ed in generale per il buon vivere, che caratterizzava l’impero, e Vienna in particolare, e che pervadeva tutte le classi sociali. Sono vivide, anche se probabilmente un po’ di parte, le pagine in cui ci descrive l’importanza assoluta che aveva il teatro nella Vienna fin de siècle. A suggello dell’armonia che regnava in questo mondo, Zweig si sofferma anche sulla perfetta integrazione della comunità ebraica, descritta come vero fulcro economico e culturale della società viennese.
Il tono cambia già dal secondo capitolo, nel quale Zweig descrive la scuola asburgica, con la sua rigidità nozionistica e il suo formalismo, i cui metodi l’autore intuisce essere funzionali al mantenimento dell’ordine sociale costituito. La critica alla scuola serve a Zweig comunque soprattutto per contestualizzare la sua reazione artistica, il maturare la coscienza che la vera cultura si trova fuori dalla scuola, nei nuovi movimenti artistici che nascevano allora a Vienna come in tutta Europa, e che preannunciavano il novecento. Fondamentali sono in questo periodo l’incontro con un giovanissimo Hugo Von Hofmannsthal e con l’opera di Rilke. Sintomatico a mio avviso è il modo con il quale Zweig lega i fermenti culturali con i cambiamenti sociali dell’epoca: “…non ci accorgemmo però che quegli sviluppi in campo estetico erano soltanto prodromi di trasformazioni ben più essenziali, le quali avrebbero scosso e alla fine annientato il mondo della sicurezza, il mondo dei nostri padri.” Tipicamente, per Zweig l’arte, la cultura, precedono le trasformazioni sociali, non ne sono espressione sovrastrutturale. E’ sulla base di questa concezione che sino alla fine si illuderà che con le armi dell’arte si sarebbe potuta evitare la barbarie.
L’inizio della fine viene visto da Zweig nella crescente importanza della politica nella società. L’irrompere delle masse sul palcoscenico sociale, l’organizzazione del partito socialista, le prime manifestazioni vengono viste dal borghese Zweig come uno strano spostamento: quelle stesse masse che ”per decenni avevano docilmente e in silenzio lasciato il potere alla borghesia liberale, divennero d’un tratto inquiete, si organizzarono esigendo i loro diritti.” Manca solo un 'Ohibò!'
Il capitolo successivo, chiamato 'Eros matutinus' è a mio avviso tra i più godibili del libro: Zweig vi conduce una critica lucida e serrata all’ipocrisia dell’epoca rispetto alla morale sessuale, non mancando di sottolineare come anche quella morale fosse pienamente funzionale al mantenimento della struttura sociale. È evidente, nel modo in cui l’autore affronta questo capitolo, la vicinanza di Zweig con la psicanalisi freudiana.
Segue il capitolo sulla sua vita universitaria, da cui emerge da un lato come Zweig potesse economicamente permettersi di dedicarsi alle lettere senza studiare e dall’altro un efficace confronto tra la società tedesca e quella austriaca, dovuto al fatto che Zweig studiò a Berlino. Sono gli anni dei suoi primi successi letterari e del suo incontro con Theodor Herzl, teorico del sionismo e redattore culturale della Neue Freie Presse, il quotidiano liberale con cui il giovane Zweig collaborò. Dimostrando capacità autoironiche, sospetta anche di essere uno jettatore, relativamente ad alcuni episodi che lascio alla scoperta del lettore.
Il successivo periodo parigino di Zweig coincide con il primo contatto diretto con molti artisti francesi, tra i quali Rodin e soprattutto il poeta (belga) Émile Verhaeren, di cui Zweig sarà amico e traduttore. È il periodo in cui Zweig getta le basi di quel cosmopolitismo culturale che lo caratterizza.
Si giunge così all’assassinio di Sarajevo e allo scoppio della prima guerra mondiale, che Zweig non sa spiegarsi se non come l’incapacità delle diplomazie delle nazioni europee di gestire la situazione. Egli descrive peraltro molto bene il clima di euforia che accompagnò la mobilitazione in Austria, e la convinzione diffusa che il conflitto sarebbe durato poche settimane. È in questo periodo che Zweig, impiegato all’Archivio di Stato, vede svanire le sue illusioni circa il ruolo affratellante della cultura e dell’arte: quasi tutti i suoi amici letterati, austriaci, tedeschi, francesi e italiani, si schierano su posizioni belliciste e nazionaliste. Nonostante ciò, Zweig continua a credere nella forza della parola e nel 1917, trasferitosi a Zurigo per la rappresentazione di una sua opera, riallaccia i rapporti con Romain Rolland ed altri intellettuali che dalla Svizzera si battono contro la guerra: tipicamente, Zweig se ne distacca quando ritiene che la politica e l’ideologia abbiano preso il sopravvento su quelli che lui ritiene essere gli ideali puri.
