Saggistica Storia e biografie Dal Monte Nero a Caporetto
 

Dal Monte Nero a Caporetto Dal Monte Nero a Caporetto

Dal Monte Nero a Caporetto

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Le battaglie dell’Isonzo viste con gli occhi di un tenente di artiglieria dell’esercito austro-ungarico. Dall’occupazione del Monte Nero alla ritirata di Caporetto: per ventinove mesi, divisioni su divisioni vennero fatte affluire sul fronte isontino dove si svolse una delle più immani carneficine della storia del Novecento. Su un tratto lungo circa 70 chilometri, dove era impossibile qualsiasi azione manovrata, gli eserciti italiano e austro-ungarico si affrontarono in una serie interminabile di attacchi e contrattacchi frontali di una ferocia inaudita, uomo contro uomo, per strappare all’avversario poche decine di metri di terreno o qualche posizione poi risultata indifendibile. Weber dà una testimonianza significativa del coraggio e dello spirito di sacrificio dei soldati italiani.



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Dal Monte Nero a Caporetto 2018-05-11 15:58:09 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    11 Mag, 2018
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La guerra sull’Isonzo vista dall’altra parte

Undici grandi battaglie sull’Isonzo si conclusero con un quasi nulla di fatto, se si eccettua la presa di Gorizia, ma con gravissime perdite e, soprattutto, con pesanti strascichi sul morale delle nostre truppe, i cui effetti negativi, unitamente a gravi responsabilità dei comandanti, si sarebbero visti in occasione della dodicesima battaglia, quella nata dall’offensiva austriaco-tedesca e che si concretizzò nella disfatta di Caporetto. Fritz Weber che durante la Grande Guerra era tenente d’artiglieria sul fronte italiano, autore di altre celebri opere come Guerra sulle Alpi (1915-1917) e Tappe della disfatta, con questo volume in cui predomina l’aspetto storico sulle vicende personali parla appunto delle dodici battaglie dell’Isonzo e lo fa con quella sostanziale imparzialità presente anche negli altri suoi due libri. Certo ha un occhio di riguardi per l’esercito imperiale, di cui faceva parte, ma non lesina giudizi negativi sulla condotta delle operazioni, né si esime da apprezzamenti sul valore del nemico; in ogni caso la sua penna è guidata da un profondo senso di pietà per chi combatté disperatamente, morendo o restando gravemente ferito, lungo quel fiumiciattolo che risponde al nome di Isonzo e che negli intendimenti del nostro Stato Maggiore avrebbe dovuto rappresentare il punto di partenza per l’invasione dell’impero asburgico. Da un lato Cadorna mandava all’attacco frontale i suoi soldati, con conseguenti immani perdite, dall’altro Borojevic imponeva alle sue truppe di resistere a oltranza, contrattaccando ove fosse stato possibile. Questa tattica militare spiega pertanto l’elevato numero di caduti sugli opposti fronti, e senza che ci potesse essere una soluzione definitiva, perché se gli italiani non sfondavano, era altrettanto vero che gli austriaci, peraltro inferiori di numero, non potevano sperare in una vittoria determinante con una tattica d’arresto. Era una situazione di stallo, imposta dal terreno e dagli elementi contingenti, ma le cose avrebbero potuto essere molto diverse se, nei primi giorni di guerra, Cadorna avesse osato un po’, visto che il fronte austriaco era difeso da un velo di truppe; né mai al generale italiano venne in mente una mossa geniale come quella inventata da Conrad von Hotzendorf nella primavera del 1916 con la famosa Strafexpedition, fermata sì dall’eroismo dalle nostre truppe, ma soprattutto dal ritiro di numerosi reparti imperiali per essere avviati al fronte orientale onde contrastare una profonda offensiva russa, peraltro reclamata a gran voce dal nostro Stato Maggiore, messo alle strette dalla dirompente avanzata nemica sugli altipiani. Non dico che Cadorna avrebbe dovuto necessariamente attaccare sulla direttrice Asiago – Lavarone, ma ci fu più di un’occasione in cui un’azione ben congegnata in Valsugana avrebbe potuto portarci rapidamente a Bolzano e da lì al Brennero, minacciando di avvolgimento lo schieramento austriaco postato lungo l’Isonzo.
In Dal Monte Nero a Caporetto l’esperienza bellica di Fritz Weber ha un peso piuttosto modesto e a prevalere è invece la ricerca storica, a tutto beneficio della comprensione di certi eventi, fra i quali appunto lo sbandamento del nostro esercito in occasione della dodicesima battaglia, ed è importante sentire il suono dell’altra campana, la quale ribadisce l’incapacità dei nostri comandi a comprendere il senso di un’azione congiunta e manovrata di ampio respiro, che avrebbe potuto giustificare le grandi perdite con la conquista di vaste zone e con la minaccia non certo velata di puntare su Vienna. Quindi rispetto e onore per i nostri soldati e critiche, non infondate, per i nostri comandanti; per quanto concerne poi l’esercito austriaco c’è una partecipata commozione alla sorte di tanti militari di diversa nazionalità, ma tuttavia fedeli a un impero agonizzante ancor prima dell’inizio del conflitto; per i comandanti imperiali in genere c’è rispetto e anche stima, pure loro vittime di un regime morente. Per chi vuole conoscere un po’ di più la storia della nostra Grande Guerra Dal Monte Nero a Caporetto rappresenta un saggio utile e per niente greve, un’opera quindi che mi sento di consigliare anche perché dalla lettura di fatti che ci riguardano scritti da un ex nemico si possono solo trarre apprezzabili insegnamenti e ragionevoli metri di giudizio.

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