Istruzioni per rendersi infelici
Saggistica
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“L’uomo è infelice perché non sa di essere felice”
“Istruzioni per rendersi infelici” di Paul Watzlawick non può essere definito né un romanzo né un saggio, ma piuttosto una sorta di piccolo Zen sull’arte dell’essere infelice, nel quale le considerazioni ed i suggerimenti dell’autore, intrisi di una forte e divertente ironia e allo stesso tempo permeati di una certa realtà, scuotono il lettore, inducono alla riflessione e conducono ad annuire e a concordare con l’analisi del narratore, non per niente, psicologo e filosofo di grande acume.
Dal punto di vista formale, il linguaggio è semplice, gli esempi citati divertenti e piacevoli, lo stile scorrevole. Per di più, a condire il tutto, l’autore cita in modo appropriato e calzante perle di saggezza di alcuni dei più grandi scrittori, filosofi e personaggi del passato: Shakespeare, Sartre, Russell, Stevenson, Hesse, Orwell, Rousseau, Thomas More, Carrol, Dostoevskij, Groucho Marx e molti altri.
La lettura procede velocemente ed in men che non si dica dalla prima pagina ci si ritrova all’ultima in un tempo brevissimo, tanto da istigare la voglia di tornare indietro e di ripercorrere alcuni passi.
Questo è quanto mi è successo imbattendomi nella lettura di “Istruzioni per rendersi infelici”.
Non conoscevo né il libro né l’autore. Il volume mi è capitato per caso e sono stata immediatamente catturata dal titolo, evidentemente provocatorio e, spinta dalla curiosità, ho iniziato a sfogliare le prime pagine, non senza un po’ di timore e perplessità.
La titubanza è derivata dal fatto che, l’avere tra le mani un manuale con istruzioni per rendersi infelici poteva condurre, a seconda del contenuto che avrei trovato, a due risvolti: 1) scoprire un testo con un approccio demenziale sulla questione dell’infelicità, spassoso ed ilare, ed uscirne indenne e divertita 2) scoprire una lettura impegnativa ed essere messa di fronte ad una realtà con cui fare i conti nell’apprendere che lo status di infelicità è insita nell’essere umano e, per quanti sforzi si possano fare, non c’è via d’uscita.
Niente di tutto ciò.
Paul Watzlawick propone un intervento critico, fornisce spunti di riflessione ed informazioni utili con una leggerezza ed una sagacia tale da non poter che concordare con il suo punto di vista e prendere atto della veridicità della sua analisi, analisi mai pesante, mai amara, ma sicuramente indicativa dello status dell’essere umano, per sua natura mai pienamente felice ed appagato anche quando vive una situazione di per sé positiva.
Per rendere l’idea si pensi all’inizio di una storia d’amore, in cui la passione la fa da padrona. Il desiderio dell’altro, la piacevole e sorprendente scoperta di aver trovato la così detta anima gemella, lo sfarfallio nello stomaco nel vedersi, il sorprendersi delle attenzioni dell’altro, momenti magici che vorremmo durassero in eterno. Ma siamo consapevoli che non sarà sempre così, perché le cose cambiano nel tempo, i rapporti si trasformano, la sensazione di euforia si placa, lo scintillio si offusca. Non è detto che il sentimento svanisca, ma sicuramente negli anni si trasforma.
Ed allora, presi dalla paura di soffrire, prima che tutto ciò accada, anche quando va tutto bene e si dovrebbe godere appieno del fantastico momento che stiamo vivendo, tendiamo a trovare il neo, l’ombra nella luce, l’incrinatura nascosta sul vaso di porcellana. E facciamo di tutto, chi più chi meno consapevolmente, affinché ci sia qualcosa che non va, un pretesto per essere infelici. Come a dire: sto troppo bene, è tutto troppo bello, non può essere vero, non può essere capitato a me!
In mezzo a migliaia di manuali che parlano di ricerca della felicità, che indicano modi, mezzi e maniere per essere felici in questo mondo; in mezzo a pseudo maestri, guru e santoni (si pensi ai così detti mental coach, tanto di moda e alla ribalta in questi ultimi anni) che parlano per frasi fatte, motti ridondanti e scontati, che gridano ovvietà e banalità sui social, in tv e, purtroppo, anche tramite la stampa, non dico del tutto inutili ma piuttosto inflazionati e oltremodo osannati, il piccolo manuale di Watzlawick, datato 1983, andrebbe letto e tenuto ben presente.
Perché essere necessariamente felici? L’infelicità dell’essere umano non risiede paradossalmente proprio nella ricerca spasmodica, incessante ed alquanto frustrante della felicità?
Ce l’hai lì, ce l’hai già, goditela!
“Istruzioni per rendersi infelici”: sicuramente una lettura consigliata!
