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Potere alle parole

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Che cosa penseremmo del proprietario di una Maserati che la lasciasse sempre parcheggiata in garage pur avendo la patente? E di una persona che, possedendo un enorme armadio di vestiti bellissimi, indossasse per pigrizia sempre lo stesso completo? Queste situazioni appaiono improbabili; eppure, sono esempi dell'atteggiamento che molti hanno nei confronti della propria lingua: hanno accesso a un patrimonio immenso, incalcolabile, che per indolenza, o paura, o imperizia, usano in maniera assolutamente parziale. Anche se l'italiano non ha bisogno di venire salvato, né tantomeno preservato, è pur vero che dovremmo amarlo di più, perché è uno strumento raffinatissimo, ed è un peccato limitarsi a una frequentazione solamente superficiale. Perché conoscerlo meglio può essere, prima di tutto, di grande giovamento a noi stessi: più siamo competenti nel padroneggiare le parole, più sarà completa e soddisfacente la nostra partecipazione alla società in cui viviamo.



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Potere alle parole 2020-03-31 19:17:45 68
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68 Opinione inserita da 68    31 Marzo, 2020
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Il labirinto linguistico

In “ Potere alle parole “ l’ autrice Vera Gheno ( sociolinguista, collaboratrice dell’ Accademia della Crusca ed ottima traduttrice ) considera la lingua italiana scritta e parlata come una creatura viva e pulsante, tra passato e presente, intrisa di labirintiche inflessioni grammaticali e sintattiche, dialetti, neologismi, influssi letterari, contaminazioni esterofile, latinismi, grecismi, acronimi, etimologie, una materia complessa trattata con acuta leggerezza .
L’ incipit e l’ epilogo convergono nel definire la conquista delle parole, e quindi della padronanza linguistica, un grande dono ed un atto di libertà, una maggiore consapevolezza di se’ e del mondo circostante.
Le funzioni basilari della lingua, definire se’ stessi, descrivere il mondo, comunicare con gli altri, ci ricordano quanto le parole scelte parlino di noi, della nostra essenza, quanto la realtà influenzi la costruzione di una lingua e la lingua determini la realtà ed esprima la condizione della socialità umana.
Ma che cos’è una lingua se non un codice condiviso soggetto ad una norma linguistica, un insieme di convenzioni e regole?
Esistono due approcci alla norma linguistica, prescrittivo ( che prescrive un comportamento basandosi sulla storia della lingua, l’ etimologia delle parole, le radici, ) e descrittivo che funziona al contrario ( la descrizione della lingua come viene usata ), una norma complessa e mutevole, che corrisponde a ciò che viene percepito come giusto in uno specifico momento storico e sociale.
La lingua è aperta, lontana da qualsiasi espressione autarchica ( pensiamo al fascismo con le sue legiferazioni ), in questo senso l’Accademia della Crusca si pone come garante della stessa, osserva, studia, registra, consiglia ma non impone.
La storia della Lingua italiana cammina con la storia del paese e delle sue contaminazioni, nacque con Dante e conobbe settecento anni di stasi, ( ricordiamoci che lo stesso Manzoni con i suoi amici intellettuali si esprimeva in francese ), dopo l’ unità d’Italia divenne una vera e propria lingua da insegnare, con innumerevoli forme dialettali non espressioni collaterali, ma lingue vere e proprie con precisa circoscrizione geografica anche se molto lontane dall’ italiano. Nel dopoguerra l’ uso di una lingua comune determinerà una sua semplificazione ( pensiamo all’ uso dei verbi e dei congiuntivi ) e la televisione sarà un vero e proprio veicolo di diffusione linguistica.
Ai giorni nostri sembra essersi impoverita, soggetta a contaminazioni, inglesismi, acronimi, ad un linguaggio social veloce, scarno, senza punteggiatura, quasi che il parlato e lo scritto siano parificati.
Di certo una lingua esprime ed e’ calata nella realtà, ha una sua utilità, è espressione del proprio tempo, descrive il presente, ha una funzione sociale, comunicativa, ed i neologismi ne sono parte integrante ed imprescindibile per mantenerla in vita.
Ma essa è anche altro,va al di là della semplice comunicazione, è ciò che dà coscienza individuale, è lo strumento che sedimenta la cultura in cui ci siamo formati, la lingua è potere.
Come scrisse Antonio Gramsci nel 1916:

.. “ cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di se’ e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri “..

Una corretta comunicazione è simbiosi tra forma e contenuto, curiosità per le parole e le loro minime variazioni, per il senso etimologico, e’ amore per le lingue, mondi e visioni diversi, non solo suoni e segni diversi.
Per accedere a questo mondo è imprescindibile amare la lettura in tutte le sue declinazioni, anche se faticosa, soggetta a tempo e silenzio.
E scrivere diventa una necessità, per sospendere i pensieri, razionalizzare le percezioni, esprimerci diversamente dal semplice pensiero “ pensato “. Persa la capacità di scrivere, perderemmo anche la possibilità di pensare meglio.
L’ autrice propone l’ adozione di tre parole chiave che ci accompagnino nel cammino della vita ( e quindi della parola e di ogni forma comunicativa ): dubbio, riflessione e silenzio. Probabilmente dovremmo chiederci se queste siano solo l’ inizio o l’ esito di un processo conoscitivo.



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