Saggistica Storia e biografie Fucilate gli ammiragli
 

Fucilate gli ammiragli Fucilate gli ammiragli

Fucilate gli ammiragli

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La battaglia di Capo Matapan del marzo 1941 rappresentò la più grande sconfitta navale nella storia della Regia Marina. Fu una «Caporetto del mare». È solo una delle tragedie della Marina italiana – all’epoca la quinta del mondo – raccontate da Gianni Rocca in Fucilate gli Ammiragli. Molteplici furono le cause della inferiorità italiana rispetto alla Royal Navy: la mancanza di portaerei – dettata dall’errata convinzione che per l’Italia, affacciata sul Mediterraneo, fossero superflue – l’assenza del radar di bordo, le falle nel sistema di comunicazione, ma anche la fellonia dei comandanti, avvezzi più alle parate che alla guerra. Il Mediterraneo, che il fascismo aveva pomposamente ribattezzato Mare Nostrum, divenne nei fatti un lago inglese. In questo libro avvincente e documentato, Rocca accompagna il lettore sulle «rotte della morte», davanti alle acque di Malta conquistata dai britannici quasi senza colpo ferire, ma ci mostra anche la determinazione e il coraggio di tanti marinai che, nonostante gli errori di Supermarina (il comando iperburocratico che gestiva le operazioni navali) combatterono con onore.



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Fucilate gli ammiragli 2017-08-05 13:09:37 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    05 Agosto, 2017
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Non fu una grande Marina

Il 22 maggio 1944 gli ammiragli Inigo Campioni e Luigi Mascherpa furono giudicati a Parma dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato; erano imputati di essersi arresi dopo l’armistizio dell’8 settembre, o addirittura di aver preso le armi contro gli ex camerati germanici. Tutto si svolse nell’udienza di un giorno, al termine del quale furono riconosciuti colpevoli e condannati a morte. C’era tuttavia la speranza, anche in parte dei fascisti, di una grazia da parte di Mussolini, che però si rifiutò di firmare il provvedimento di clemenza, così che all’alba del 24 maggio entrambi vennero fucilati. Perché così tanta ferocia, soprattutto nel Duce? Perché si riteneva che all’infausto procedere del conflitto molto avesse contribuito la Marina e in effetti, come le altre armi, anch’essa ci mise del suo, ma la colpa più grande era di chi, sapendo della nostra impreparazione a una guerra, decise lo stesso di parteciparvi, confidando nella buona sorte e nelle vittorie dei tedeschi. Mussolini aveva bleffato come un giocatore di poker e ora non restavano più carte da giocare; quindi, in una sorta di autodifesa, il duce andò a cercare dei capri espiatori, ben sapendo che le loro colpe erano di molto inferiori alle sue.
Fucilate gli ammiragli è un bel saggio storico di Gianni Rocca, in cui vengono messi in evidenza pregi (pochi) e difetti (molti) di quella che sulla carta pareva una fra le massime Marine al mondo. Avevamo, infatti, un apprezzabile numero di corazzate e di incrociatori e di naviglio minore, nonché la più grossa flotta sottomarina. Non c’erano però portaerei, perché non si erano volute, e anche la collaborazione con l’Arma Aeronautica lasciava alquanto a desiderare; se poi consideriamo che le decisioni strategiche e perfino tattiche spettavano a un organismo centrale (Supermarina) lontano anche più di mille miglia dal luogo dello scontro, lasciando quindi ben poca autonomia al comandante della flotta in mare, si può comprendere quanto faraginoso dovesse diventare un piano di battaglia, con inevitabili ricadute negative. Anche i mezzi erano inadeguati e pochi e in parecchi casi inferiori alle aspettative (i nostri incrociatori, che alle prove, alleggeriti e senza armamento, risultavano velocissimi, in battaglia diventavano lenti); non avevamo il radar, non eravamo addestrati al combattimento notturno, le salve dei nostri cannoni avevano una notevole dispersione e infine anche il mezzo che ci diede maggiori soddisfazioni, il sommergibile, aveva un castello troppo sviluppato, così che era lento a immergersi e i nostri siluri non erano elettrici, ma ad aria compressa, con le bolle che lasciavano una inequivocabile scia che permetteva di localizzare meglio l’arma subacquea. Notevoli risultati invece ottenemmo, per opera di pochi, con i siluri a lenta corsa, detti anche maiali, grazie ai quali furono gravemente danneggiate due corazzate britanniche nel porto di Alessandria.
In ogni caso in nostri marinai non vennero mai meno al senso dell’onore e si impegnarono sempre al massimo delle possibilità. Tuttavia, fra i gerarchi non pochi furono quelli che a fronte di ripetute strane coincidenze arrivarono a pensare all’esistenza di uno o più traditori fra gli alti gradi della Marina; troppi infatti erano i convogli, che allestiti in segretezza, venivano attaccati, con gravi perdite di uomini e di materiali; purtroppo non si era a conoscenza che gli alleati, grazie a una copia di Enigma, la macchina cifratrice e decifratrice tedesca, catturata in modo rocambolesco, potevano mettere in chiaro tutti i messaggi in codice fra i nazisti e anche fra questi e i loro alleati.
Sì, anche la Marina avrà avuto le sue colpe, ma l’unica grande colpa fu quella del capo, di un Mussolini che si illuse che l’Italia fosse una grande potenza, anche se - e questo doveva ben saperlo – non lo era.
Da leggere.

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