Balbo Balbo

Balbo

Saggistica

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La presente biografica di Balbo ripercorre la parabola dell'organizzatore fascista eludendo l'ampia agiografia memorialistica che si è accumulata nel tempo. Giorgio Rochat (1936) è stato professore di Storia contemporanea e poi di Storia delle istituzioni militari nelle Università di Milano, Ferrara e Torino. Ha studiato e studia la storia militare, coloniale e politica dell'Italia contemporanea. Tra le sue opere più recenti: La Grande Guerra 1914-1918 (con Mario Isnenghi, Bologna 2000 e 2008); Le guerre italiane 1935-1943 (Einaudi, 2005 e 2008).



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Balbo 2017-06-12 08:37:01 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    12 Giugno, 2017
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Il rivale di Mussolini

Quando prendo in mano un libro è talmente il desiderio di scoprirlo che passo direttamente al testo, riservandomi, a lettura ultimata, di affrontare le frequenti introduzioni e/o prefazioni. Nel caso di Balbo ho invece ritenuto di procedere in ordine logico con la Premessa dello stesso autore e direi che è stato provvidenziale, perché Rochat, storico di razza, precisa subito che Italo Balbo, personaggio molto esaltato e altrettanto discusso, fino alla stesura di questa biografia, non era stato studiato seriamente, tranne per quanto concerne la nascita dello squadrismo. Per il resto, abbonda un’agiografia mitizzante in cui non è facile, fra tanta esaltazione, trovare qualcosa di veritiero; di conseguenza, non potendo ancora mettere mano sull’archivio di Balbo, chiuso alla consultazione, si è trattato di fare un lavoro certosino di accostamenti fra i vari scritti su di lui, onde almeno avvicinarsi un po’ alla verità. Che l’uomo sia stato una delle maggiori figure del fascismo è indubbio e non a caso era, pur ancor giovane, uno dei quadrumviri che con la marcia su Roma aveva coronato il suo desiderio di contrapporsi non solo al crescente bolscevismo, ma anche a un concetto liberale, di tipo ottocentesco, dello stato.
Al ritorno dalla Grande Guerra, dove si era distinto per coraggio e capacità organizzativa, trovò largo credito fra gli agrari del ferrarese, timorosi che il marxismo-leninismo prendesse piede fra le migliaia di braccianti della zona. Le sue squadre imperarono a lungo, infestando la Romagna, ma spingendosi anche oltre, fino a Parma. Era diventato amico di Mussolini, che lo stimava per le sue capacità, ma che, già nei panni del futuro dittatore, cominciò a temerlo come possibile rivale. Concretizzato il colpo di stato con quello che più che una marcia è più logico definire una marcetta, cominciarono ad arrivare gli onori. Prima deputato, poi sottosegretario all’Economia (dall’ottobre del 1925 al novembre del 1926), nonostante su di lui cominciassero ad addensarsi delle ombre, a seguito di giochi di potere, quel potere a cui aspirava sommamente, tanto da indurlo nel 1920 a iscriversi alla Massoneria. L’incidente di percorso più eclatante fu l’omicidio di Don Minzoni, reato di cui fu accusato di essere il mandante, ma ormai il fascismo era entrato in ogni apparato e ovviamente finì assolto.
Dopo il periodo rivoluzionario venne quello più tranquillo, in cui, diventato ministro dell’Aeronautica, si rese autore delle celebri trasvolate atlantiche, organizzate in modo perfetto e che colpirono positivamente l’opinione pubblica mondiale, al punto che Balbo, al suo arrivo negli Stati Uniti, fu portato in trionfo. Era un aspetto propagandistico del fascismo di grande effetto, ma la fama dell’aviatore ferrarese rischiava di oscurare la figura del suo capo che preferì condannarlo a una sorta di esilio, indubbiamente dorato, nominandolo nel 1934 governatore della Libia, incarico in cui, occorre dire, ben si comportò, promuovendo un riavvicinamento fra libici e italiani, costruendo strade, acquedotti, insomma dotando la colonia di moderne e indispensabili infrastrutture. Tuttavia, il fascismo era ormai prossimo al punto più alto della parabola e già si avvertiva un diffuso malcontento per i cronici problemi nazionali irrisolti. Al riguardo, una delle motivazione della guerra d’Etiopia fu proprio quella di rinsaldare il legame fra partito e paese e inoltre si sperava di dare una soluzione al problema, sempre presente, della larga disoccupazione, a cui non poco aveva contribuito lo stesso Mussolini con la campagna di natalità. L’Etiopia, conquistata, ma non domata, non fu un rimedio e fu allora Balbo ad avere l’idea di portare coloni italiani in Libia, affinché coltivassero quelle terre, una stretta fascia limitata alla costa. Furono costruite case coloniche, stalle, magazzini, insomma si voleva che una volta arrivati i coloni potessero mettersi subito al lavoro, come in effetti fu. Grandiosa fu la spedizione, organizzata sotto la supervisione di Balbo, con cui, in nave, furono portate in Libia famiglie di contadini di tutta l’Italia. Dal punto di vista propagandistico l’operazione riuscì perfettamente, ma se l’idea assicurava a Balbo dei successi grandi ed effimeri, il privare la popolazione locale delle sue risorse tradizionali non poteva assicurare un futuro alla colonia, un aspetto altamente negativo caratteristico della politica imperialistica dell’Italia fascista, di cui il grande trasvolatore era un protagonista certamente non secondario. Poi venne la guerra, quella guerra con i tedeschi che sembrava fortemente avversata da Balbo, ma che in fondo non gli dispiaceva, perché sperava, grazie alle sue virtù militari, di poter diventare comandante in capo in luogo di Badoglio. Nel conflitto, appena iniziato, non fu un militare da tavolino, ma continuò a manifestare la sua presenza fra le truppe, spostandosi di continuo in volo con il suo SM 79, che pilotava personalmente, e fu in uno di questi voli che, giunto sul cielo di Tobruch dopo un violento bombardamento aereo, fu abbattuto per errore dalla nostra contraerea. Non fu quindi un omicidio istigato da Mussolini per liberarsi del rivale, anche se è certo che al Duce la cosa non dovette dispiacere.
Resta alla fine da chiedersi che personaggio sia stato veramente Italo Balbo. Senza togliere nulla ai suoi meriti di grande organizzatore, era un uomo incapace di vedere lontano, senz’altro ardimentoso, ma ammalato di protagonismo. Nonostante il suo passato di squadrista violento, avrebbe potuto fare molto bene all’Italia, soprattutto evitandole i dolori di una guerra crudele, ma non lo fece e nemmeno tentò di farlo, sembrò aiutare i braccianti della campagna italiana trapiantandoli in Libia, ma a discapito degli arabi e innescando così un conflitto che fu a lungo solo latente, avrebbe potuto sostituirsi al duce, ma con ogni probabilità si sarebbe poi comportato come lui; in tutte queste caratteristiche si rispecchiava pertanto il tipico esemplare del fascista.
Da leggere e rileggere.

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