Saggistica Storia e biografie I sommersi e i salvati
 

I sommersi e i salvati I sommersi e i salvati

I sommersi e i salvati

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Quali sono le strutture gerarchiche di un sistema autoritario e quali le tecniche per annientare la personalità di un individuo? Quali rapporti si creano tra oppressori e oppressi? Chi sono gli esseri che abitano la «zona grigia» della collaborazione? Come si costruisce un mostro? Era possibile capire dall'interno la logica della macchina dello sterminio? Era possibile ribellarsi? E ancora: come funziona la memoria di una esperienza estrema? Le risposte dell'autore di Se questo è un uomo nel suo ultimo e per certi versi più importante libro sui Lager nazisti. Un saggio imprescindibile per capire il Novecento e ricostruire un'antropologia dell'uomo contemporaneo. Postfazione di Walter Barberis. Prefazione di Tzvetan Todorov.



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I sommersi e i salvati 2020-06-02 20:37:15 Erich28592
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Erich28592 Opinione inserita da Erich28592    02 Giugno, 2020
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Una testimonianza da leggere e far leggere

“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre.”

Sarebbe per me impensabile proporvi una vera e propria recensione dei “Sommersi e i salvati”, come del resto di una qualunque opera di Primo Levi, testimone prezioso di una pagina tra le più buie della storia dell’umanità. Proverò pertanto, nella speranza di riuscirvi, a spingere ciascuno di voi a recuperare questo saggio, la cui lettura non può che lasciare un segno indelebile nell’animo di chiunque possa definirsi un essere umano.
Ed infatti, le violenze fisiche e morali di cui lo scrittore piemontese fu testimone e vittima durante la sua prigionia ad Auschwitz furono traumatiche al punto tale da spingerlo a dedicare l’intero primo capitolo di questo suo saggio al tema della “memoria dell’offesa”, rassicurando il lettore circa l’affidabilità dei propri ricordi, più volte setacciati e confrontati con le testimonianze di altri superstiti (“La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace.”).
Nel secondo capitolo, invece, l’autore spiega efficacemente come ad Auschwitz il confine tra vittime e carnefici fosse ben più sfumato di quanto si potrebbe pensare: “È una zona grigia, dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi. Possiede una struttura interna incredibilmente complicata, e alberga in sé quanto basta per confondere il nostro giudizio”. A tal proposito, l’esempio più agghiacciante che ci viene consegnato è quello dei Sonderkommando, le Squadre Speciali di ebrei che, in cambio di qualche piccolo privilegio, erano chiamati a gestire le camere a gas e i crematori ai quali loro stessi sarebbero stati, infine, destinati.
Coglie di sorpresa, poi, il terzo capitolo dell’opera, dedicato al tema della vergogna che avrebbero dovuto provare i Nazisti, e che invece finirono per provare i prigionieri.
Particolarmente intenso è il successivo segmento, il quarto, dal titolo “Comunicare”, nel quale Primo Levi si sofferma su un aspetto della vita nei campi di sterminio al quale spesso non pensiamo: alle urla, agli stenti, alle privazioni, alle indicibili violenze fisiche e morali subite, sommate lo stordimento legato al non capire dove vi trovate, al non sapere come comportarvi, e al perché state subendo quel che state subendo. È un orrore tanto grande da andare oltre la mia immaginazione.
Il quinto capitolo, “Violenza inutile”, è un vero e proprio pugno allo stomaco, e ci mette di fronte alla furia cieca del Nazismo, quella che i più si rifiutano di indagare e conoscere fino in fondo, consapevoli che farlo li costringerebbe a spingere il proprio sguardo nel pozzo senza fondo della follia umana.
“L’intellettuale ad Auschwitz” precede il settimo capitolo del saggio, dal titolo “Stereotipi”, in cui l’autore risponde alle domande più ricorrenti tra quelle che si è visto rivolgere nel corso degli anni, in occasione dei suoi numerosi incontri nelle scuole e con i lettori.
Chiude l’opera il capitolo “Lettere di tedeschi”, in cui Primo Levi condivide e commenta alcune lettere ricevute negli anni a seguito della pubblicazione in Germania di “Se questo è un uomo”, la sua opera più conosciuta, data alle stampe circa 40 anni prima dei “Sommersi e i salvati”.

