Madri che feriscono
Saggistica
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Le difficoltà di un amore incondizionato
Premessa. “ Madri che feriscono “ non è un testo che scredita e demonizza la figura materna ma una ricostruzione analitica fondata su ricerca, testimonianze, storie personali, clinica, con l’ obiettivo di riassumere e trasmettere senso e complessità dell’ essere madri focalizzando gli esiti sulle vite dei propri figli.
Ha il pregio di interrogarsi su cause ed effetti, comportamenti deviati e devianti, di cercare di leggersi dentro, riflettere sul proprio vissuto, anche se ben sappiamo quanto il male ed il dolore delle ferite inferte o subite, da tempo introiettato e compagno di viaggio, sia difficile da comprendere, accettare, elaborare, rimuovere.
E’ raro individuare una cattiva madre da un solo aspetto, negligente, mortifera, immatura, narcisista, tirannica, sovente più caratteristiche convergono in una, l’esito sempre e comunque distruttivo per i figli.
Le cosiddette madri “ tossiche “ ricercano una perfezione ossessiva manipolando pensieri ed azioni, la madre perfetta prevede, anticipa, garantisce, rassicura, controlla, valuta, è sempre attenta e preoccupata e rende i propri figli debitori a vita.
La narcisista vede e considera il figlio in funzione di se’, la possessiva lo imprigiona, per la negligente non esiste mentre la tirannica instaura rapporti di forza senza amore ed empatia, esprime la sua rabbia parlando.
Ma quali cause spiegano i comportamenti violenti di una madre? La colpevolezza a volte trascende l’essere madre e dipende dal passato, dal contesto sociale, naturale e storico del proprio essere donna.
L’amore materno è un sentimento incerto, fragile, imperfetto e, contrariamente al pensiero comune, non profondamente inserito nella natura femminile, sorretto dall’ ambivalenza odio-amore, da depressione post partum, burnout, da uno stato di stanchezza mentale ed emotiva trascinato per anni con conseguenze suicide o violente nei confronti dei propri figli.
L’ essere umano che precede l’ essere madre ha credenze, contraddizioni, principi, limiti che derivano da una serie di ingiunzioni secondo cui agire e contro cui combattere, personali ( madre ideale ), famigliari ( culturali ), sociali ( società, internet ), segreti e fantasmi famigliari.
Madri che sanno ascoltare, che chiedono perdono, figli che capiscono anche se non perdonano, madri che continuano a non ascoltare, bambini che crescono nella convinzione di non essere ascoltati, feriti, l’ inutilità della parola in un enorme deserto affettivo.
Un bambino che cresce in mancanza di se’ non ha accesso alla costruzione di identità personale che sfocerà un giorno in un adulto equilibrato, riconoscendosi esclusivamente nello sguardo di colui al quale si affeziona morbosamente e dal quale esige tutto, e senza quello sguardo non possiede il sentimento di esistere.
Egli desidera l’ amore materno ad ogni costo, da adulto non identifica le aggressioni, i rifiuti, le prevaricazioni, vive le situazioni come echi e repliche di ciò che ha sperimentato con la madre, riproducendone gli atteggiamenti ed i sentimenti infantili, reiterando le lezioni apprese al suo fianco.
Il bambino adultizzato prova per lei pena ed amore, è pronto al sacrificio, salva l’ apparenza della brava mamma, è più grande nella testa e vive un’ infanzia rubata.
In ogni famiglia disfunzionale vi è sempre un capro espiatorio, un “ paziente designato “, sminuito, colpevolizzato, “ malato “, portatore di una differenza che partecipa al mantenimento del sistema ( famiglia ) e che può cercare di isolarsi per non sentirsi oggetto di beffe ed umiliazioni.
Di certo ogni violenza subita, fisica e psicologica, è di difficile individuazione, a sua volta la vittima si trasformerà in carnefice, riproducendo ciò che ha vissuto.
A qualsiasi età accada un trauma è sempre devastante, soprattutto se associato ad una figura di attaccamento con conseguenze fisiche, psichiche, emotive, perché una madre non può essere incapace di amare.
Vi sono poi comportamenti sintomatici, figli che non chiedono aiuto convinti di disturbare, che temono il conflitto, che non hanno alcun filtro emozionale, c’è chi valuta il proprio dolore minimizzandolo, proteggendo la propria madre fino ad un clic che rende possibile altro, ci sono scelte professionali sbagliate, scarso rendimento professionale.
Il desiderio di rottura si scontra con due tabù, l’ affermare che la propria madre è cattiva e il non volere più vederla ne’ parlare con lei, condizionati dai comportamenti obbligati legati all’amore, al dovere ed all’ obbligatorietà figliale.
La rottura è un lutto da elaborare, è dura, dolorosa, reca con se’ il passato, per la madre che si era idealizzata e per la relazione stessa, fatta di violenze e maltrattamenti, ma che deve morire per permettere al bambino di vivere. Un lutto non si fa, si vive, e la sua traversata permette di ricostruire.
È mai possibile perdonare? Il perdono è positivo per se stessi, elimina il restante dolore e l’ amarezza, in esso l’ adulto finalmente ritrova il suo se’, è libero di vivere. Ogni bambino un giorno dovrà lasciare sua madre, tappa fondamentale della costruzione di se’.
E quali sono allora i presupposti di una buona madre? Dovrebbe possedere uno sguardo volto all’ interezza del proprio figlio, adattarsi alle sue esigenze, permettendogli di evolversi, sperimentare e rendersi indipendente, essere una donna rassicurante, protettiva, decisa, imperfetta, in grado di creare una relazione equa che renda libero il figlio.
In altro modo crescerà un bambino ferito di una ferita fisica, psicologica, pervasiva, debilitante, mentre è indispensabile collocare al centro il se’ e, di conseguenza, la relazione con l’altro.
C’è chi riterrà questi temi, già’ ampiamente trattati e sotto gli occhi di tutti, scontati, banali, eccessivi, ripetuti, prolissi, stereotipati fino alla noia, ma l’ ovvio, sovente, finisce con l’ essere tralasciato, ignorato e dimenticato.
Appare opportuna, pertanto, questa semplice affermazione:
“.... È quanto mai vero e necessario che nessuno può reclamare ed esercitare il potere di decidere al posto nostro riguardo ai nostri sogni “ ...