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Il mito della Nazione Il mito della Nazione

Il mito della Nazione

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Risorgeva l’Italia nel 1861 su sangue di eroi, su abili intrighi diplomatici, che insieme congiunsero gli sforzi per realizzare un sogno che sembrava non affrancarsi mai dall’utopia. Un processo lungo ed estenuante, animato dal mito di una patria sola unita in Roma, dalla passione, dal sacrificio. Eppure mai, a quell’unità geografica profondamente voluta corrispose un’autentica unità spirituale. Italia sembrò un termine che descriveva gli uni più degli altri, quasi non fosse stata il frutto di quel coeso movimento popolare ma della più semplice piemontesizzazione. Cosa è cambiato da allora?



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Il mito della Nazione 2011-04-07 10:18:23 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    07 Aprile, 2011
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Due bravi ragazzi

Quest’anno ricorrono i 150 anni dall’unità d’Italia e per quanto le manifestazioni e i festeggiamenti non siano stati prioritari in un paese che sfortunatamente cerca di trovare più i motivi di disunione che quelli di un reale forte afflato, l’editoria ha dedicato a questo evento numerose pubblicazioni, sia come ristampe di testi risalenti al periodo del nostro risorgimento, sia come pubblicazioni di opere nuove.
In tale contesto c’è un libro che, a mio avviso, merita un po’ più di attenzione di altri ed è Il mito della Nazione, sottotitolo Personaggi e storie del Risorgimento, uscito a metà marzo per i tipi delle Edizioni Tabula Fati.
Che cosa ha di particolare quest’opera?
Prima di tutto c’è da considerare l’età degli autori, due diciottenni, il che potrebbe indurre a pensare che la lettura finisca con l’essere infastidita dalle classiche nozioni scolastiche in materia, e in effetti era ciò che temevo. Mi figuravo una lunga serie di date, corrispondenti a fatti risorgimentali, magari utile, ma in ogni caso più per un ripasso che per un autentico interesse a sapere un po’ di più di quel periodo che ha visto la nascita del nostro Stato.
Per fortuna, i due ragazzi (spero che mi scuseranno per questo termine, espresso con intenti unicamente affettuosi, da uno come me che potrebbe essere il loro nonno) hanno preferito, saggiamente, individuare dei punti cardine del periodo risorgimentale, sia che si tratti di fatti, di episodi, sia di personaggi di particolare e rilevante importanza.
In questo modo non solo la lettura non è faticosa, ma c’è spazio per aprendere qualche cosa di più.
Mi corre l’obbligo, tuttavia, di far presente che quanto esposto rientra nella classica iconografia, quella costruita ad uso e consumo di Casa Savoia, con molte omissioni e parecchie invenzioni, storia che studi approfonditi effettuati fra la fine del secolo scorso e i primi anni dell’attuale tendono a contestare.
Il Risorgimento fu un moto di popolo desideroso di unirsi o fu soprattutto un periodo di espansione territoriale del Regno di Piemonte? Si sarebbe portati a propendere per la seconda ipotesi, anche perché, al di là di taluni elementi di supporto, non si spiegherebbe altrimenti questa profonda divisione di noi italiani, che sembriamo palesare ogni giorno di più la mancanza di una forte identità nazionale.
Alessandra Esperide e Nicola Quondamatteo hanno evitato quest’ultimo discorso, per quanto ne facciano cenno nell’introduzione, ma senza cercare di formulare ipotesi sull’origine del problema.
A loro discarico c’è certamente la giovane età, l’apprendimento scolastico e non sul campo, la mancanza di esperienza, ma, comunque, sono riusciti a infondere al loro lavoro un palpabile entusiasmo che coinvolge e costituisce un segno di speranza per quell’unità di popolo che ci manca, ma che è del tutto auspicabile.
Nei capitoli dell’opera, dedicati ai Savoia, a Mazzini, a Garibaldi, a Cavour, a Cattaneo, all’Italia Meridionale, perfino al risorgimento esoterico, mi hanno colpito, soprattutto, quello iniziale e quello finale.
Con la Primavera di Roma, la Repubblica romana è stata giustamente considerata il fatto più saliente dell’epoca, quello insomma che ha dato avvio a quel percorso, non sempre limpido e fortunato, che porterà alla proclamazione del Regno d’Italia.
E’ curioso notare che intorno a questa giovane e breve repubblica si affollano tanti personaggi, con scopi diversi, come il monarchico Manara, l’anarchico Pisacane, il repubblicano e liberale Mazzini.
Ognuno vede in questo esperimento la possibilità di realizzazione di un sogno, il nascere di una democrazia, il sorgere di uno stato sociale, e questi ideali finiranno per confluire nel desiderio di affrancare gli staterelli dello stivale dai loro padroni, riunendoli in un’unica grande entità.
In La nuova Italia, capitolo conclusivo, i due giovani autori accennano all’ipotesi, in parte comprovata, di un Risorgimento tradito, ma preferiscono poi prendere le distanze, quasi timorosi che ulteriori approfondimenti in merito possano svelare verità innominabili, di cui forse hanno solo una certa idea. Ribadiscono invece un concetto, senz’altro condivisibile, quando si chiedono che cosa risorga con il Risorgimento e rispondono dicendo che è una nuova primavera sbocciata, dopo secoli di torpore, da quando cioè era caduto quell’impero romano che aveva unificato, sotto di sé, l’intera penisola. Un’unione di spiriti, di cultura fa tuttavia da filo conduttore fra le rovine di Roma e il nostro risorgimento, un filo non visibile apertamente, ma percepibile con quella comune cultura che oggi sembra sempre più negletta: Dante, Petrarca, Leopardi, Foscolo non possono essere considerati solo dei geni della letteratura intesa in senso generico, bensì sono gli artefici della letteratura italiana in un’allocazione geografica che non è ancora lo stato italiano.
Se pensiamo a questo, è possibile trovare più motivi di unione che ragioni di separazione, e se è vero che la cultura non ha confini, quella espressa in quel così lungo periodo di tempo è sicuramente quella italiana.
Sono presenti in questo libro alcuni acuti retorici, piuttosto blandi in verità, ma ci sono anche una freschezza e un entusiasmo contagiosi, che, arrivati all’ultima pagina, portano all’orgoglio di essere italiani.
Grazie, ragazzi.

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