La nascita della filosofia
Saggistica
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A pugni col passato
Al principio dell'Iliade, all'origine della cultura occidentale, c'è Apollo: furente scaglia le frecce e annienta con implacabile lentezza i soldati dell'accampamento acheo. La divinità solare è crudele seminatrice di morte. Apollo è una malattia che si insinua da lontano, sinuoso come il suono della cetra e preciso come solo la lucidità sa essere. All'inizio della mitologia greca c'è il Minotauro, creatura mostruosa che nell'abominio del suo concepimento, è eletto a simbolo dell'animalità di Dioniso, principio di vita e di morte, senza mediazione, digiuno del correttivo della pietà. C'è un labirinto, tortuosità dell'animo umano, c'è un filo teso da Arianna che scioglie l'enigma, c'è Teseo, l'eroe, che trionfa e scioglie l'inganno, baciato dall'acume di Apollo, c'è Arianna, uccisa da Artemide per esser fuggita dal marito Dioniso. All'alba del Novecento c'è il fantasma di Nietzsche che cristallizza la Grecia nel manicheismo apollineo e dionisiaco. Poi c'è Colli e un invito alla modernità.
La filosofia, secondo Colli, nasce con Platone. Anzi Platone scrive, con uno straordinario corpus filosofico, di unico equilibrio tra pensiero ed estetismo, l'epitaffio della sapienza greca. La filosofia è l'amore per la sapienza, per una saggezza che non trascende l'uomo e lo stimola alla ricerca sotto la spinta di eros, ma una saggezza che è nell'uomo stesso, nella certezza dell'uomo greco che tutto fosse già imperscrutabilmente inciso nel cosmo e che tutto però potesse, nell'attimo cruciale e (romanticamente) sublime del divenire (quando un corpo è senza forma, sospeso tra due estremi, A e B), subire infinite e vertiginose metamorfosi. Per l'uomo greco delle origini la necessità non è logica stringente di causa-effetto, ma un modo di pensare: la possibilità di agire e patire, nel segno di uno spirito vitale che arde consumandosi, pur nella solidità dei destini umani.
L'uomo greco agisce nonostante tutto, nonostante sappia che ciò che deve accadere accadrà: da qui l'importanza degli oracoli, della Pizia che dall'antro di Apollo parla del destino degli uomini, nell'invasamento del Dio: è nella follia, nell'invasamento, nella manìa che l'uomo intuisce il futuro; è nello svuotamento dell'estasi mistica, che il Dio lo ricolma con la sua infinita potenza. "Enthusiasmòs": animarsi dall'interno. E' nell'equivalenza tra Dio, anima e natura che l'uomo greco trova se stesso: in Dioniso che riflettendosi nello specchio non vede se stesso, ma il mondo.
La cultura greca nasce nella sfida che l'uomo, trasfigurando in chiave ellenica il mito di Adamo, rivolge alla divinità aspirando ad un sapere che inevitabilmente gli sfugge. I sapienti greci, Eraclito, Parmenide e molti altri vivono in questo scontro col divino, vivono nel segno dell'enigma: enigma come traslitterazione (è il caso di dirlo) del labirinto in discorso, parola. E il sapiente greco trova dignità soltanto risolvendo gli enigmi che la Sfinge pone: così, racconta il mito, Omero si suicida per non essere stato in grado di risolvere un indovinello. Quando Platone scrive, la religiosità che l'uomo greco arcaico avverte come genetica si è plasmata nella forma della dialettica, dell'agonismo, dello scontro tra interlocutori: e ancora la dialettica si è fatta scrittura, dunque filosofia, eco di quel sapere arcaico definitivamente perduto. Con Aristotele, per concludere la parabola discendente, al dialogo filosofico si sostituisce il trattato, chiuso nella sua perversione linguistica, sospeso tra la dialettica e il baratro della retorica.
Il testo di Colli, scritto con uno stile affascinante, denso e complesso, ma mai insormontabile o oscuro, se non in rari punti, analizza con invidiabile acume la nascita della cultura occidentale e tra le varie riflessioni che fa suscitare, colpisce specialmente quella sull'agonismo. Agonismo come base della dialettica, scontro come base della conoscenza. In un epoca in cui la filosofia pare aver più poco da dire, in cui pare morta o esaurita nella sua pretesa etimologica, l'agonismo (mi) pare l'unico atteggiamento per rapportarsi con la classicità. Non contemplazione estatica, ma sfida serrata. Il senso della cultura classica sta là dove il lettore fa a pugni col passato, dove l'agonismo con una cultura sublime e terribile come quella greca è l'unico mezzo per instaurare nuovamente una dialettica serrata nel segno del molteplice, al di là dell'aut aut, o di qualsiasi totalitario principio unificante. E (scusate per la polemica velatamente personale) soltanto nell'agonismo (e non nelle etimologie) il liceo classico può avere ancora senso.