Saggistica Scienze umane Il mito di Sisifo
 

Il mito di Sisifo Il mito di Sisifo

Il mito di Sisifo

Saggistica

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Questo libro, pubblicato nel 1942, intende ripensare "la filosofia dell'assurdo" e si inserisce in una precisa tradizione che da Kafka a Gide, da Kierkegaard a Nietzsche offre una altissima testimonianza della crisi spirituale che caratterizza il Novecento. "Il mito di Sisifo" si configura come un'opera insieme di confessione e di riflessione filosofico-letteraria di un autore che esce dalla giovinezza e prova a cimentarsi con la filosofia del suo tempo e, incrociando il ferro coi padri dell'esistenzialismo, mira a conquistarsi un pensiero originale. L'"assurdo" è una presa di coscienza preliminare a ogni regola di vita, ma segna solo un momento di passaggio. Il ragionamento rigoroso e un impegno concreto, uniti a una fondamentale esigenza chiarificatrice, sono tesi a dimostrare che anche la desolante dottrina dell'esistenzialismo, allora dominante, contiene qualche accenno di speranza.



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Il mito di Sisifo 2017-04-21 06:53:34 abby
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abby Opinione inserita da abby    21 Aprile, 2017
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L'assurdo (e come comprenderlo)

Camus viene da molti considerato un filosofo, e lo è, sebbene non potremmo definirlo "a tutto tondo". Intuisce molte cose interessanti, le analizza e le rende chiare. Ma spesso si avventura alla ricerca di una via di uscita, ricadendo nei pressi del punto dal quale era partito. Ma la cosa non è senza beneficio per il lettore che lo segue.
Ne Il mito di Sisifo, Camus affronta il tema dell’assurdo. Lo identifica e lo illustra utilizzando immagini e pensieri propri di personaggi di altre opere e dei loro autori.
Questo volo su paesaggi realizzati da altri autori, dei quali si evidenziano gli aspetti che contribuiscono ad una migliore comprensione dell’assurdo, è in sé di una piacevolezza unica, per quanto la materia non sia leggera.
Ma cos’è l’assurdo?
L’assurdo è l’incapacità dell’uomo di comprendere la vita, il non riuscire a darle un senso che non ricada in una qualche fede dogmatica.
L’assurdo si fa avanti nel momento in cui si inizia a pensare e più si vuole comprenderlo, per scacciarlo, più questo acquista forza.
Camus parte subito offrendo la soluzione che i matematici definirebbero banale: il suicidio. Lui stesso, però, non crede nell'utilità di questa soluzione la quale, comunque, ritorna utile per iniziare un excursus nelle stanze buie della vita.
Perché Sisifo?
Sisifo è il padre della presa di coscienza che porta alla comprensione dell’assurdo. Viene condannato dagli déi, per il suo comportamento in vita, ad una pena eterna che prevede lo spingere su per una montagna un grande macigno, che in cima dovrà lasciare affinché ritorni a valle, in modo che il tutto ricominci. Senza possibilità di posa o variazione. Camus lo sceglie come emblema della condizione umana per questo ripetere di operazioni senza alcuno scopo, né come fine esterno né come capacità di crescita personale.
La scena riporta alla mente quello che accade nel IV cerchio dell’inferno dantesco, dove gli avari e i prodighi sono costretti per l’eternità, a spingere massi. Anche qui non v’è redenzione, anche qui non v’è comprensione per chi compie il gesto che le azioni della vita sono inutili. Ma Dante non vuole che i dannati comprendano, vuole che a comprendere siano i lettori.
Camus si spinge oltre, rispetto a Dante. Il suo Sisifo è cosciente, durante la sua attività, comprende l’inutilità di quel che fa, l’assurdo di quel suo esistere. Mentre scende per la montagna può pensare. I dannati di Dante non pensano, non comprendono e lo spirito che li anima è lo stesso che li animava in vita.
Sisifo non è monito per il lettore, bensì emblema della vita che il lettore conduce e àncora cui aggrapparsi per iniziare a muoversi verso la lucidità.
Camus dona a Sisifo, e quindi al lettore, una via di uscita. Espone la sua idea a fine libro, quando chiede al lettore di soffermarsi sulla fase in cui Sisifo ridiscende lungo il fianco della montagna e, durante questo tempo, pensa a come uscirne. L’accettazione della sua condizione è la soluzione proposta, una scelta che è una ribellione contro gli déi, quasi un voler privare loro della soddisfazione di vederlo soffrire, un privarli della loro vendetta.
Ma la soluzione non ha alcun effetto su Sisifo e sulla sua pena, ma solo sul suo rapporto con chi gli ha inflitto quella pena, senza che il pensiero della controparte venga analizzato.
Questa soluzione non è banale come poteva esserlo il suicidio, ma è sostanzialmente assurda, come la vita che Camus ci racconta in queste pagine – ed è questo che conferisce valore all’opera. Altri professionisti del pensiero si sono soffermati sull’analisi della vita, evidenziando le pieghe dove il dolore tende ad accumularsi. Ma il voler trovare una soluzione è, spesso, il sintomo dell’incapacità di sopportare il peso della verità, non volendo ricorrere né al suicidio e non potendo ritornare ad una soluzione dogmatica, sia essa fede o filosofia di vita, dalle quali ci si era distaccati.

