Giudici
Saggistica
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Lo Stato complice
Un singolo magistrato, una Procura della Repubblica, un intero organo giudiziario che – ciascuno per la propria competenza – indagano e rinviano a giudizio una persona in vista ma chiacchierata, un intoccabile a livello locale o nazionale (un notabile, un politico, un esponente dell'alta borghesia, etc.) compiono un servizio a favore della comunità? Istintivamente si potrebbe rispondere di sì. E se le indagini e il rinvio a giudizio riguardano piccole e veniali questioni, invece che ben altre vicende di cui pure la magistratura è a conoscenza? E se quei soggetti riescono a difendersi agevolmente per i trascurabili fatti contestati, legittimando la propria fama anche in virtù dell'uscire “immacolati” dai processi?
Testo istruttivo, “Giudici” è uscito nel 1994.
Il suo autore, Giuseppe Di Lello, avrebbe potuto scrivere tutt'altro libro. E' stato egli stesso un magistrato. E' stato – con Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e Leonardo Guarnotta – uno dei quattro giudici chiamati da Antonino Caponnetto, l'allora procuratore capo di Palermo, a formare l'originario pool antimafia. Una pagina coraggiosa, significativa, tenace, della nostra Repubblica, culminata nella sentenza di quel maxiprocesso che raggiunse due obiettivi storici: rendere innegabile l'esistenza della mafia – che qualcuno, spesso per utilità personale, ancora metteva in dubbio – e segnare l'inizio del declino di Cosa Nostra siciliana.
Ma, per capire davvero l'importanza di una seria lotta alla mafia, la scelta di Di Lello è più che indovinata: analizzare circa 50 anni di “atteggiamenti” della magistratura, ricordando che il lungo corso del potere giudiziario siciliano e romano – prima di essere storia di uomini con altissimo senso del dovere – è stata una deprimente vicenda di compenetrazione in un sistema di potere tipicamente italiano.
Così scorrono, l'uno dietro l'altro, fatti di sangue, omicidi, eccidi, cui la magistratura dà risposte parziali, o addirittura fuorvianti (quando non “addomesticate”). Portella delle Ginestre (la prima strage politica del dopoguerra), il sacco di Palermo, l'omicidio del procuratore Pietro Scaglione, la strategia “paraterroristica” del 1992. Episodi su cui il libro si sofferma uno ad uno, inserendoli nel loro preciso contesto (ciò che, secondo Di Lello, non è stato fatto da diversi tribunali e corti giudiziarie pronunciatesi sui fatti citati) e che possono essere riassunti in un passo contenuto nella prima parte del libro, il quale ben ne chiarisce la sostanza:
“A Palermo, cuore politico della Sicilia, sono stati trucidati in un breve volgere di anni, i nostri anni, il presidente della regione, il segretario regionale del più grande partito di opposizione, il prefetto, il procuratore della repubblica, il consigliere istruttore e schiere di uomini politici, poliziotti, magistrati, imprenditori, carabinieri, ma anche diverse centinaia di cittadini, anonimi o noti, mafiosi o 'normali', senza che ciò provocasse nessun reale mutamento di quel ceto politico insediato al governo del paese e ciò per un semplice motivo: il tassello di questa borghesia mafiosa è stato sempre indispensabile per la tenuta del complessivo mosaico del potere nazionale, e di conseguenza è stato accettato così com'è, con il suo carico di violenza e di sangue, dai reggitori democratici e occidentali della repubblica nata dalla resistenza. Ci vorranno più di quarant'anni perché qualche nipotino di questo sistema di potere cominci a storcere il naso, strappato al sonno della democrazia reale dalle bombe di via Pipitone Federico, di via D'Amelio o di Capaci; più di quarant'anni anche per noi, per capire che le vittime di questa violenza sono speculari alle storie di altri palazzi, quelli di giustizia compresi, che per decenni si sono schierati dalla parte sbagliata.”
Affermazioni che vengono ampiamente motivate nel volume, e che, riflettendoci, riportano alla cronaca odierna, alla sentenza di primo grado sulla trattativa tra Stato e mafia, ai ministri sofferenti di amnesie, ai comportamenti irrituali di reparti operativi speciali delle forze dell'ordine... mentre gli eroi di un Paese che ha (pur)troppo bisogno di eroi, morivano di tritolo.