Godel, Escher, Bach. Un'Eterna Ghirlanda Brillante
Saggistica
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La realtà è la miglior fantasia?
Alice non fu più in grado di far ritorno nel Paese delle Meraviglie, dopo esserne uscita fuori sputata dallo specchio della sua coscienza: ella crebbe, ella dovette fare i conti con la realtà. Eppure qualcosa in lei sfrigolò, si agitò, ribollì come puro magma per tutto il resto della sua vita. Ogni “Alice” di questo mondo (e il mondo ne è pieno o, almeno, si spera) si sente così. È per questo che a volte sembrano così dedite alle regole, alle leggi, al dover essere, al lavoro: soltanto così possono tenere a bada il caos interiore e la continua generazione di sogni, fantasticherie, chimere. Ma che reazione avrebbero le “Alice” del nuovo millennio se si dicesse loro che il Paese delle Meraviglie è lo stesso mondo in cui si sentono incatenate? Che reazione avrebbero se venissero a sapere che è la stessa imperturbabile logica a cui cercano d’affezionarsi, senza successo, ad ammettere di farsi spazio in un mondo molto più vasto, caotico, colorato, bizantino, non-logico? Come si sentirebbero dopo aver letto lo sfolgorante Godel, Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante, scritto da un vero e proprio Homo Universalis dei tempi moderni, il dottor Douglas Hofstadter? Di certo si sentirebbero rinate, ringiovanite.
Il professore Hofstadter squaderna nel suo capolavoro una nuova visione del mondo, che non può non risultare poetica ed emozionante agli occhi di quella categoria di persone a cui ho dato il nome di “Alice”: un mondo votato alla complessità, un mondo che si struttura in una moltitudine di strati e ripiegamenti auto-referenti, un mondo denso di misteriosi ‘Strani Anelli’. Ma la cosa ancor più sorprendente è che qui non ci troviamo innanzi ad uno scienziato che strizza l’occhio all’olismo(Noble), ad uno scienziato credente (Collins), o ad uno scettico di professione (Latour): siamo di fronte un riduzionista di primo livello, un uomo che ha fatto della tesi di Church-Turing un suo cavallo di battaglia e che è convinto della validità dei progetti di Intelligenza Artificiale.
Possibile che un mondo artistico alla Lewis Carroll sia compatibile con la rappresentazione rigorosamente scientifica con cui Hofstadter ci consegna il mondo e ciò che lo percepisce, la mente? Ma certo che si! L’autore comincia il suo lungo e a dir poco tortuoso cammino letterario introducendo un po’ di storia della logica e mostrandoci che essa non fornisce ‘congegni diabolici’ con cui addomesticare il pensiero ma veri e propri cantieri, progetti in costruzione, nella cui realizzazione il pensiero raggiunge il suo massimo grado di acutezza.
Hofstadter parla del progetto logicista (ovvero il progetto di ridurre la matematica a un sistema formale della logica) che ispirò grandi menti come quelle di Frege e Peano, del completo naufragio del logicismo avvenuto con la formulazione del paradosso di Russell, del tentativo dello stesso Russell e di Whitehead di rielaborare un sistema logicista che tenesse conto del paradosso nei Principia Mathematica e infine presenta Kurt Gödel, il quale ha il gran merito di aver reso ‘introspettiva’ la logica e di aver scoperto con ciò il primo Teorema di Incompletezza.
Gödel, in altre parole, ha tradotto in termini meta-matematici il famoso paradosso di Epimenide , “Questo enunciato dell’aritmetica non ammette alcuna dimostrazione nel sistema formale dell’AT (il sistema formale plasmato dallo stesso Hofstadter sul modello di quello di Russell)”, e da qui, attraverso un cervellotico ragionamento matematico, è giunto alla conclusione che l’enunciato è indimostrabile ma vero. Ogni tentativo di superare questo gap, costruendo un sistema formale maggiore che sia in grado di contenerlo, ovvero AT (sistema formale) + G (numero di Gödel, ovvero proposizione indecidibile) può essere superato riapplicando la ‘gödelizzazione’ e riformando una verità non dimostrabile. Gödel scoperchiò così un vaso di pandora: la matematica e la filosofia non furono più le stesse. Il ragionamento matematico è contenuto in alcuni dei capitoli del libro e devo ammettere di non averne capito granché (ci ritornerò più avanti, una volta acquisite maggiori capacità).
Il ghirigoro matematico con cui Gödel ha rilevato l’indimostrabilità di certe verità matematiche trova corrispettivi artistici, umani e naturalistici: le tortuose fughe di Bach (si provi ad ascoltare l’Offerta musicale), i meravigliosi dipinti ed onirismi di Escher, i grafici ricorsivi di cui usufruisce la fisica, il DNA e i suoi processi, la filosofia zen e soprattutto quel sontuoso tempio dalle colonne spiraleggianti che prende il nome di cervello. Il poliedrico scienziato è abilissimo nell’organare con cura questo oceano di argomenti coll’intenzione di rivelare come l’autoreferenzialità è alla fine una costante del nostro mondo. Ma la magia gödeliana, che spezza la logica, che complica l’esistenza, che rivela inaccessibili certe verità, che rende più artistico il lavoro dello scienziato, sembra svanire quando Hofstadter propone il suo modello per spiegare la coscienza: il cervello è l’hardware di un computer, la mente un software, i neuroni sono il materiale inerte, la coscienza, il mondo virtuale. Se la coscienza si riduce a questo, non sarà difficile, in un futuro indeterminato, progettare macchine non solo pensanti ma perfino capaci di percepire, gioire, soffrire.
“Sono convinto che la spiegazione dei fenomeni ‘emergenti’ nel cervello, per esempio idee, speranze, immagini, analogia, e infine la coscienza e il libero arbitrio, sia basata su un qualche tipo di Strano Anello: un’interazione fra i livelli in cui il livello più alto torna indietro fino a raggiungere il livello più basso e lo influenza, mentre allo stesso tempo viene determinato da esso”.
La coscienza si basa, dunque, sullo stesso gioco di Gödel, ovvero sulla capacità di uscire fuori da sé stessa, dai neuroni che ne costituiscono le sue ‘regole formali’, per costruire un nuovo sistema, quello dei simboli, da poter poi a sua volta cogliere in sfere d’astrazione sempre più complesse. Il Paese delle Meraviglie non è solo intorno a noi, con le sue porte infinite e i suoi dedali intricati, ma anche dentro di noi.
La prospettiva riduzionista di Hofstadter crea ancora molti dubbi e perplessità e in un primo momento sembra togliere peso alle concezioni religiose e all’estetica su cui abbiamo forgiato il nostro senso comune: in verità essa qualora si rivelasse il modo migliore con cui affacciarci alla realtà e a noi stessi,
non sradicherebbe affatto la bellezza del mondo, ma anzi continuerebbe a nutrirsi della stessa per immergere nei meandri più profondi dell’eterna ghirlanda brillante.