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Gioco o non gioco nella (in)felicità
In questo breve libro l'autore ci trascina nella difficile arte dell'osservare e smantellare, nel caso, le congetture e le assurdità tanto labili quanto impregnate di consistenza, che la diabolica mente dell'esperto pessimista/aspirante infelice insito nella razza umana si porta dentro e riversa fuori con astuzia acrobatica.
Umorismo, esempi e riflessioni si arricchiscono di numerose citazioni tratte dalla filosofia, letteratura, teatro, saggezza popolare e dalle scienze sociali, senza tralasciare un astuto utilizzo della penna sarcastica contro saccenti operatori che ricercano all'infinito le causa delle difficoltà esclusivamente nel passato, a ritroso, nell'essere fedeli a sé stessi, nella spontaneità etc, perdendo di vista la Vita nella quale "state giocando un gioco. Giocate a non giocare alcun gioco" .
Qual è la ricetta della felicità? È forse una chimera? Siamo sicuri di non andare alla ricerca, se non addirittura alla costruzione artificiosa e mentale, del suo esatto opposto: l'infelicità?
Nel paradosso rappresentato dalle innumerevoli sfaccettature e difficoltà insite nella comunicazione umana, nei rapporti con oggetti e/o relazioni, si smascherano gli artifizi. Ecco che le profezie che si adempiono da sé si colorano e i falsi miti contro cui sbattiamo costantemente il naso, ci accolgono. E quindi emergere la potenza creatrice o distruttrice dell'idea stratificata nella mente, la quale farà sempre in modo di darsi ragione con tutti i risvolti che ne conseguono nella realtà che attribuiamo agli altri, nonché nel destino che viviamo perché "il fato conduce dolcemente chi lo segue, trascina chi gli resiste".
Allora non resta che scegliere "liberamente" se fare, dire o essere se stessi così o comí, consapevoli che "psichiatri e psicologi non sanno ancora spiegare perché abbiamo la tendenza a farci ingannare dall'illusione delle alternative, mentre non abbiamo solitamente alcuna difficoltà a rifiutare sia l'una che l'altra alternativa quando esse ci vengono presentate separatamente, una alla volta. Bisogna imparare a utilizzare questo tipo di meccanismo se ci si vuole dedicare alla complicazione dei rapporti umani".
Leggendo le capriole che costantemente si ripetono nella vita di tutti i giorni, non possiamo che sorridere, di quel sorriso che fa riflettere non tanto sull'origine dei problemi, bensì sul fatto di non affrontarli, continuando imperterriti a dar la caccia alla chiave in un luogo in cui sappiamo non averla smarrita, perché dove l'abbiamo persa c'è troppa oscurità per mettersi alla ricerca.
Ma l'autore ci ricorda che nel gioco a somma zero, se così vogliamo intendere i rapporti umani in cui uno vince e dimostra la perdita e l'errore dello sconfitto, in questo gioco ci dimentichiamo che c'è una terza variabile: la vita. A questo punto resta a noi rivedere i termini del gioco in cui la prima regola è che non è un gioco ma una cosa molto seria nella quale la matematica può dir la sua.
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La ricerca della felicità
Evidente e interessante l’approccio di questo saggio ci evidenzia tutti i modi con la quale noi, grazie alle nostre abitudini e al nostro modo di pensare, ci rendiamo sostanzialmente infelici. La ricerca stessa della felicità porta sempre più spesso all'infelicità. L’autore ci conduce in un percorso inverso verso la felicità, indicandoci appunto la strada che seguiamo per essere infelici, il percorso che ci porta all'avverarsi di profezie che vengono fatte e che il più delle volte facciamo anche in modo che si verifichino. Un saggio interessante che riporta esempi e concetti in maniera chiara e spesso ovvia, l’autore ha la capacità di farci capire come la psiche umana sia in grado di complicarsi la vita rendendola triste e di come, altrettanto semplicemente, possa essere capace di renderci felici.
Uno degli esempi che più mi hanno colpiti è il seguente:
-Sotto un lampione c’è un ubriaco che sta cercando qualcosa. Si avvicina un poliziotto e gli chiede che cosa ha perduto. “La mia chiave,” risponde l’uomo, e si mettono a cercare tutti e due. Dopo aver guardato a lungo, il poliziotto gli chiede se è proprio sicuro di averla persa lì. L’altro risponde: “No, non qui, là dietro; solo che là è troppo buio.”-
La comodità di rimanere sempre sulle stesse posizioni, di non cambiare per paura di dover affrontare una situazione scomoda, questo è uno dei modi per inseguire l’infelicità e non coltivare quello alla quale tutti aspirano, la felicità.
Un bel saggio che si legge in poco tempo e che fa riflettere sulle nostre abitudini e sulle nostre convinzioni sul tema felicità / infelicità