Gratitudine
Saggistica
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Arrivederci, Mr. Sacks
«La maggior parte era ispirata a un senso di gratitudine: gratitudine per quanto avevo ricevuto dagli altri, ma anche per essere riuscito a dare qualcosa in cambio.»
Fu nel 2005 che Sacks apprese di un particolare melanoma a un occhio ma fu soltanto nel 2013 che quel particolare tipo di cancro, con il 50% di possibilità di metastatizzare o meno, intaccò anche il suo fegato e altre parti del suo organismo. Fu per questo che in un lasso di appena pochi giorni scrisse il saggio “La mia vita”, uno scritto dal quale emergeva la sua profonda gratitudine per questa vita e per quanto avuto durante questa. Sacks riuscì a godere di buona salute ancora per un paio d’anni e chissà, forse è anche per questo che non pubblicò immediatamente questo saggio ma attese. Attese quel tempo necessario ad analizzare, fare bilanci, ringraziare, riflettere su un percorso esistenziale così lungo che adesso poteva finalmente vedere nella sua interezza.
«A ottant’anni, i segni del declino sono fin troppo visibili. Le reazioni diventano un po’ più lente, spesso i nomi sfuggono, e le energie vanno dosate; nondimeno capita spesso di sentirsi pieni di vita e di energie, niente affatto “vecchi”. […] Morì a ottantotto anni, ancora coinvolto appieno nel suo lavoro estremamente creativo. […] Uno ha avuto una lunga esperienza della vita, non solo della propria, ma anche di quella altrui. Ha assistito a trionfi e tragedie, espansioni e contrazioni, guerre e rivoluzioni, grandi affermazioni e profonde ambiguità. Ha assistito all’ascesa di splendide teorie, solo per vederle cadere sotto il peso di inesorabili dati di fatto. Vi è una maggior consapevolezza della transitorietà e, forse, della bellezza. Adesso riesco a immaginare che cosa sia un secolo, riesco a sentirmelo nelle ossa; quando avevo quaranta o sessant’anni non potevo fare altrettanto. Non penso alla vecchiaia come a un’età sempre più triste che in un modo o nell’altro va sopportata facendo buon viso a cattivo gioco, ma come a un periodo di libertà senza impegni, svincolato dalle artificiose urgenze del passato, in cui sono libero di esplorare quello che voglio e di legare tra loro i pensieri e i sentimenti di tutta una vita. Non vedo l’ora di compiere ottant’anni.» pp. 20-22
Quattro i saggi contenuti in questa raccolta intitolata “Gratitudine” e che prendono il nome di: “Mercurio” come quell’argento vivo in movimento verso l’alto e il basso che è l’elemento numero 80 come gli anni che sta per compiere nel momento in cui scrive, “La mia vita” composta da un lungo viaggio fatto di scoperte e auto-scoperte, “La mia tavola periodica” perché per ogni elemento vi è un numero e per ogni numero un anno e per ogni anno un ricordo e infine “Shabbat” per quei tempi che furono e per quelle radici che sono e che conducono a quello che è il giorno del riposo.
È così che Oliver Sacks si congeda dai suoi lettori e dalla sua vita, con un titolo intriso e permeato in ogni battuta e pagina di “gratitudine”, una gratitudine che arriva con forza disarmante e con grande empatia nel conoscitore che è chiamato a interrogarsi e che di fatto si interroga. Ogni parola, ogni saggio è una carezza che ci viene dedicata e che custodiamo nel cuore. Perché forse, alla fine, non esiste davvero un epilogo, perché forse, alla fine, siamo condotti da quel lungo filo conduttore che ci trattiene e fa sorridere. Un congedo che arriva al cuore.
“Scopro che i miei pensieri vanno allo Shabbat, il giorno del riposo, il settimo giorno della settimana e forse anche della propria vita, quando uno sente d’aver fatto la sua parte e può, in coscienza, abbandonarsi al riposo.” p.54
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Congedo
“Scopro che i miei pensieri vanno allo Shabbat, il giorno del riposo, il settimo giorno della settimana e forse anche della propria vita, quando uno sente d’aver fatto la sua parte e può, in coscienza, abbandonarsi al riposo.”p.54
Riconosco, in queste lettere, la scrittura lucida, semplice e consapevole di Oliver Sacks, un autore che mi guida da sempre. Le sue riflessioni sulla vita che trascorre irrimediabilmente, sono una carezza ad ogni persona che riflette e che si interroga sul senso della malattia e della morte, a partire dalla vita.
Non esiste la fine, quando si è vissuti coltivando il sentimento, il pensiero, la scelta di agire.
Vivere in presenza, capendo, coinvolgendosi, talvolta, compromettendosi con l’alterità è l’unica possibilità di offrire un senso alla mancanza, al limite, alla provvisorietà dell’esperienza umana.
Rimaniamo a perdonare l’onnipotenza e a riconoscere la paura, così, diventiamo vivi oltre la mortalità, nell’amore gratuito di relazione.
“Non posso fingere di non aver paura. A dominare, però, è un sentimento di gratitudine. Ho amato e sono stato amato; ho ricevuto molto, e ho dato qualcosa in cambio; ho letto e viaggiato e pensato e scritto. Ho avuto un contatto con il mondo, di quel tipo particolare che ha luogo tra scrittori e lettori. Più di tutto, sono stato un essere senziente, un animale pensante, su questo pianeta bellissimo, il che ha rappresentato di per sé un immenso privilegio e una grandissima avventura.”p.29
E, allora, io sono grata, sempre.