Molto bello e altamente simbolico è l’episodio, cui Zweig assiste da una stazioncina di confine, dell’imperatore Carlo d’Asburgo che lascia l’Austria, segnando la compiutezza della fine dell’epoca asburgica, del mondo di ieri.
Il primo dopoguerra segna il pieno successo editoriale di Zweig, che giunge però dopo gli anni dei sommovimenti postbellici e della grande inflazione che colpisce prima l’Austria quindi la Germania. Quale sia il ruolo giocato da Zweig in quel contesto culturale emerge da una frase tratta dal capitolo Di nuovo nel mondo, laddove dice: ”Espressionisti, attivisti ed esperimentisti erano ormai esausti: la strada per arrivare al popolo era di nuovo aperta ai pazienti e ai perseveranti”. Zweig diviene in questo periodo uno degli scrittori più organici all’illusorio nuovo ordine mondiale che – schiacciate (tranne che nell’Unione Sovietica) le istanze rivoluzionarie dell’immediato dopoguerra – sta allegramente spingendo l’umanità verso la crisi del ‘29 e quello che ne seguirà. Rimane fedele al suo non occuparsi di politica ma riprende a viaggiare e a diffondere il valore unificante della cultura europea. Nel primo viaggio dopo la guerra, in Italia, fa la conoscenza con il fascismo, senza tuttavia dargli troppo peso; un episodio importante nell’economia del libro è il viaggio che nel ‘28 intraprende nella Russia Sovietica, dal quale torna con sentimenti ambivalenti.
Come ogni buon borghese, attribuisce l’ascesa di Hitler, di cui a malapena percepisce gli agganci con il sistema militare ed industriale tedesco, ai risvolti psicologici sull’animo tedesco del periodo della grande inflazione, e non alle politiche di rigore (oggi diremmo di austerità) che seguirono il ‘29. Sintomatico è il fatto che mentre alla grande inflazione dedica numerose pagine, il crollo del ‘29, con il suo seguito di disoccupazione e disperazione sociale, non viene neppure sfiorato.
Vivendo a Salisburgo, città di confine, è testimone diretto del primo affacciarsi del nazionalsocialismo, ma rimane anche simbolicamente arroccato – nel suo castello sulle colline – su posizioni elitarie e di un pacifismo che si dimostrerà ancora un volta velleitario. La sua opposizione ad Hitler è data da motivi culturali e dal suo essere ebreo: nessun vero approfondimento del perché la barbarie sia possibile. Alla drammatica agonia dell’Austria negli anni tra il 1933 e il 1938 oppone ancora una volta la convinzione della superiorità della cultura e dell’intelligenza umana, che rendono impossibili una nuova guerra. Nulla ha imparato dal 1914, come emerge simbolicamente dalle evidenziate analogie tra le due estati, ed ancora alla vigilia del 1 settembre 1939, ormai da tempo a Londra, sarà convinto che la guerra non scoppierà.
Da 'Il mondo di ieri' emerge insomma il quadro di un intellettuale che, sia pur dotato di una grande dirittura morale, si rivela inadeguato ad analizzare e comprendere la realtà che lo circonda, di un intellettuale moderato nei toni e nella sostanza della sua opera vissuto in epoche che richiedevano (come sempre, ritengo) piena coscienza e lucidità. Il mondo di ieri è un ampio affresco, ma è a mio avviso un po’ come quegli affreschi dipinti nell’800 nelle chiese romaniche o gotiche, che ci appaiono stridere con il contesto.
Molti anni prima che Zweig descrivesse Vienna come la città dell’arte, la coscienza critica di quella città, Karl Kraus, disse, riferendosi anche al gruppo della Jung-Wien: "Vienna non era tanto la città dell’arte quanto la città par excellence della decorazione". Kraus era sicuramente 'cattivo', ma questa frase da sola denota una capacità d’analisi sconosciuta al buon Zweig.
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Musil, Joseph Roth, Doderer, Lernet-Holenia etc.
