Eluana
Saggistica
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Vivere a prescindere?
Quando nel non poi così lontano 2008 la giurisprudenza si è pronunciata in merito alla vicenda che ha visto protagonista Eluana Englaro ed il padre ha avuto il via libera per procedere all’interruzione forzata dei trattamenti sanitari e alimentari si è semplicemente scatenato il caos. Sembrava che la scelta di vivere o di morire così come il gesto posto in essere da un genitore che per 17 anni ha assistito la figlia in stato vegetativo irreversibile fosse di dominio pubblico, un qualcosa per cui tante voci si sono sentite in dovere di giudicare e/o dire la loro. Una scelta si è trasformata in un caso. Considerando la questione toccata da questa vicenda, lo stato in cui viviamo e l’attuale criticità della questione eutanasia era inevitabile che ciò non accadesse. Ognuno nella propria vita ha un suo percorso ed ha l’occasione di assistere come non a situazioni in cui individui sono costretti ad invalidità di varia gravità che possono provocargli tanto la perdita di mobilità fisica che facoltà di discernimento psichico. Varie sono le tematiche che si vengono ad aprire se pensiamo a questa forma di morte. In primo luogo vi è il contrasto fra dichiarazioni poste in essere quando il soggetto è capace di intendere e di volere e dall’altro quello etico del diritto alla vita per cui questo andrebbe tutelato oltre ogni ragionevole dubbio. Da qui si può procedere analizzando la problematica di un possibile testamento biologico per poi confluire all’eticità propria di questo argomento nel rispetto della propria fede religiosa, laica o semplicemente attenendosi ad una volontà pur sempre chiaramente dichiarata. Ancora si può analizzare il duplice dolore, quello provato da una figlia che se senziente è posta ad una tortura pluriennale e se non è portata a vivere soltanto grazie all’ausilio di “terze mani” e quello di una famiglia che deve convivere con la consapevolezza di non avere la possibilità di rivedere la figlia che ha sempre conosciuto tanto da arrivare all’epilogo che tutti conosciamo.
Tante sono le domande che possiamo porci ed altrettante sono le risposte e le non risposte che possiamo darci. Non esiste una soluzione definitiva al “problema” così come una decisione univoca, in parte perché è difficile valutare nel concreto quando una determinata condizione è vivere e quando non lo è, in parte perché siamo troppo legati a questo schema per affrontare obiettivamente il tema della vita come diritto e come dignità. Ma è anche vero che l’incertezza non ha mai portato da nessuna parte e che una linea guida da seguire, qualunque essa sia, sarebbe necessaria se non altro per poter far fronte ad una realtà che non solo è attuale ma che è anche sempre più frequente. Ed è vero, parlando di eutanasia viene spontaneo chiedersi quando, se riconosciuta, applicarla perché inevitabili sarebbero le casistiche (dal tetraplegico al suicida) che ne deriverebbero. Ma è giusto parlare di vita quando questa è un disagio per l’individuo? Il valore protetto prevale sulla scelta individuale o soccombe a questa?
Il romanzo è ricco di molti contenuti e chiama il lettore ad interrogarsi. Se da un lato tocca il dolore di una perdita dall’altro ricorda quello di una volontà espressa ma non riconosciuta, invita a guardare con i propri occhi e non con quelli dei media nonché ripercorre le battaglie legali portate avanti in 17 anni evidenziando come una presa di posizione sia sempre più necessaria. Con umanità e dignità cerca semplicemente di spiegare le ragioni di una scelta senza la pretesa che questa venga accettata e consapevole delle critiche suscitabili. E’ un libro che tocca nel contenuto e non nello stile, che suscita perplessità interiori e che sprona al confronto con differenti credi e opinioni. Non è un’opera facile da leggere ma che non farebbe male ad essere sfogliata.
Nel rispetto di ogni pensiero vi lascio con alcune delle parole che al tempo furono pronunciate.
