Saggistica Storia e biografie Cefalonia. Sangue intorno alla Casetta Rossa
 

Cefalonia. Sangue intorno alla Casetta Rossa Cefalonia. Sangue intorno alla Casetta Rossa

Cefalonia. Sangue intorno alla Casetta Rossa

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La presentazione e le recensioni di "Cefalonia. Sangue intorno alla Casetta Rossa", saggio di Paolo Paoletti edito da Agemina. Un altro libro in cui Paolo Paoletti sviscera e documenta, con la sua consueta perizia e precisione, una delle stragi più controverse della Storia. Nell'introduzione al libro fatta dallo stesso Autore si legge: Scriveva giustamente Alfio Caruso nel 2000 "Nella triste memoria delle sofferenze questa 'casetta rossa' merita di stare con le Fosse Ardeatine e con la Risiera di San Saba. Peccato che nessuno se ne ricordi".



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Cefalonia. Sangue intorno alla Casetta Rossa 2009-07-11 18:27:19 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    11 Luglio, 2009
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Un po' di verità

Cefalonia non è solo un’isola greca delle Ionie, meta oggi turistica, ma è stata anche il teatro di una delle più atroci stragi compiute dall’esercito tedesco nel corso della seconda guerra mondiale. Lì nel 1943 era di stanza la Divisione Acqui e dopo l’armistizio dell’8 settembre resistette ai tedeschi, per giungere infine alla resa, dopo la quale fu letteralmente distrutta, parte con omicidi deliberati nel corso di azioni di rastrellamento, parte con fucilazioni e il tutto per espresso ordine di Adolf Hitler.

Quante furono le vittime? Non si saprà mai, ma, secondo vari computi e diverse fonti, si calcola siano state fra 1.700 e 9.400.

Paolo Paoletti, storico a cui si devono diverse opere sugli eccidi compiuti dai nazifascisti e che già aveva scritto dei testi sulla dolorosa vicenda, con questo nuovo libro preferisce relazionare ampiamente sulla sorte degli ufficiali italiani a Cefalonia, la maggior parte fucilati in una località caratterizzata da una casetta rossa, nel cui cortile attesero, e si può immaginare con quale strazio, il loro turno nel macabro rituale dell’esecuzione.

L’autore si muove a distanza di molti anni e cerca di arrivare, se non alla verità, comunque di avvicinarvisi.

Il suo è stato un lavoro metodico, professionale, di ricerca di documenti, al fine di trarre delle plausibili conclusioni.

Come ogni buon storico non ha la pretesa di essere sicuro nei risultati e proprio per questo accompagna il lettore con l’indicazione del metodo esperito, affinché possa comprendere come, per effetto della cronica disorganizzazione italiana e per il tempo trascorso, sia riuscito a giungere solo a maggiori chiarimenti del fatto, con la certezza però che esistono ancora tante zone d’ombra; insomma, il frutto di tanta certosina pazienza è solo un po’ di verità, ma non la verità.

Laddove ha elementi di valutazione abbastanza attendibili e completi riesce a spiegare comportamenti e cause, come nel caso dell’atteggiamento, che personalmente ho sempre considerato poco chiaro, del comandante della divisione Acqui, il generale Antonio Gandin, medaglia d’oro al valor militare alla memoria, onorificenza forse conferita un po’ troppo frettolosamente.

L’eccidio di Cefalonia fu un atto veramente criminale, voluto personalmente da Hitler, e tuttavia non ebbe conseguenze per chi lo attuò, un ulteriore elemento di straordinaria gravità, questa volta imputabile agli italiani, come la vicenda dell’armadio della vergogna, un chiaro esempio di ragion di stato o, meglio, di oscuri interessi.

Anche Gandin, che pure aveva espresso la devozione al Duce e che era molto stimato dai tedeschi, fu passato per le armi. Fra l’altro sembra che non del tutto estraneo alla sorte della divisione Acqui sia stato anche Mussolini, che da pochissimo liberato dalla prigionia sul Gran Sasso voleva dimostrare la determinazione necessaria per riacquistare il potere.

Ma perché fu dato l’ordine di passare per le armi i soldati italiani a Cefalonia?

Sembrerebbe che la causa dell’eccidio sia stata proprio il comportamento del generale Gandin, da cui i tedeschi attendevano la massima collaborazione, alla luce dei suoi precedenti bellici e della sua fede fascista. In effetti all’inizio delle trattative per la resa e anche nei giorni immediatamente precedenti il comportamento del comandante fu consono alle aspettative, ma poi intervenne qualche cosa (e con tutta probabilità fu l’atteggiamento di buona parte degli ufficiali e della truppa, che non intendevano cedere le armi, ma anzi desideravano ricorrervi) che mandò a monte i piani e precisamente fu il laconico comunicato di Gandin con cui annunciava che i suoi uomini non volevano arrendersi.

Da lì iniziarono gli scontri, particolarmente sanguinosi.

Fra l’altro, Gandin rimase con la sua divisione, pur continuando a manifestare un comportamento ben poco chiaro, visto che da un lato sparava addosso agli ex alleati e dall’altro metteva a loro disposizione un’ambulanza con tanto di uomini della sanità.

Insomma, questo generale non seppe decidersi del tutto se stare con l’ex alleato o combatterlo e inoltre dimostrò agli occhi dei tedeschi l’incapacità di dominare le proprie truppe, due fattori negativi contemporanei che portarono alla reazione spropositata.

Questa è la parte migliore e più interessante del libro, che prosegue poi con il tentativo di dare un numero esatto degli ufficiali fucilati alla casetta rossa, compito improbo, se non impossibile, e così le ultime pagine risultano costituite da lunghi elenchi di nominativi, diversi a seconda di chi provvide a stilarli.

E’ la parte meno avvincente, ma d’altra parte ha la sua valenza storica, perché quelli che morirono là, a Cefalonia, sono stati, tutti, dei protagonisti della storia ed è quindi giusto, o comunque auspicabile, sapere quanti e chi furono.

Il libro è di indubbio interesse e quindi la lettura è sicuramente raccomandabile.

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