A Mosca, solo andata
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Nell’inferno staliniano
Quando imperava il fascismo, alle cui regole tutti dovevano assoggettarsi, non mancavano però gli oppositori, ai quali erano riservate, nel migliore dei casi, le bastonature e l’olio di ricino, oppure venivano condannati al confino e anche imprigionati. Molti di loro, però, fuggivano all’estero, in paesi certamente più ospitali come il Belgio e la Francia, e, nel caso dei comunisti, non certo pochi trovarono rifugio nell’Unione Sovietica, mitizzata come il Paradiso Marxista. Una volta là, però, dovettero accorgersi che non di paradiso si trattava, bensì di inferno, vittime pure loro delle epurazioni staliniane. E non si trattava di bastonature e di olio ricino, ma di vere e proprie sadiche torture, di fucilazioni, di lunghi periodi di detenzione nei famigerati gulag. Anche stare accorti nel parlare non era sufficiente e non di rado si era arrestati solo per aver scambiato due parole con un altro compagno incriminato, o addirittura per colpire altri soggetti, cercando, grazie alle sevizie, di ottenere denunce del tutto infondate. Eh sì, nel periodo in cui imperava Stalin in Russia era difficile vivere, ma in cambio era facilissimo morire. I dirigenti del PCI, il partito comunista italiano, e in primo luogo il loro segretario Ercole Ercoli, pseudonimo di Palmiro Togliatti, erano ben consapevoli dei patimenti dei compagni connazionali, ma stavano zitti e con l’abilità dei camaleonti riuscirono a uscirne indenni, ovviamente mai raccontando di quei fatti al loro ritorno in patria dopo la caduta del fascismo. Questo non deve sorprendere, perché la politica é una sporca faccenda; quello che sorprende invece è che coloro che incorsero nelle purghe staliniane e riuscirono a sopravvivere rimasero di incrollabile fede comunista, alcuni cercando giustificazione dei torti subiti in qualche inconsapevole comportamento deviazionista, altri invece solo per pura fede. Fra questi ultimi anche Paolo Robotti, cognato di Togliatti, che pur pubblicando nel 1965 un libro su quel periodo funesto rimase uno stalinista convinto, un atteggiamento che a definirlo masochista non spiega del tutto i motivi. Il culto della personalità era talmente radicato che la ferocia di Stalin veniva accettata supinamente, come il castigo di un Dio che rappresentava con poteri assoluti la loro ideologia politica. Quanto al Partito Comunista Italiano, nonostante le malefatte di Stalin svelate da Chruscev, pensò bene di non rendere edotti i suoi numerosi iscritti, nel timore, giustificabile, che non pochi avrebbero stracciato la tessera.
Di questo parla il bel saggio storico di Arrigo Petacco e lo fa con elementi probatori, con un atteggiamento super partes che gli fa onore e che in fondo fornisce all’opera la necessaria credibilità.
Da leggere, ovviamente.
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UNA TRAGEDIA NASCOSTA PER TROPPO TEMPO.
Petacco con la consueta maestria ci guida nei risvolti oscuri (e volutamente dimenticati) della Storia del novecento. Mai pesante nello stile, mai lezioso. Solamente preciso e puntuale nell'inquadrare con date e riferimenti il "quadro" che ci vuole mostrare. Un "quadro" che avrà fatto storcere il naso a molti. Sì perché il tema è di quelli che ancora in Italia scotta, di quelli che ancora si nega con foga e rabbia: il massacro di milioni, di decine di milioni di innocenti in Russia sotto il regime comunista. E su questa enorme e disumana tragedia semi-sconosciuta Arrigo Petacco mette a fuoco uno degli aspetti che ci riguarda un po' più da vicino: l'assassinio e la deportazione dei comunisti italiani fuggiti in URSS per salvarsi dalle galere fasciste. La cosa appare grottesca e quasi surreale: comunisti scampati dal fascismo che trovano la morte nella patria del proletariato. Appena arrivi in URSS, ci dice Petacco, sei subito messo sotto sorveglianza. E si finisce nei gulag o direttamente davanti al plotone d'esecuzione per un nonnulla: una battuta su Stalin, una parentela sospetta, una visita alla Ambasciata italiana a Mosca, una confidenza. Ma tutte le liste dei deportati (e spesso la medesima compilazione) hanno l'approvazione di Togliatti e della sua cricca. Lui vede, controlla e fa la spia ai fratelli russi che poi deportano, fucilano, torturano. Altro aspetto incredibile (per lo meno per me che non lo conoscevo) il comportamento dei servizi segreti russi (allora NKVD) durante la guerra di Spagna. Non si occupano di combattere Franco e i fascisti. Loro combattono una guerra personale e fratricida tra comunisti: gli scagnozzi di Stalin inviati in Spagna (tra i capi figura Togliatti) devono stanare e far sparire tutti i comunisti che non seguono la linea dettata dalla Russia. Anche qui moriranno tantissime persone e la colpa si cercherà di addossare (a volte riuscendoci a volte no) ai franchisti. lo stesso Gerorge Orwell (che poi prenderà spunto da questa esperienza e dai processi pubblici farsa di Mosca per scrivere il suo 1984) deve scappare in fretta e furia. Ma non da Franco, dai comunisti di Mosca, perché lui è un antifascista non in linea con la politica russa. E poi le omertà, i sotterfugi, le falsità e la malafede che per decenni hanno contribuito a mistificare e stravolgere la Storia del novecento. I testimoni minacciati e messi a tacere dopo la guerra, gli omicidi mirati, le minacce. I loschi figuri come Vittorio Vidali che è sempre misteriosamente presente (spesso con documenti falsi) in ogni scena del delitto (politico). Alcuni sopravvissuti ai gulag (tornati fortunosamente in Italia) proveranno a far pubblicare le proprie memorie ma le case editrici rifiuteranno, come ad esempio la Feltrinelli nel 1975.
Insomma un libro che sicuramente farà storcere il naso e porre tante tante domande. Ma che sicuramente ci voleva.