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Tra storia e biografia
Così bisognerebbe studiarla, la storia. Attraverso le testimonianze di chi l’ha vissuta. Ed è alle giovani generazioni del nostro tempo, non più abituate a uno studio nozionistico, che ciò sarebbe particolarmente utile. Questo è il pregio fondamentale dell’opera di Stefan Zweig, “Il mondo di ieri”, che ripercorre la storia dell’Europa dai primi del novecento fino all’inizio della seconda guerra mondiale: egli ci consegna una testimonianza diretta dei tragici fatti che cambiarono la storia del mondo con la partecipazione emotiva dell’intellettuale che si era sempre battuto per la pace, con l’ideale aspirazione di vedere realizzata una Europa unita. Egli dunque si sofferma non solo sulle conseguenze che politiche scellerate ebbero sui popoli vittime di decisioni di cui erano assolutamente ignari, ma anche sull’influenza che esse esercitarono sul mondo della cultura e dell’arte.
Zweig guarda con nostalgia all’Austria dell’impero asburgico, a ciò che essa aveva rappresentato in Europa, ne esalta il ruolo leader nella cultura, nell’arte, nella musica. Ricorda i grandi musicisti, celebra gli antichi legami con i più eletti tra i poeti, gli scrittori, i compositori di ogni paese europeo. Rievoca i suoi viaggi nel mondo, le esperienze emozionanti, prima dello sconvolgimento creato dalla prima guerra mondiale. Ha nostalgia di quell’ordine puramente formale ed estetico, diverso da quello repressivo e violento degli squadristi di Hitler. Eppure proprio dalla frammentazione di quell’ordine sono nate le opere più importanti e innovative del novecento, l’Ulisse di Joyce, La Waste Land di T.S.Eliot, il cubismo di Picasso. Questo forse l’unico limite nella nostalgia di Zweig: egli non realizza quanto fosse necessario nell’Europa del primo dopoguerra scomporre la realtà, atomizzarla per ricostituire un’unità armoniosa. D’altra parte lo stesso Freud, suo grande amico, non aveva fatto altro, nel suo studio dell’ego, che analizzare, sezionare la psiche umana, per restituirle l’equilibrio perduto.
L’analisi dei tempi portata avanti da Zweig si addentra nel campo difficile dell’educazione, della liberalizzazione dei costumi sessuali. Accetta le novità e ne sottolinea il benefico influsso sullo sviluppo espressivo dei giovani.
Ciò che appare particolarmente interessante è il continuo costante paragone tra le motivazioni che hanno generato le due guerre più sconvolgenti d’Europa. Egli ricorda l’entusiasmo assolutamente ingiustificato con cui l’Austria e la Germania si fossero gettate nella guerra del ’14, per uscirne umiliate e distrutte economicamente e politicamente. Egli ricorda con amarezza i giorni dell’ascesa di Hitler forieri d’una guerra ancora più feroce, priva di ogni motivazione ideologica. Zweig si sofferma a lungo sulla persecuzione degli ebrei, appena iniziata al tempo in cui il suo racconto si interrompe. Con angoscia denuncia la solitudine e la disperazione di quanti in Europa si erano integrati assimilando la cultura e le tradizioni dei paesi in cui avevano messo radici, perdendo ogni identità ebraica e divenendo a tutti gli effetti cittadini austriaci, tedeschi, francesi, polacchi e così via. Perseguitati, i più fortunati riprendono il cammino in cerca d’una patria, in cerca di una nuova identità.
In questo clima la funzione dell’intellettuale è vanificata, a meno che egli non sia organico al regime. Ed ecco che la cultura portatrice di valori di pace viene isolata e demonizzata.
La citazione che Zweig trae da Shakespeare “So foul a sky clears not without a storm” (Un cielo così nuvoloso non si rasserena senza una tempesta”) assume un significato ancora più illuminante nelle righe conclusive della sua memoria: “Mentre tornavo a casa mi accorsi d’un tratto della mia ombra che si allungava davanti a me [….] Da allora quell’ombra non mi ha più abbandonato [….]. Ma in fondo ogni ombra è anche figlia della luce, e solo chi ha conosciuto luce e tenebra, guerra e pace, splendore e decadenza, può dire di avere vissuto davvero.”
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Con dolore e con gioia
“Con dolore e con gioia abbiamo vissuto il tempo e la storia
al di là della nostra piccola esistenza personale...”
Temperamento schivo, mente aperta e un infinito senso di libertà interiore. Poliedrico nella sua attività intellettuale, ha lasciato in campo culturale contributi notevoli come poeta, storico, romanziere e biografo. È stato protagonista della cultura mitteleuropea conoscendo un pieno successo tra gli anni Venti e Trenta del ‘900 prima che Hitler lo mettesse al bando. Dal successo, però, non si è fatto lusingare perseguendo nella vita ideali ben più nobili: la fraternità, la libertà, il senso del vero al di là di ogni ipocrisia o connivenza.
