Cadorna. Il generalissimo di Caporetto
Saggistica
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Il macellaio
Non credo che le conclusioni che si ritraggono da questo libro possano infangare l’onore di un uomo, perché non si tratta di illazioni, bensì di fatti, di circostanze ampiamente documentate da cui emerge che, al di là degli errori di un comandante in capo, il suo comportamento verso i sottoposti era tipico di chi, illudendosi di essere un superuomo, considera gli altri delle totali nullità, dei numeri, una massa indistinta buona solo da mandare al macello.
In buona sostanza, non è tanto la disfatta di Caporetto che può essere considerata una macchia indelebile nella carriera di questo militare, ma è soprattutto quel suo cinismo, quella sua mancanza di umanità che lo portava a non considerare gli altri, i subordinati.
Se avesse avuto un minimo di cuore, avrebbe almeno provato a cambiare tattica nelle sanguinose battaglie dell’Isonzo, a evitare morti del tutto inutili per difendere un fazzoletto di terra indifendibile. Qualora, poi, non avessero provveduto il fuoco nemico o le malattie a far strage dei nostri soldati, un errato concetto di disciplina di questo macellaio gli faceva credere che si dovessero temere più i propri superiori che l’avversario austriaco, e così anche semplici, spontanee e giustificate proteste sfociavano nell’aberrante pratica della decimazione. Era il fronte interno, erano i socialisti a fomentare la truppa, secondo Cadorna, che non si chiese mai in che reali condizioni combattessero i nostri fanti, immersi nel fango, quasi sempre all’addiaccio, un rancio poco stimolante e povero di calorie, nessun periodo lontano dalla prima linea, se non sovente dopo mesi, insomma l’inferno in terra. Per il comandante in capo era diverso, lontano dal fronte, al sicuro, in un comodo alloggio e con cibo squisito e abbondante. Questo è il Cadorna peggiore dal lato umano, ma non è che anche come militare fosse una cima; lui credeva di esserlo, non aveva autocritica e in cambio guai a esprimere pareri in contrasto con le sue idee, perché era l’immediato trasferimento di un generale a un incarico minore, magari in prossimità o nel bel mezzo di una battaglia. E a proposito di tecnica militare, se forse come tattico era passabile, come stratega era una nullità; non si spiegherebbero così le 11 battaglie dell’Isonzo che sono ognuna la fotocopia della prima o come lo stesso disastro di Caporetto dovuto quasi esclusivamente non solo alla sua incompetenza, ma alla ben poca fiducia nel nostro Ufficio informazioni. D’altra parte, non si poteva pretendere di più da uno che soffriva di manie di persecuzione, che vedeva il governo come un covo di nemici e di massoni, un governo che non riconosceva pubblicamente la sua genialità nominandolo “generalissimo”. Tutti questi elementi emersero dall’inchiesta effettuata subito dopo i fatti di Caporetto e le conclusioni della commissione furono unanimi sulla sua responsabilità di quel disastro. Lui, rimosso dall’incarico, ovviamente non fu d’accordo e scrisse memoriali su memoriali per difendere la sua posizione. Sarà il fascismo a riabilitarlo, ma non perché convinto della sua estraneità alle accuse mossegli, bensì perché all’epoca conveniva così.
Questo saggio storico di Gianni Rocca è estremamente interessante, perché l’autore, pur non parteggiando per la colpevolezza o l’innocenza, riesce a fornire un quadro preciso e completo delle caratteristiche psicologiche e militari di Cadorna, non solo un macellaio, ma anche un vigliacco, al punto che a ritirata ancora in corso in un comunicato dichiarò che unici responsabili del disastro erano i soldati che non avevano combattuto. Non era vero che si erano arresi giulivamente, tranne qualche caso isolato, era vero invece che pur considerati dei sotto uomini per non pochi anni questi militari dimostrarono in quelle giornate di essere migliori dei loro capi e diedero poi prova del loro coraggio e del loro eroismo difendendo, con le unghie e con i denti, il Piave.
Cadorna, il Generalissimo di Caporetto è un libro senz’altro da leggere.