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Il mito di Sisifo 2015-09-20 15:58:54 FrankMoles
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FrankMoles Opinione inserita da FrankMoles    20 Settembre, 2015
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Il macigno rotola ancora

Sisifo, dipinto tradizionalmente come il più scaltro dei mortali, è un personaggio della mitologia greca; punito per aver osato sfidare gli dei, fu costretto da Zeus a far rotolare un enorme macigno dal pendici alla sommità di un monte, per vederlo poi puntualmente ricadere giù una volta giunto in cima.

Nella sua dissertazione sull’assurdo Albert Camus strumentalizza l’eterno mito, fornendone una lettura metaforica funzionale alla tesi da lui sostenuta nel saggio. Proprio come Sisifo, costretto ad una fatica che si rivela costantemente vana, l’uomo si trova, non per sua volontà, a dover spingere il suo macigno per le impervie vie della vita, con l’amara consapevolezza che alla fine di tutto non ci sarà che la morte, vanificazione di ogni sforzo in rapporto al mondo. In ciò risiede l’assurdo, vera e propria condizione esistenziale per l’uomo: “A questo punto del proprio sforzo, l'uomo si trova davanti all'irrazionale e sente in sé un desiderio di felicità e di ragione. L'assurdo nasce dal confronto fra il richiamo umano e il silenzio irragionevole del mondo.”

Come porsi dunque di fronte al proprio ineluttabile destino mortale e alla consapevolezza dell’assurdità della vita? Se “un uomo è sempre preda delle proprie verità”, non resta dunque che la scelta tutta umana tra la contemplazione e l’azione. L’astratta contemplazione dell’esistenza, caratteristica tipica dell’esistenzialismo, conduce sulla via del suicidio, che Camus analizza come fenomeno filosofico. L’autore giunge così a dimostrarne l’inutilità, secondo un’argomentazione strettamente antropologica e mai sconfinante in banali moralismi, religiosi e non. Da un lato, il suicidio fisico fisico non risolve il problema dell’assurdo, dall’altro il suicidio spirituale, consistente nell’affidarsi totalmente a una potenza assoluta esterna (il Dio di Kierkegaard, la Ragione di Husserl) non fa che sviarlo illusoriamente. Il suicidio, ovvero l’oblio della consapevolezza, non è una risposta umanamente ragionevole a un umano problema.

“Quanto rimane, è un destino di cui solo la conclusione è fatale. All'infuori di questa unica fatalità della morte, tutto – gioia o fortuna – è libertà, e rimane un mondo, di cui l'uomo è il solo padrone.”. Chi, al contrario, sceglie l’azione indirizza se stesso sulla via della libertà. La presa di coscienza della natura della vita da parte dell’uomo assurdo deve essere accompagnata dall’accettazione di questa convivenza forzata con i suoi mali, non dal vano ed illusorio tentativo di guarire da essi. In questo modo l’uomo assurdo, nello spazio limitato e soggetto a regole incontrollabili della sua esistenza, avrà compiuto la sua rivolta contro il destino e contro se stesso e si sarà conquistato la sua libertà. Libertà che è creazione, che è arte, che è vivere, che è soprattutto sopportare. Una libertà che nulla ha a che fare nemmeno col superuomo di Nietzsche, che col suo nichilismo rischia pericolosamente di cadere nel relativismo e in un’illusoria speranza di felicità da onnipotenza. La felicità non sta nel vivere tutto potendo, ma nella lotta contro il non poter tutto, poiché in questo consiste l’assurdo. Bisogna che il macigno continui sempre a rotolare.
“Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice.”

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