Vi prego, recuperate questo saggio, leggetelo e fatelo leggere: è un documento storico di importanza e di attualità straordinarie.

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I sommersi e i salvati 2020-03-01 19:11:30 AriMonda
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AriMonda Opinione inserita da AriMonda    01 Marzo, 2020
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L'importanza della memoria

Settantacinque anni sono passati dalla liberazione del campo di Auschwitz e cogliendo il monito di Primo Levi di conoscere per non dimenticare ma soprattutto per evitare di commettere gli stessi errori, mi sono avventurata in questa opera, in questo saggio che l’autore ha scritto quarant'anni dopo di "Se questo è un uomo".

Un’analisi lucida, attenta e spietata che il chimico deportato e scampato alla morte, a cui è condannata la popolazione dei campi di concentramento, riesce a rendere con uno stile sobrio, pacato e allo stesso tempo profondo. Levi cerca di rispondere alle domande che noi, persone vissute dopo il sterminio, ci poniamo e poniamo ai sopravvissuti. Con una razionalità e una sincerità che spesso lascia interdetti e spaventa, Primo Levi racconta della difficoltà dei reduci a ricordare i peggiori momenti della loro vita, dove la vergogna si lega al senso di colpa, dove la vittima finisce per essere irrimediabilmente corrotta. Infatti uno dei punti che Levi affronta nella sua disamina sull'argomento coinvolge proprio questo aspetto e più di tutti sconvolge, ci lascia sospesi e ci fa riflettere sulla natura umana e sul male che è possibile fare, ma soprattutto sul male che si instilla dentro alle vittime, rendendo impossibile per loro un riscatto, una pace dopo la tempesta.

Levi riesce a rispondere, attraverso quest’opera, a domande scomode che tutti noi ci siamo posti mentre studiavamo questo periodo storico o che avremmo voluto rivolgere alle persone scampate allo sterminio. Egli passa in rassegna della materia scottante ma su cui noi difficilmente potremmo muoverci senza una guida-testimone di quei fatti. Racconta dell’impossibilità umana nel giudicare le azioni commesse da una parte dell’umanità che ha preso parte a questo delicato e terribile momento, quella parte di uomini e donne, che si sono piegati al potere e si sono lasciati trascinare dalla parte del carnefice. Egli ci parla dell’importanza della comunicazione e del disagio provato dai prigionieri deportati da varie parti d’Europa, costretti a convivere senza la possibilità di comprendersi; dell’arma a doppio taglio che può essere la formazione scolastica e la cultura in un contesto disumanizzato dove tutto si riduce a un rapporto padrone-bestia; della difficoltà nel gestire i ricordi e nel capire quanto fragile sia la memoria che modifica i fatti per reagire a traumi che preferisce dimenticare.

Credo che questo libro, pesante da certi punti di vista, cinico e più che mai realista, sia il modo migliore, visti i tempi attuali, per addentrarsi all'interno di un mondo ormai per noi lontano, per scoprire fino a dove può spingersi la pazzia di un popolo, fino a dove può arrivare la spietatezza e la crudeltà umana. È un’opera spietata, infatti, ma che lascia spazio alla speranza, all'indulgenza anche se non al perdono, che lascia trapelare una luce di positività. Levi non condanna, non punta il dito contro nessuno in particolare, non si lascia ammaliare dalla vendetta, dalla possibilità di ripagare con la stessa moneta i torti subiti, ma ci invita alla comprensione e a sospendere il giudizio, laddove un uomo, un uomo che non ha conosciuto la morte e la cattiveria dei Lager, non può addentrarsi e di lasciare a chi di competenza il compito di emettere di sentenze. Levi invita alla riflessione, alla comprensione se è possibile e all'impegno perché ciò che è accaduto non accada di nuovo.

