Le consolazioni della filosofia
Saggistica
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NICE CHE DICE?
In questo saggio snello e piacevole, Alain de Botton riporta gli studi filosofici ad una concezione che, almeno in determinati periodi storici, ha avuto abbondante fortuna: quella della filosofia come medicamento dell’anima.
Sei umane insoddisfazioni piuttosto comuni – l’impopolarità, la mancanza di beni materiali, il senso di frustrazione, quello di inadeguatezza, le pene amorose, la fatica di vivere – vengono analizzate e neutralizzate attraverso il pensiero di sei filosofi.
Così:
- il fatto di non sentirsi compresi è esaminato attraverso la somma coerenza di Socrate (il filosofo greco che interrogava e s’interrogava su ogni cosa, non fermandosi nemmeno di fronte alle accuse degli ateniesi di traviare, in questo modo, le future generazioni): la giustezza di un’idea, di un comportamento non è una questione che può essere valutata o apprezzata da un punto di vista numerico, e perciò la pretesa di una maggioranza non sarà mai una garanzia;
- il possesso di oggetti (magari lussuosi) non aiuta alcun progetto di felicità, come insegna Epicuro: la sua ricerca convinta del piacere, contrariamente a quanto si ricorda, non si appagava nella ricerca di beni puramente materiali;
- il mondo non si oppone ai nostri desideri per farci dispetto: le frustrazioni sono parte della realtà che l’uomo deve affrontare e a cui deve reagire, senza esasperarle. Seneca si scontrò con la realtà in tutta la sua vita, e perfino nella morte (quando l’imperatore Nerone, di cui era stato amato precettore, gli ordinò il suicidio, ritenendolo coinvolto in una congiura ai suoi danni). Non ha senso l’ira (che il filosofo ritiene generata da immotivate aspettative), né la paura di traumi o l’ansia; non ha alcun fondamento la sensazione di essere presi in giro, né la credenza che le cose debbano andare, a questo mondo, secondo una suprema giustizia;
- se la vita è accompagnata da un senso di inadeguatezza, è perché non si è compresa la nostra intima essenza. Montaigne ha i mezzi per smontare ogni dannosa convinzione di inadeguatezza fisica (e sessuale), di inadeguatezza culturale, di inadeguatezza intellettuale;
- probabile che nessuna insoddisfazione possa superare, per intensità, le pene d’amore. A meno che, ci dice Schopenhauer, non si sia disposti ad adottare un atteggiamento più clemente nei confronti di questo dolore, a capire che in esso c’è una “normalità”: bisogna comprendere, in altre parole, che l’amore ha basi biologiche molto più che romantiche, e la domanda “perché lei/lui?” si spiega molto di più con la voglia di vivere e perpetuarsi che non con la ricerca del piacere intellettuale e fisico;
- troppo difficile vivere? Accontentati allora di gioire e soffrire in tono minore. Troppo difficile accontentarsi? Vai dunque incontro al tuo destino di uomo superiore, con la consapevolezza che il massimo piacere e la massima sofferenza sono inestricabilmente legati, che solo dalla fatica e dai fallimenti può nascere la felicità. Nietschze, disprezzando chi intenderebbe “aggirare” le difficoltà legate alla vita, ricorda che l’aria migliore si respira alla fine delle grandi salite: “Non tutto ciò che ci fa sentire meglio è realmente un bene per noi. Non tutto ciò che ci fa soffrire deve per forza essere un male”.
Di tutte le possibili consolazioni, di certo la meno consolante. Come a Nietschze si addice.