Ammazzate quel fascista! Vita intrepida di Ettore Muti
Saggistica
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Tanti muscoli e poco cervello
Se ci fu un uomo che incarnò la figura del perfetto fascista fu proprio Ettore Muti. Bello, aitante, audace, sempre pronto a gettarsi nella mischia, amante della velocità e delle belle donne, mai domo e anzi sempre determinato questo ravennate, nato il 22 maggio 1902 e morto il 24 agosto 1943, era ancora un ragazzo quando cercò di arruolarsi per partecipare alla Grande Guerra. Scoperto, fu rimandato a casa, ma esperì un ulteriore tentativo e questa volta gli andò bene, tanto che prese parte al conflitto nei reparti degli Arditi, meritando encomi e medaglie. Partecipò poi all’impresa fiumana, conclusasi infelicemente, e fu uno dei primi ad aderire al partito fascista, dandosi non poco da fare nelle lotte contro i “rossi”. Da perfetto fascista, difettava un po’ di materia grigia, ma ciò non gli impedì di fare una rapida carriera nel partito, nonostante l’attentato del 13 settembre 1927 in cui rimase gravemente ferito, una vicenda oscura e mai completamente chiarita, in cui tuttavia pare assodato che il mandante del sicario fosse da cercare fra i suoi camerati del ravennate.
Partecipò gloriosamente in qualità di aviatore alla guerra d’Etiopia e a quella di Spagna, dopo di che, grazie all’appoggio dell’amico Galeazzo Ciano, venne nominato da Mussolini segretario del partito in sostituzione dell’inviso Achille Starace. Benchè poco disponibile al ruolo amministrativo, si diede da fare non poco per svecchiare il partito dagli imbolsiti gerarchi, epurando anche i numerosi funzionari corrotti. Era onesto e, giustamente, non poteva sopportare i disonesti. L’incarico però gli andava stretto e chiese allora di partecipare, sempre come aviatore, alla seconda guerra mondiale; accontentato, anche qui diede prova del suo grande valore, almeno fino a quando, per problemi di vista, fu costretto a non alzarsi più in volo. Nel frattempo era stato sostituito alla segreteria del partito e aveva ricevuto il modesto incarico di membro del Servizio informazioni dell’aeronautica. Era poco intelligente, ma ciò non gli impedì di accorgersi che a quella guerra partecipavamo del tutto impreparati e che Mussolini aveva tradito da tempo l’originario ideale, tanto che con i congiurati del 25 luglio 1943 si era dichiarato disposto di far fuori il duce e sicuramente alla famosa seduta del Gran Consiglio avrebbe votato l’ordine del giorno Grandi se fosse arrivato in tempo. Dopo l’arresto di Mussolini, si ritirò in una villetta a Fregene in riva al mare e nei pressi della stessa, nella pineta, fu assassinato il 24 agosto 1943 in circostanze oscure, tipiche del delitto di stato, su cui non si volle mai far luce anche a guerra finita. Le ipotesi al riguardo sono diverse e vengono ben esplicitate nel libro di Petacco, ma ognuna è plausibile, senza che tuttavia possa essere suffragata da prove concrete.
La vita di Muti fu spezzata da un proiettile nella nuca, una vita condotta sempre con sprezzo del pericolo; era un uomo stimato perfino dagli antifascisti, ma sovente odiato da alcuni dei suoi stessi camerati, insomma un personaggio ampiamente meritevole della biografia stilata con la consueta equidistanza e serietà da Arrigo Petacco.
Da leggere, quindi.
Indicazioni utili
Ammazzate quel fascista!
Benchè fosse, per molti aspetti e in molti momenti della sua vita, un cazzone senza pari, Ettore Muti non si meritava di vedersi sporcato il nome dal gruppo di delinquenti raccolti nella Legione Autonoma a lui intitolata. Almeno questo è ciò che si deduce leggendo questo veloce eppure documentato libretto che ne racconta la ‘vita intrepida’, come dice il sottotitolo, nonché la morte misteriosa. Muti era uno nato per fare il soldato: romagnolo spaccone e con un labile senso del limite, stava bene solo in guerra, dove andò per la prima volta solo quattordicenne sul fronte austriaco per poi farsi passare tutti i conflitti della prima metà del secolo (fu a Fiume, in Etiopia, in Spagna,in Albania, in Grecia) uscendone sempre con la pelle intatta per coincidenze che sfioravano l’inverosimile. Sul resto dell’esistenza tendeva, invece, a passare come un bulldozer, si trattasse dei rapporti interpersonali o degli affetti: dimentico dei familiari a parte l’adorata madre (era pur sempre un italiano) e consumatore seriale nei confronti del gentil sesso fra le cui fila mietè successi a ripetizione grazie all’aspetto da divo del cinema. Era inevitabile che un tipo simile – stesse origini del ‘padron’, ovvero Mussolini, un passato da Ardito e l’immediata simpatia del compagno di bisbocce - diventasse fascista e facesse anche carriera: un’ascesa favorita dalle sue molte medaglie e disturbata dalla sua irrequietezza, oltre che dall’avversione per la burocratizzazione e la corruzione dei gerarchi. Per questo durò poco come segretario del PNF (non che se ne dispiacesse, peraltro) e la circostanza potrebbe anche aiutare a spiegare la sua strana fine – o esecuzione? – maturata nei confusi quarantacinque giorni badogliani senza che nessuno riuscisse, né allora né dopo, a ricostruire davvero come si svolsero i fatti. Petacco racconta tutto questo in circa duecento pagine in cui la lettura scorre veloce grazie all’ormai consolidato linguaggio divulgativo, ma comunque lontano dalle banalità e ravvivato da un funzionale uso dei flash-back e dei flash-forward: se la narrazione della prima parte dell’esistenza di Muti è resa scoppiettante dalla dedizione all’avventura del protagonista, la seconda scorre meno perché per forza di cose più minuziona, ma rende bene l’idea di come il sottobosco degli intrighi di potere in Italia sia sempre stato vivo, anche se con protagonisti diversi. In ogni caso, quel che esce dal libro è il ritratto di un uomo e di un’epoca legati in maniera indissolubile, in fondo vicini a noi temporalmente, ma – almeno pare – lontanissimi dal punto di vista psicologico.