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I sommersi e i salvati 2019-09-05 14:11:30 siti
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siti Opinione inserita da siti    05 Settembre, 2019
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31 luglio 1919

Nel centenario della nascita di Primo Levi è ancora più prezioso risentire la sua voce, ripercorrere il suo pensiero, riproporre le sue riflessioni. Quelle compendiate in questa sua ultima opera (1986) sono il risultato di un lungo processo di recupero del fatto storico, nato prima dall’esigenza del giovane scampato al lager di testimoniare e di fare della scrittura terapia, per giungere poi in una continua evoluzione del pensiero ad una sedimentazione ragionata del fatto in sé. Solo una necessaria distanza e la capacità di trattare l’argomento in un mutato scenario umano, storico, sociale ed economico permettono all’uomo che fu prima vittima di accompagnare ognuno di noi nella comprensione del fenomeno evitando le storture che scaturiscono in primis dai truffaldini meccanismi della memoria- in maniera trasversale di quella delle vittime e quella dei carnefici – e in secondo luogo da certe immagini standardizzate che tutti conosciamo (il pigiama a righe, il filo spinato, i forni, le sevizie …) e che rischiano di appiattire il variegato “mondo concentrazionario”. L’opera di testimonianza che ha accompagnato l’esistenza del chimico reintegrato alla vita sociale è stata poi decisiva per questo labor limae perché, nel corso del tempo, ha permesso di chiarire l’inconsistenza delle domande più ricorrenti, sempre le stesse, che gli venivano rivolte dai giovani delle scuole ma non solo. Levi ha avuto il tempo di percepire tutte le fasi che hanno distinto la tardiva “scoperta”, lo studio, la celebrazione, la memoria e lo stesso negazionismo del “fenomeno Lager” e ha avuto l’intelligenza di intervenire con un acuto aggiustamento del tiro, un ripensare il fenomeno stesso in ottica più elevata, di vera comprensione al fine soprattutto di scongiurare il ripetersi di tale abominio. È soprattutto uno scritto che rifugge ogni semplificazione o qualsivoglia manicheismo, fornendo nel frattempo dettagli sconosciuti e in rigorosa sospensione del giudizio. Ognuno degli otto capitoli di cui si compone l’opera permette di affrontare una riflessione sui diversi aspetti che emergono a trattare un fenomeno storico così complesso: la vergogna, la memoria, la comunicazione, la violenza inutile, gli stereotipi in una serie di rimandi culturali che impreziosiscono il pensiero espresso e forniscono eventuali spunti di futura riflessione (è citata per esempio l’esperienza del filosofo Amèry). In conclusione, un’opera necessaria, utile a tutti e raccomandabile soprattutto alla generazione dei Millenial.

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I sommersi e i salvati 2013-01-24 17:02:02 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    24 Gennaio, 2013
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Affinché non si ripeta

«Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre».
Primo Levi

Quarant’anni dopo di Se questo è un uomo, Primo Levi torna a scrivere dei Lager, non con un romanzo, oppure con una puntualizzazione di quella che fu la sua tragica esperienza di recluso, bensì per effettuare un’attenta e approfondita analisi del sistema dei campi di concentramento come mezzo per affermare il potere assoluto, nonché, altro aspetto di rilevante interesse, per evidenziare i comportamenti degli esseri umani, sia a livello individuale che collettivo, così come determinato dalla vita non vita del Lager. Il suo approccio non è per niente enfatico, anzi Levi dimostra una straordinaria lucidità, come se il tempo trascorso dall’evento di cui è stato vittima avesse smussato quella carica interiore di rabbia e di dolore; anzi, ritiene opportuno premettere come la memoria sia sempre fallace e come l’aspetto temporale, cioè gli anni trascorsi, possano nuocere alla trattazione per involontarie omissioni, oppure trasgressioni dei fatti accaduti. L’autore è un uomo di scienza e come tale persegue quotidianamente la ricerca della verità, nel suo caso tanto più importante non per comprendere, ma per poter determinare come un orrore simile sia potuto accadere. Non si tratta solo di un’analisi storica, ma anche di un’indagine antropologica le cui risultanze non sono fini a se stesse, ma travalicano il fatto, di per sé un unicum fino ad ora, al fine di conoscere, affinché non si debba ripetere. In questo modo Levi trova delle risposte che sono basilari per una corretta interpretazione della storia del secolo scorso e per una definizione stratigrafica delle caratteristiche individuali e sociali dell’uomo contemporaneo. Fra l’altro, ho rilevato la straordinaria visione d’insieme che porta l’autore a proiettare la tragedia dell’olocausto ad analoghi avvenimenti successivi che hanno interessato popoli che noi europei ben poco conosciamo, come per esempio la follia omicida del regime di Pol Pot in Cambogia.
E’ questo il risultato delle risposte alle domande che consistono essenzialmente in una metodologica ricerca della verità. Levi si chiede, infatti, quali siano le strutture gerarchiche su cui basa un regime autoritario, quali sono i metodi per annichilire un individuo, per distruggere insomma la sua personalità, quali rapporti intercorrono fra i carnefici e le vittime, come può sussistere una forma di collaborazione, la cosiddetta zona grigia. Tutto questo costituisce questo splendido saggio, diviso schematicamente in capitoli che trattano di volta in volta un argomento, con le inevitabili domande accompagnate da risposte del tutto logiche, che costituiscono per l’autore non la verità assoluta, ma un’interpretazione, e in questo credo di poter dire che tuttavia si avvicina di molto alla realtà oggettiva. Devo pure riconoscere a Levi che già il titolo del libro ci offre uno spaccato esatto della divisione degli internati fra quelli inevitabilmente destinati alla morte (lo erano tutti, ma la maggior parte, annichilita, si lasciava andare, non reagiva), cioè cosiddetti sommersi, e i salvati, quelli che si arrangiavano, magari con un lavoro particolarmente richiesto (sarto, ciabattino, muratore, ecc.) e che nonostante tutto cercavano di porre ostacoli al loro crudele destino di morituri, vale a dire insomma chi lottava ancora per sopravvivere. A differenza del suo romanzo più famoso (Se questo è un uomo), anche qui da testimone l’autore va oltre la ristretta visione del suo essere per giungere a una visione, che potrei dire universale, dei comportamenti, sia degli internati, che degli aguzzini, in cui cerca di trovare le attenuanti (l’educazione ricevuta, l’indottrinamento). Ma c’è anche una terza categoria, fuori dai reticolati, cioè il popolo tedesco, che è poi la più importante, perché l’aver creduto prima ciecamente a un populista come Hitler, subendone il fascino, e l’averlo poi assecondato sono pregiudiziali senza le quali non ci sarebbero state né la guerra, né la Shoah; e quel che è peggio è il silenzio indifferente dei tanti che pur non essendo aguzzini, sapevano e tacevano, a loro modo in preda a una sottomissione della propria personalità a quella artefatta costruita dal nazismo. Per loro in effetti di scuse non ce ne sono ed è proprio per questo comportamento, per questa ardente o indifferente assuefazione a un regime, che la tragedia potrebbe ripetersi, in altre zone, in altre forme, con vittime diverse.
Levi sembra volerci ammonire affinché mai e poi mai una collettività, un popolo, affidino il loro destino a un potere assoluto, con un mandato irrevocabile con cui viene segnata la sorte non solo dei mandatari, ma soprattutto dei soggetti più deboli, di coloro che un regime, anche per nascondere le sue incapacità e scelleratezze, va ad indicare di volta come i responsabili di fallimenti, capri espiatori dati in pasto alle belve dell’odio e dell’indifferenza.
La lettura non è solo consigliata, ma è caldamente raccomandata.

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Se questo é un uomo, di Primo Levi; La tregua, di Primo Levi
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I sommersi e i salvati 2012-04-13 14:38:51 Cla93
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Cla93 Opinione inserita da Cla93    13 Aprile, 2012
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Vittime e carnefici...e la "zona grigia"

Avete qualche domanda che vi ponete sui Lager? Una domanda alla quale nessuno vi ha ancora risposto? Avete dei "perché?" e dei "com'è possibile?" che vi girano nella mente?
Vi assicuro che questo saggio, freddo e spietato, di Primo Levi risponderà a tutte le vostre domande e a tutti i vostri dubbi sul mondo dei Lager. Primo Levi vi illustrerà com'è possibile diventare bestie e com'è facile far perdere all'uomo l'identità.
Adoro Primo Levi per il suo stile aulico e diretto, va sempre dritto al punto e non delude mai il lettore.
Ma soprattutto, la cosa più importante che fa questo saggio è mettervi in guardia... mettervi in guardia, perché come Levi ci spiega, tutti, in ogni momento, possiamo diventare dei carnefici e tutti possiamo diventare delle vittime. Personalmente credo che Levi abbia una visione molto negativa dell'uomo (e posso anche immaginare il perché): ogni uomo è cattivo, ogni uomo ha dentro di sé il seme del male e quel seme può in ogni momento diventare frutto, anche senza che noi lo vogliamo. Visione triste, pessimista; forse non del tutto falsa. Voi... cosa ne pensate?

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