Saggistica Storia e biografie Ho sparato a Garibaldi
 

Ho sparato a Garibaldi Ho sparato a Garibaldi

Ho sparato a Garibaldi

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Il 29 agosto 1862 Garibaldi fu ferito al malleolo sull'Aspromonte durante uno scontro con le truppe regie, episodio diventato celebre anche grazie a una popolare canzone che, però, non fa il nome di chi sparò: il tenente dei bersaglieri Luigi Ferrari, che poco dopo subì analoga sorte, tanto che gli venne amputato un piede. Dimessosi dal servizio, nel 1865 Ferrari fu nominato, con decreto regio, sindaco del paese natale, Castelnuovo Magra. Claudicante, girava con quattro medaglie al petto nascondendo però la motivazione della onorificenza: "adempì all'amaro compito di comunque fermare il generale Garibaldi in marcia verso Roma". Il suo segreto resse finché un vecchio commilitone rivelò: "sapete chi è il nostro sindaco? L'uomo che ha ferito Garibaldi alla gamba". E da quel momento il destino di Ferrari fu segnato. Divenne il nemico numero uno dei repubblicani, dei socialisti, di tutti i benpensanti e i patrioti. E un bel dì si dimise e si trasferì altrove. Arrigo Petacco e Marco Ferrari, discendente di Luigi Ferrari, si mettono sulle sue tracce e ne svelano la vita maledetta, segnata da quell'episodio dell'Aspromonte.



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Ho sparato a Garibaldi 2017-09-05 03:32:48 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    05 Settembre, 2017
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Colui che osò ferire Garibaldi

Garibaldi, dopo la fortunata spedizione dei Mille, era rimasto con l’amaro in bocca, perché l’amata Roma era ancora in mani papaline, ben protette dai soldati francesi. Era un uomo, però, che non si dava per vinto, così che raccolti dei volontari, sbarcò in Calabria, ma sull’Aspromonte si imbatté in un grosso reparto di soldati regi, mandati a intercettarlo onde non provocare con il suo comportamento pericolose tensioni con la Francia. E’ in quell’occasione che l’eroe dei due mondi fu colpito al malleolo da un proiettile sparato dal fucile del tenente dei bersaglieri Luigi Ferrari che, benché avesse ricevuto l’ordine di fermare i rivoltosi con qualsiasi mezzo, evitò volontariamente il bersaglio grosso. Subito dopo, ci fu la ritorsione di un garibaldino che ferì con un proiettile al piede l’ufficiale regio. Le conclusioni della vicenda furono diverse, però, perché Garibaldi venne curato dai migliori medici, mentre il povero Ferrari dovette subite l’amputazione del piede. Il fatto di essere riuscito a fermare Garibaldi e la ferita patita gli valsero comunque una medaglia d’oro al valor militare, con una motivazione non esplicita, ma che lasciava intendere molte cose («Adempì all'amaro compito di comunque fermare il generale Garibaldi in marcia verso Roma, Aspromonte 1862»). Fino a quando un commilitone non rese nota l’effettiva origine dell’encomio il Ferrari era un valoroso soldato, ritiratosi dall’esercito per la menomazione e divenuto stimato sindaco di Castelnuovo Magra. Alla notizia seguì una maledizione, giacché ora anarchici e garibaldini sapevano con chi prendersela per la ferita del loro eroe. Ferrari si dimise da sindaco, si rifugiò a La Spezia, ma ormai aveva tutto l’interesse di diventare un signor nessuno, di gettare alle spalle quel passato, anche eroico, durante il quale aveva combattuto nella prima e seconda guerra d’indipendenza e di cui il libro parla ampiamente.
Interessante? Sì e no, perché in fondo è quasi una notizia di cronaca; resta il fatto, comunque, che permette di conoscere gli spasmi di un periodo storico in cui il mito era intoccabile, passibili quasi del reato di lesa maestà anche se sono convinto che, se dopo il fattaccio e a ferite ormai rimarginate fosse stato combinato un incontro fra Ferrari e Garibaldi, conoscendo l’animo generoso di quest’ultimo, le cose sarebbero andate diversamente; non ci sarebbe stata senz’altro quella damnatio memoriae che per tanto tempo accompagnò la famiglia Ferrari, rea di essere imparentata con quel criminale che si era permesso di sparare, ferendolo, all’eroe dei due mondi. L’incontro, o almeno il tentativo di abboccamento ci fu, però con Garibaldi ancora convalescente, che non lo ricevette, ma si limitò a salutarlo militarmente da una finestra.
E’ stato proprio per liberarsi da un peso originario che si portavano appresso che, i due autori, entrambi discendenti di Luigi Ferrari, hanno scritto questo libro per restituire alla memoria un personaggio nel complesso senz’altro positivo.
La lettura è comunque gradevole e anche per questo consigliata.

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