Miseria della filosofia
Saggistica
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Un importante tassello del Marx prima del Capitale
La "Miseria della Filosofia" occupa un posto particolare nell’evoluzione del pensiero di Karl Marx: è infatti il primo testo in cui lo studio dell’economia politica e degli economisti classici in particolare costituisce la base conoscitiva per sostanziare la radicale critica della società borghese che sino ad allora era stata condotta dal pensatore di Treviri su presupposti quasi esclusivamente “filosofici”.
Per la verità già in alcuni scritti di qualche anno prima, i famosi "Manoscritti Economico-Filosofici del 1844" Marx si era occupato specificamente di questioni quali salario, profitto e rendita fondiaria, e già quegli scritti frammentari dovevano costituire la base di un’ampia opera di critica dell’economia politica; nelle opere successive, tuttavia, "La sacra famiglia – Critica della critica critica" e "L’ideologia tedesca", Marx, iniziato il sodalizio con Engels, si era concentrato sulla necessità di fare i conti con la sinistra hegeliana tedesca, con Feuerbach, Bruno Bauer e Max Stirner, in altri termini di consolidare teoreticamente il distacco dall’idealismo che con l’amico era venuto maturando sempre più dal momento dell’esilio volontario parigino.
Nei primi mesi di permanenza nella capitale francese egli conosce e frequenta tra gli altri Pierre-Joseph Proudhon, che godeva di vasta fama negli ambienti socialisti francesi per il suo saggio "Q’est-ce que la propriété?" nel quale esponeva la convinzione, rimasta celebre, che "La proprietà è un furto."
Già nei "Manoscritti" Marx polemizza con Proudhon, pur riconoscendogli il merito di aver posto il problema della sottrazione al lavoratore di parte del prodotto del suo lavoro da parte del capitale. Egli imputa a Proudhon di avere criticato l’economia politica dal punto di vista dell’economia politica, di concepire la negazione della proprietà privata come una sua generalizzazione, di avere una prospettiva in cui l’alienazione del lavoro non viene superata ma generalizzata attraverso la trasformazione di tutti gli uomini in salariati. Questa critica permarrà, e verrà argomentata più diffusamente, anche nella "Miseria delle Filosofia".
Nell’ottobre del 1846 Proudhon pubblica a Parigi la ponderosa opera "Système des contradictions économiques ou Philosophie de la misère", che conteneva la proposta di scambiare le merci secondo il valore costituito, cioè il valore del lavoro in esse contenuto. In questo modo il lavoro sarebbe stato equamente retribuito e si sarebbe realizzata l’eguaglianza tra gli uomini. Nell’opera inoltre Proudhon si scaglia contro le prospettive rivoluzionarie e comuniste e sostiene l’inutilità, anzi, la dannosità delle lotte per il miglioramento dei salari dei lavoratori.
Marx è a Bruxelles, dove stava organizzando il primo nucleo della futura Lega dei Comunisti. Già nel febbraio del 1847 ha finito di scrivere, in francese, la sua risposta polemica a Proudhon, che uscirà nel luglio come "Misère de la Philosophie. Reponse à La Philosophie de la Misère de M. Proudhon".
Già dal titolo emerge un tratto che ho notato anche nelle altre opere marxiane da me lette: Karl Marx era anche un grande scrittore. Titoli come "Critica della Critica Critica" o "Miseria della Filosofia, Risposta alla Filosofia della Miseria" sono veri piccoli capolavori di per sé, e testimoniano di una capacità letteraria condita di una buona dose di ironia, che probabilmente gli derivava dalla sua esperienza giornalistica. Il testo conferma, sin dalla breve premessa, tale statura anche formale: pur non essendo 120 pagine di agevole lettura – dati gli argomenti trattati – il chiaro, netto e logico fluire dei ragionamenti di Marx aiuta moltissimo, e non mancano anche qui paradossi e veri e propri calembour che strappano invariabilmente il sorriso al lettore.
La Miseria della Filosofia è divisa in due grandi capitoli. Nel primo, intitolato "Una scoperta scientifica", Marx demolisce i presupposti economici della teoria Proudhoniana, dimostrando in particolare che il valore costituito, sua pietra angolare, non è altro che una malintesa rappresentazione del valore di scambio dell’economia classica, e che tutta la costruzione su di esso basata rimane all’interno di una logica perfettamente omogenea ai fondamenti costitutivi dei rapporti economici nella società capitalistica. Svolge la sua analisi polemica avvalendosi di frequenti citazioni di economisti come Ricardo, Smith, Sismondi, Say ed altri. Dimostra quindi come non abbia senso, né economico né politico, prefigurare una società in cui le merci siano scambiate secondo il cosiddetto valore costituito, e che questo non porterebbe ad altro che a una generalizzazione della proprietà privata e dei suoi presupposti economici e ad un livellamento dei salari al minimo.
Altre pagine di estremo interesse sono quelle dedicate da Marx alla moneta, al denaro, che egli considera non una cosa ma un rapporto sociale, per essere il suo compito quello di mezzo di scambio universale.
Il secondo grande capitolo, intitolato "La metafisica dell’economia politica", è meno tecnicistico e si addentra, sin dall’inizio, nel metodo falsamente dialettico che Proudhon impiega per sviluppare la sua teoria. Da profondo conoscitore della dialettica hegeliana Marx sbeffeggia il primitivo metodo proudhoniano, che consiste nell’attribuire alle categorie economiche un lato positivo ed uno negativo, per cui tutto lo sforzo di sintesi sta nell’eliminare quest’ultimo e far emergere il buono di categorie che egli accetta come date.
Per dimostrare la superficialità, l’antistoricità e l’evanescenza del metodo di Proudhon Marx dedica specifici capitoli ad alcune delle categorie economiche esaminate da Proudhon, come la divisione del lavoro, la concorrenza, il monopolio, la rendita. Molto importanti, per la loro modernità, sono a mio avviso le pagine che Marx dedica alla meccanizzazione dell’industria, ed alle sue conseguenze sul lavoro umano.
Infine Marx confuta con energia le affermazioni di Proudhon sull’inutilità dei sindacati, delle rivendicazioni salariali e degli scioperi.
La lettura di quest’opera e delle altre principali del Marx prima del Capitale mi ha consegnato la consapevolezza della enormità del lavoro fatto dal pensatore tedesco – in parte insieme a Friedrich Engels – per definire una potente chiave di interpretazione della realtà. Questa chiave a mio avviso apre ancora oggi moltissime porte, compresa quella di un esito necessario della storia. Credo, a differenza di recenti interpretazioni del pensiero Marxiano, che il cosiddetto Marxismo della contraddizione sia la base da cui partire per qualsiasi analisi della società attuale, ovviamente tenendo conto dei 150 anni trascorsi nel frattempo.
Se il marxismo si è storicamente inverato in una fallimentare ideologia (ma quanto più fallimentare di ideologie che oggi sono quasi universalmente accettate?) questo è dovuto, a mio avviso, alla pretesa di applicare schematicamente alcuni principi teorici a determinate condizioni storiche, oltre che alla durezza di tali condizioni. Leggendo Marx ci si può rendere conto di quanto lontane dal suo pensiero – e forse anche dalla sua personalità – fossero le azioni di chi in molti casi ha operato in nome del comunismo e del proletariato: proprio il Marxismo della contraddizione ci può spiegare anche il necessario fallimento dei vari esperimenti di socialismo realizzato, e questa è, a mio avviso, una ulteriore prova della profondità dell’analisi marxiana della realtà.
Indicazioni utili
Il capitale