Scrive quest’opera quando da cosmopolita è diventato ormai involontario apolide. Lo scritto è il racconto della sua esistenza personale che, agli occhi di un uomo contemporaneo, tutto può apparire tranne che “piccola”. Il racconto è, al contrario, un eccezionale documento umano di una vita capace di far sognare chi, come me, si fa impressionare dai grandi nomi che quest’uomo, come una calamita, ha saputo attirare a sé.
Nonostante l’eccezionalità del suo vissuto, in realtà la normalità per quell’élite di intellettuali mitteleuropei e non che gravitarono intorno alla sua esistenza, anche questa vita in fin dei conti appare ben misera cosa se riferita ad un senso della storia che la pervade tutta. Ecco perché questo memoriale storico ha un altro protagonista che non è appunto l’autore ma la Storia.
Il racconto segue il criterio cronologico tipico delle autobiografie ma le tappe della vita sono scandite dagli eventi storici che lasciano nel lettore la sensazione del trascorrere inesorabile del tempo permettendone però la sua conoscenza storica nel breve lasso temporale, appunto, rappresentato dalla fine della Belle Epoque alla II guerra mondiale. Un tempo terreno breve ma ricco di rivolgimenti che Stefan Zweig ha voluto, estremo lascito, testimoniare secondo il suo personale punto di vista a beneficio della “generazione futura”. Un peccato non cogliere il suo messaggio che lascio a voi scoprire.
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Il mondo di ieri
“Il mondo di ieri” è una lettura fondamentale e propedeutica per approcciare l'intera produzione letteraria di Zweig.
L'etichetta di autobiografia data all'opera da taluni critici non è corretta o almeno non del tutto, in quanto siamo di fronte ad un opera dai connotati saggistici di più ampio respiro, in cui la penna di Zweig riuscì a condensare tutto il proprio “io”, ossia la formazione, la vita letteraria e le vicissitudini, oltre ad offrire uno spaccato storico, sociale e politico dell'Europa a cavallo tra fine '800 e gli anni '40 del secolo scorso.
Splendida la galleria di immagini della Vienna asburgica e post, oltre che di Parigi e Londra, catturate dagli occhi di un uomo definitosi lui stesso cosmopolita, innamorato dei viaggi e dei soggiorni sia presso le grandi città europee sia oltreoceano e persino in oriente.
Una mente vivacissima quella di Zweig fin da giovane, amante dell'arte e della letteratura in tutte le loro forme, come attesta la sua infinita produzione, capace di spaziare dalla poesia alla drammaturgia, dalla lirica alla narrativa, dalle novelle alla saggistica.
Una mente aperta e fresca, pronta a confrontarsi con letterati e artisti a lui contemporanei, ed a collaborare per diversi progetti in campo lirico e teatrale.
“Il mondo di ieri” fu tra le ultime opere scritte da Zweig, segnando quindi l'intero arco temporale da lui vissuto, tuttavia, pur raccogliendo tutta l'amarezza per l'avvento delle guerre, per la salita al potere del nazismo, per la dissoluzione di un mondo pacifico, l'autore non scade mai nell'autocommiserazione. Anzi, l'impatto emotivo trasmesso dal racconto è forte e prorompente, coinvolgendo il lettore in un cammino nel passato insieme all'autore, ascoltando e percependo tutto il suo rammarico per un mondo che non c'è più, ma senza l'utilizzo di toni funesti e lacrimevoli.
Il messaggio che sembra voler affidare Zweig al suo ultimo scritto, è quello di una testimonianza indelebile per raccontare alle future generazioni la vita di un europeo, il clima socio-politico e l'intensa attività artistico-letteraria di fine Ottocento.
E' una lettura estremamente illuminante per coloro che si accingano a leggere gli scritti dell'autore.
Egli mette a nudo tra queste pagine il suo volto di letterato poliedrico, l'evoluzione del suo pensiero in merito all'arte e alla vita, ci narra della genesi dapprima interiore eppoi stilistica di numerose sue opere; tutto ciò esprimendosi con uno stile raffinato ed elegante, senza divenire pomposo.
Il calore della voce di Stefan Zweig è percepibile e avvolgente, raccontandosi in prima persona, ricucendo con penna ed inchiostro le infinite tessere di una vita piena, sia nel successo sia nell'avversità.