Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell'impero romano
Saggistica
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Analogie storiche
"Un mondo che si considera prospero e civile, segnato da disuguaglianze e squilibri al suo interno, ma forte di un'amministrazione stabile e di un'economia integrata; all'esterno, popoli costretti a sopravvivere con risorse insufficienti, minacciati dalla fame e dalla guerra, e che sempre più spesso chiedono di entrare; una frontiera militarizzata per filtrare profughi e immigrati; e autorità di governo che debbono decidere volta per volta il comportamento da tenere verso queste emergenze, con una gamma di opzioni che va dall'allontanamento forzato all'accoglienza in massa, dalla fissazione di quote d'ingresso all'offerta di aiuti umanitari e posti di lavoro. Potrebbe sembrare una descrizione del nostro mondo, e invece è la situazione in cui si trovò per secoli l'impero romano di fronte ai barbari."
Inizia così questo interessante saggio storico e subito ci si accorge di una straordinaria analogia con l’epoca attuale, caratterizzata da flussi migratori che ogni giorno che passa paiono sempre di più incontrollabili. Il motivo per cui l’Europa non riesce a contrastare queste masse di fuggiaschi è in pratica lo stesso che è andato a cercare Barbero per lo stesso fenomeno, non certo di ieri, ma di parecchi secoli fa- L’impero romano, giunto alla sua massima espansione, non aveva in animo di continuare le conquiste con nuove guerre, ma nuove guerre vittoriose significavano schiavi, cioè mano d’opera a basso costo; in uno stato come quello, pur in presenza di forti disuguaglianze sociali, nessuno moriva di fame, grazie proprio all’opera degli schiavi. Togliete gli schiavi e i campi non daranno più messi, dalle miniere non verranno estratti più minerali, oppure, in alternativa, sarebbe stato necessario remunerare adeguatamente i “liberi” che avessero voluto diventare salariati e operai. E allora perché non approfittare delle condizioni di estrema necessitò di popoli che fuggivano la fame o le guerre? Aggiungo che essendo questi immigrati non schiavi potevano andare a ingrossare le legioni che servivano sempre più numerose per difendere i confini da nemici vecchi, ma soprattutto nuovi;le reclute, così assoldate, erano simili a truppe mercenarie, sulla cui fedeltà non c’era poi da far tanto conto.
Non è quindi un caso se i nostri politici dicono che gli immigrati sono una ricchezza, che la nostra agricoltura e industria ne hanno estremo bisogno. Solo che un flusso incontrollato e crescente finisce con il rompere equilibri che parevano consolidati, per minare strutture che sembravano non scalfibili.
Anche allora ci furono, senza essere risolti, i problemi di integrazione che ci sono adesso, insomma è il caso di dire che all’origine di tutto c’è sempre il dio denaro, a cui si piega qualsiasi volontà, senza tener conto del dopo, perché c’è sempre un dopo e questo può essere peggiore, assai peggiore, della soluzione dell’originario problema. L’impero romano si sfaldò e si precipitò in un oscuro medioevo; speriamo che il ricorso storico non sia simile anche nelle conclusioni.
A Barbero va dato il merito di aver affrontato il problema con la consueta correttezza e serietà, con un occhio rivolto ai giorni nostri, realizzando così un libro il cui contenuto dall’epoca imperiale romana pare proiettarsi sinistramente nel XXI secolo.