Bellezza e bizzarria
Saggistica
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Grazie Prof!
"A vent'anni di distanza dalla morte nella prestigiosa collana de “I Meridiani” un'imponente antologia - a cura di Andrea Cane, con un saggio introduttivo di Giorgio Ficara - di testi firmati da Mario Praz, felicemente intitolata “Bellezza e bizzarria” (Mondadori, pp.LXXVI - 1786, Euro 49,00).
Critico d'arte e letterario, anglista di vaglia, esperto d'antiquariato, storico del gusto, misoneista di fondo eppure anticipatore del gusto postmoderno, Praz è stato il più grande saggista italiano del secolo scorso: leggendaria rimane la sua cultura enciclopedica, unita a pari finezza di osservatore curioso ed attratto dal grottesco, dal macabro, dal paradossale.
Scorrendo le pagine di codesta esaustiva ricognizione nel magistero suo, se ne apprezza la versatilità degli interessi di studioso unita a virtù di approfondimento pressoché uniche: a partire da quel “La carne, la morte e il diavolo” (1930) ov'egli per primo interpretava la sensibilità romantica servendosi del filtro della patologia erotica (e guadagnandosi meritato prestigio internazionale, una benevola recensione di Thomas S. Eliot, l'entusiasmo del celebre critico statunitense Edmund Wilson) per giungere al mirabile saggio-romanzo “La casa della vita”, finalista all'edizione 1959 del Premio Strega insieme al “Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Carattere umbratile e ben consapevole di detta inclinazione, pure vi si riconobbe ed in essa alloggiò, magari con qualche perplessità; gli s'attagliava, forse, quell'aforisma di Victor Hugo che recita “la malinconia è la felicità d'essere tristi”. Prediligeva abitare in zone e quartieri appartati: ad esempio a via Giulia, a Roma, “quieta come la vita signorile di una città di provincia, quieta come un corridoio tra quelle stanze che erano i cortili dei palazzi”. Amava circondarsi di cose belle, segnatamente nello stile Impero prediletto fin da ragazzo: in detti ambienti ovattati trascorreva i propri giorni, a volte afflitto dal pensiero che la gioia - quella vera - risiedesse altrove. In luoghi che non aveva mai veduto, ma dei quali avvertiva - al pari del geniale Pessoa - una immedicabile nostalgia."
Si deve aggiungere che sulla sua "Storia della Letteratura Inglese" mi sono formato intellettualmente e culturalmente. Grazie Prof!