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In concomitanza col ventennale della morte del grande saggista, questo Meridiano testimonia i principali interessi di Mario Praz critico letterario e d'arte, dello storico del gusto, dell'esperto di antiquariato, nonché dell'eccentrico osservatore e divagatore attratto dal macabro, dal grottesco e dal paradossale. Andrea Cane, curatore con Giorgio Ficara dell'antologia, ha strutturato la scelta in modo da dar conto dei principali campi d'indagine di Praz. Accanto agli studi più conosciuti sulla cultura del manierismo e del Barocco, sui rapporti letterari tra l'Italia e l'Inghilterra, sulla letteratura e l'arte dell'Ottocento europeo, sul decadentismo e gli studi sulle arti minori, il volume propone anche il Praz meno noto. Il viaggiatore che ha lasciato pagine memorabili sugli Stati Uniti e sulla Russia, il recensore acuto e caustico di volumi importanti della cultura non solo italiana, l'osservatore attento, e pieno di ironia, della storia del gusto.



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Bellezza e bizzarria 2008-05-28 04:11:43 galloway
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galloway Opinione inserita da galloway    28 Mag, 2008
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Grazie Prof!

"A vent'anni di distanza dalla morte nella prestigiosa collana de “I Meridiani” un'imponente antologia - a cura di Andrea Cane, con un saggio introduttivo di Giorgio Ficara - di testi firmati da Mario Praz, felicemente intitolata “Bellezza e bizzarria” (Mondadori, pp.LXXVI - 1786, Euro 49,00).



Critico d'arte e letterario, anglista di vaglia, esperto d'antiquariato, storico del gusto, misoneista di fondo eppure anticipatore del gusto postmoderno, Praz è stato il più grande saggista italiano del secolo scorso: leggendaria rimane la sua cultura enciclopedica, unita a pari finezza di osservatore curioso ed attratto dal grottesco, dal macabro, dal paradossale.



Scorrendo le pagine di codesta esaustiva ricognizione nel magistero suo, se ne apprezza la versatilità degli interessi di studioso unita a virtù di approfondimento pressoché uniche: a partire da quel “La carne, la morte e il diavolo” (1930) ov'egli per primo interpretava la sensibilità romantica servendosi del filtro della patologia erotica (e guadagnandosi meritato prestigio internazionale, una benevola recensione di Thomas S. Eliot, l'entusiasmo del celebre critico statunitense Edmund Wilson) per giungere al mirabile saggio-romanzo “La casa della vita”, finalista all'edizione 1959 del Premio Strega insieme al “Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.



Carattere umbratile e ben consapevole di detta inclinazione, pure vi si riconobbe ed in essa alloggiò, magari con qualche perplessità; gli s'attagliava, forse, quell'aforisma di Victor Hugo che recita “la malinconia è la felicità d'essere tristi”. Prediligeva abitare in zone e quartieri appartati: ad esempio a via Giulia, a Roma, “quieta come la vita signorile di una città di provincia, quieta come un corridoio tra quelle stanze che erano i cortili dei palazzi”. Amava circondarsi di cose belle, segnatamente nello stile Impero prediletto fin da ragazzo: in detti ambienti ovattati trascorreva i propri giorni, a volte afflitto dal pensiero che la gioia - quella vera - risiedesse altrove. In luoghi che non aveva mai veduto, ma dei quali avvertiva - al pari del geniale Pessoa - una immedicabile nostalgia."



Si deve aggiungere che sulla sua "Storia della Letteratura Inglese" mi sono formato intellettualmente e culturalmente. Grazie Prof!

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