«Chi ama di più la vita: la suorina che vorrebbe continuare ad alimentare forzatamente una donna in coma o il padre che ha scelto di generare di nuovo la figlia liberando la sua forza vitale da un corpo che la imprigiona da 17 anni? C'è una critica che bisogna fare alle gerarchie cattoliche: l'incapacità a liberarsi dal dominio del sacro, cioè la tendenza a separare le sfere della nostra vita, ciò che è sacro da ciò che non lo è. Eluana e suo padre stanno seminando senso positivo della vita con sofferenza ma anche con forza. A loro sento di dover essere profondamente grato» cit. Enzo Mazzi
«Se Eluana non percepisce nulla non si capisce in cosa consista questo suo vivere, se invece dovesse talvolta percepire la propria situazione, si tratterebbe di una orrenda tortura. Nella primitiva storia del cristianesimo il morire era una cosa naturale e un avvicinarsi alla vita eterna. C'è una notevole preoccupazione dei vertici vaticani nei confronti della modernità. La Chiesa ormai, non potendo più contare su una maggioranza reale, punta sulla 'maggioranza morale': cioè pretende di pesare di più in base a una presunta superiorità dei propri principi morali. E questo è antidemocratico.» G.F.
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Il buon padre.
Recensire questo libro è voler giustificare, che brutta parola, la concettualità di un padre.
Se avessi detto "l'operato", "l'idea","l'ideologia" del padre...avrei sbagliato.
Ma se ne sono sentite tante in quei giorni!
E forse, ripeto forse, i media non si sono minimamente resi conto delle stupidaggini cliniche che andavano a gettare in bocca alla gente.
Bisogna vederla una ragazza in quelle condizioni,per capire!
Bisogna saper "non avere ribrezzo" per entrare tutti i giorni in certi reparti.
Bisogna non essere padri per non capire.
Il libro è scritto con grande umiltà e con infinita pena.
Beppe Englaro parla da non addetto ai lavori, da uomo "infranto", da padre che dopo una decisione terribile si è guadagnato, da chi poi e con quale diritto?, l'epiteto di ASSASSINO!
Non ho mai conosciuto il papà di Eluana, ma se avessi questo onore lo abbraccerei.
E' immensamente facile giudicare.
Col male bisogna vivere!
Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo...
Facile parlare, sciacalli!
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vita
E' strano. Beppino Englaro chiede silenzio sulla vicenda Englaro però non rinuncia a pubblicare le sue sensazioni, emozioni ed esperienze a contatto con Eluana.
Vuole essere lui il direttore d'orchestra, decidere quando se ne deve parlare e quando tacere. Peccato però che l'episodio che ha visto protagonista sua figlia abbia dei risvolti sociali enormi. Si da il caso che sia stato introdotto nell'ordinamento italiano (speriamo non ancora nelle coscienze) un principio di disponibilità della vita e di ammissibilità dell'eutanasia che non era dato riscontrare nella legislazione. E lo si è fatto oltretutto in modo surrettizio, per vie traverse, mediante provvedimenti paramministrativi come quelli resi in sede di volontaria giurisdizione, fragili dal punto di vista della rilevanza ordinamentale e del contraddittorio.
Poi si pretende che solo il padre possa parlare di questo cas. E perchè mai? Eluana non era forse anche una cittadina? Non faceva parte di una comunità? Il modo di "risolvere" la sua situazione non ha forse delle conseguenze sul futuro di noi tutti e dei casi analoghi?
A me non piace l'epilogo della vicenda. quella solitudine apparentemente celebrativa della libertà individuale, quella sottoconsiderazione della vita malata e sofferente mi preoccupano. Quale principio si è affermato? L'autodeterminazione? A parte le perplessità sulla reale volontà espressa a suo tempo da Eluana e sulla persistenza nell'attualità, ma sin dove si deve spingere l'applicazione di questo "principio"? Badate che i principi, una volta posti, hanno una forza propria, esigono coerenza. Se una persona perfettamente sana dovesse stancarsi per qualsiasi motivo di questa vita e si recasse da un medico per chiedergli la morte, lo si dovrebbe accontentare? No? E sulla base di quale principio? Quello della "qualità della vita"? E l'auotodeteminazione sparisce?
Credo che la antinomie si superino solo tornando ad abbracciare un sano amore per la vita in tutte le sue manifestazioni, ne guadagneremmo tutti.