Intervista a Claudio Magris
Saggistica
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Il cavaliere dalla triste figura.
Sergio Sozi e Claudio Magris: come dire un piccolo giornalista che prova ad intervistare un titano.
Eppure l'intervista non è del tutto banale, gli spunti per arrivare ai vari nervi scoperti della Cultura vengono individuati con regolarità.
Ho una grande stima per Magris.
Credo che insieme a Gobber sia il massimo esperto italiano di cultura mitteleuropea.
Dalla lettura di questo bel volumetto ho appreso due cose in particolare:
1) Le raccomandazioni servono dovunque in questo paese.
2) A Claudio Magris il Nobel non arriverà mai.
E' davvero troppo intelligente.
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Un dialogo culturale di elevato livello
E’ indubbio che i libri di Sergio Sozi, fatta eccezione per il romanzo Il menù, presentino caratteristiche del tutto particolari, ricomprendendo forme espositive diverse. E’ accaduto con Ginnastica d’epoca fredda, con un bel racconto intitolato appunto così, accompagnato da un breve, ma esaustivo saggio sulla Storia della Letteratura degli italiani d'Istria, Quarnaro e Dalmazia.
In Intervista a Claudio Magris, un vero e proprio dialogo culturale avvenuto nel 2006, è ricompresa l’analisi di una lettera, pubblicata nell’estate del 2009 sul Corriere della sera, e indirizzata dallo stesso Magris al Ministro della Pubblica Istruzione Mariastella Gelmini, epistola che fra l’ironico e il satirico è una decisa presa di posizione sull’unità linguistica e sull’identità nazionale, .
Ora, le interviste possono magari incuriosire, ma è meno frequente il caso che possano veramente interessare e quella presente in questo libro è una di quelle, rare, che veramente costituiscono un’occasione da non dimenticare. I motivi della pregevolezza di questo scambio di domande e di risposte risiedono da un lato nella capacità di Sozi di formulare quesiti che, pur nell’ambito della cultura, sono di portata ampia e tale da essere considerati imprescindibili nell’attuale contesto sociale, e dall’altro nell’elevato livello intellettuale di Claudio Magris, disponibile a un dialogo schietto, sincero, non dogmatico e, soprattutto, non politicizzato.
E’ fuor di dubbio che l’autore triestino rappresenti ormai da tempo un faro per la cultura non solo italiana, ma mondiale; in lui convivono, interagendo, un profondo senso etico che tende a restituire alla conoscenza il valore di accrescimento spirituale dell’uomo, e la capacità di analizzare i fenomeni mettendo a frutto la corposa cultura assimilata con spirito critico nel corso della sua esistenza.
Magris è certamente un nome conosciuto, ma ritengo opportuno brevemente sintetizzare chi sia veramente. Triestino, laureato in Lingua e Letteratura tedesca, che insegna nell’università di Trieste, saggista di primo piano (suoi sono i Tre studi su Hoffmann, Lontano da dove, Joseph Roth e la tradizione ebraico-orientale, ancora Tre saggi su Hoffmann, Utopia e disincanto), è anche narratore (Un altro mare, Le voci, Microcosmi, con cui ha vinto il Premio Strega). Figura di assoluto rilievo in campo letterario, è sovente nella rosa dei papabili per il Premio Nobel.
Per quanto concerne Sergio Sozi mi permetto di rimandarvi alla breve biobibliografia esposta in calce.
Ritorno all’intervista, un vero e proprio dialogo, fra un uomo di frontiera come Magris e un italiano proiettato nella complessa realtà di quella frontiera come Sozi; la stessa inizia prendendo spunto da Microcosmi, il romanzo dell’autore triestino che ha avuto come riconoscimento il Premio Strega, e in particolare dalle pagine riguardanti il Monte Nevoso (Sneznik). Non ho letto questo libro, ma sono dell’opinione che quel rapporto-conflitto tra uomo e natura non possa che suscitare il mio più pressante interesse. Credo che Magris abbia saputo cogliere quel problema esistenziale che, nel mentre ci porta a fuggire da una vita convulsa e irrazionale, ci pone di fronte anche a un dilemma, un dubbio amletico sui motivi della nostra presenza e sull’accettazione di essere umili parti di un caos perfetto.
Non vado oltre, evitando anche di riferirmi alle successive domande, perché l’interesse diretto e immediato che può offrire solo la lettura del libro finirebbe inevitabilmente con il disgregarsi, tentando un lezioso e tutto sommato inutile riassunto.
Il breve saggio invece sulla citata lettera al Corriere della sera è l’occasione, ghiotta, per Sozi, che ovviamente condivide i contenuti di quest’epistola, per rivendicare la nostra italianità, tema a lui sempre caro, al punto da costituire l’oggetto delle sue opere di narrativa, e che si tratti di un uso corretto della nostra lingua, oppure della riaffermazione di una comune nazionalità, le cose non cambiano.
Bella, ironica, anche sarcastica è la lettera di Magris, puntuale, esauriente e senza retorica ne é il commento di Sozi.
Quindi ci troviamo di fronte a un libro strano, senz’altro di estremo interesse, parole distillate per compendiare concetti e forme in modi più che corretti, decisamente comprensibile, l’ideale per una lettura gradevole, ma che induce a frequenti riflessioni. Gli antichi romani, ma anch’io, lo definirebbero con una semplice, ma efficace locuzione: jucunde docet.