Il piacere di pensare
Saggistica
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Il Piacere di Pensare
Ricordavo Hillman dai tempi dall’università, quando lessi con una certa passione Il Codice dell’Anima. Peccato che la spinta ad avvicinarmi al filosofo m’era giunta da un bel tipo che frequentava uno dei miei corsi; soggetto a favore del quale, vi assicuro, sarebbe stato lecito leggere la qualunque, fosse anche il manuale in ostrogoto stretto delle istruzioni di un motore diesel.
Così, a tu per tu con Il piacere di pensare, che altro non è se non una conversazione tra la filologa Silvia Ronchey, la quale rilancia i temi più conosciuti dello studioso, ed il filosofo stesso ormai anziano, ho finalmente compreso che io del “pensiero” di Hillman non ci avevo veramente capito nulla (o quasi).
Tuttavia mi ci sono messa d’impegno, ed anche se non è semplice riportare in breve i punti chiave di questa “intervista”, proverò a condividere ciò che ne ho tratto.
Si parte dal concetto fondamentale e Jung-iano che la psiche non è dentro di noi, ma siamo noi ad essere dentro la psiche, ovvero non è l’anima nel corpo ma è il corpo che passeggia in quel giardino che è l’anima. Provate ad immaginare a tutti i ponti che costruiamo interiormente per superare le difficoltà, o ai prati assolati e verdeggianti di quando siamo felici: il giardino è in effetti la giusta metafora per l’anima. E come ogni giardino, anche l’anima ha bisogno di cure che possono essere praticate attraverso il Pensiero.
Il Pensiero è dunque da considerarsi alla stregua di una pratica, di un allenamento, lo stesso che esercitano i giardinieri o anche gli sportivi.Per meglio dire, il Pensiero è difficile ma provoca piacere: così come ad esempio sciare è difficile e faticoso ma piacevole allo stesso tempo. Ci vuole rigore, insomma. Quello stesso rigore che oggi la nostra cultura rifiuta - “si ritiene che un bambino debba trovare vie facili per imparare, e divertirsi mentre impara”- , così come rifiuta l’accettazione del dolore come un elemento che appartiene all’individuo, che non redime né è causa di una colpa ma da cui semplicemente si può ricavare qualcosa come da qualsiasi altro lato dell’esistenza.
In una società in cui, tuttavia, ci viene richiesto di condurre uno stile di vita maniacale, di stare al telefono, controllare l’email, entrare ed uscire dai supermercati, comprare, correre, cumulare due o tre lavori, acquistare automobili nuove, nuovi vestiti, nuovi computer, non ci è permesso di soffrire, né tanto meno di essere depressi (unico modo della psiche di mettere un freno a tutto questo); i governi e le multinazionali sono piuttosto disposti ad investire in prodotti farmaceutici ed in qualunque forma di ricerca in grado di consentire ai consumatori di proseguire nella loro frenetica attività del consumare.
Vietato soffrire e vietato Pensare: questo ci impongono le nostre ricche culture!
Una lettura interessante e ricca di spunti, dunque. Un excursus delle principali tematiche toccate dal Maestro durante tutta la sua storia bibliografica ed in cui viene messa ancora in risalto la difficoltà ad accettare il Daimon , ovvero, secondo il mito platonico, il demone assegnato a ciascuno prima della nascita e che determinerà la “tendenza” dell’individuo intesa come “carattere” o “vocazione”.
Una lettura anche complicata, che richiede una certa attenzione ed un minimo di conoscenza dei precursori e degli argomenti trattati, e che non mi sentirei di consigliare a chi non è proprio appassionato o a chi ha deciso di intraprendere la conoscenza di questo autore partendo da quest’opera.
Di sicuro, mi toccherà almeno rileggere Il Codice dell’Anima: ma non appena mi sarò ripresa dal… piacere di pensare!