Saggistica Storia e biografie Gabriele D'Annunzio nelle lettere a Giancarlo Maroni
 

Gabriele D'Annunzio nelle lettere a Giancarlo Maroni Gabriele D'Annunzio nelle lettere a Giancarlo Maroni

Gabriele D'Annunzio nelle lettere a Giancarlo Maroni

Saggistica

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Al Vittoriale di Gardone Riviera, sul lago di Garda, Gabriele d’Annunzio invia messaggi al suo architetto, chiedendogli protezione. “Tu sei tra i pochissimi – gli scrive – che sappiano amarmi”. Nella corrispondenza con l’architetto GianCarlo Maroni ecco il resoconto dei “pellegrinaggi” al Vittoriale e la costruzione di Schifamondo, il laborioso restauro della casa materna di Pescara e l’avvio della storia palese del Libro segreto. Tra le righe affiorano ancora motivi francescani ed emergono nuovi spunti sull’atteggiamento di d’Annunzio nei confronti del fascismo, della cui parte buona si disse precursore. Poi c’è la questione del suo rapporto col cristianesimo, che Vittorio Messori ripropone.



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Gabriele D'Annunzio nelle lettere a Giancarlo Maroni 2010-12-06 14:21:51 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    06 Dicembre, 2010
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D’Annunzio meno mito

Chi sia Gabriele D’Annunzio penso, e spero, lo sappiano tutti, mentre assai meno noto è Giancarlo Maroni, tanto che viene lecito chiedersi chi fosse mai costui che, fra l’altro, poteva permettersi una fitta corrispondenza con il grande poeta abruzzese.
Giancarlo Maroni (Arco, 1893 – Riva del Garda, 1952) è stato un architetto, anzi l’architetto del Vittoriale, la dimora Mausoleo di Gabriele D’Annunzio a Gardone, ove si ritirò dopo l’esito infausto dell’impresa fiumana.
Quindi, fu in virtù di questo incarico che si avviò un’intensa corrispondenza fra i due, reperita da Ruggero Morghen e di cui si disserta in questo breve, ma interessante saggio.
In effetti può sorprendere come un epistolario possa gettare nuova luce su un artista tanto amato dagli italiani da venerarlo, spesso senza mai aver letto qualcosa di suo. In queste lettere, in cui si esprimono giudizi su alcuni lavori realizzati, si formulano ipotesi su altri, si chiedono e si rilasciano consigli, si rileva un progressivo affiatamento che porta al sorgere di una vera e propria amicizia, ma soprattutto si notano caratteristiche dell’uomo D’Annunzio che, nel separarlo da quell’alone di mito di cui lui stesso si era circondato, lo rendono più simpatico evidenziando una comune vulnerabilità.
Il poeta è tutto lì, è carne e ossa, sentimenti e affetti non da dio, ma da umile mortale, e in questa riscoperta di una dimensione normalmente umana in un’artista che finì con il diventare prigioniero del suo mito sta tutta la sua reale grandezza; ha fretta che l’opera sia conclusa, perché sa di essere mortale, e infatti, quattro anni dopo le lettere di questo epistolario che risalgono al 1934, Gabriele D’Annunzio morirà per un’emorragia cerebrale.
Sorgono spontanee molte domande, vista la differenza fra il D’Annunzio uomo e il D’Annunzio vate, ma una sopra tutte: fu fascista? Si può rispondere tranquillamente che non lo fu, benché il fascismo gli dovette molto. Se posso esprimere una personale opinione, dico solo che Gabriele D’Annunzio fu certamente uomo di destra, conservatore, ma libertario, non inquadrabile in nessuna ideologia politica, amante dell’ordine, ma anche di comportamenti fuori dei canoni, insomma un personaggio complesso in cui luci e ombre si alternavano con sorprendente rapidità.
Il saggio di Morghen è quindi un elemento prezioso per conoscere di più il poeta abruzzese, ma lo è anche per avere un altro angolo di visuale di un anno del ventennio che inevitabilmente si riflette, è presente in quelle lettere.
Da leggere, quindi, perché ne vale la pena.

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