Apologia di Socrate
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L'esistenza priva di curiosità non è umana vita
Se ripercorressimo questa breve e intensa opera, pagina per pagina, sicuramente ci accorgeremmo che una è la parola che spicca più di tutte le altre e brilla indiscussa, la verità, meta indiscussa del nostro filosofo dell’uomo, quella verità perseguita ad ogni costo, oltre ogni diceria e ogni retorica sofistica che mette un falso vero in vetrina, con il solo scopo di persuadere la comunità.
Ma Socrate è conscio della sua missione datagli dal Dio: quella di allontanare l’uomo dalle false verità, di liberarsi e liberare dalle erronee presunzioni che ci caratterizzano, di comprendere che il nostro sapere non è che pochezza. E proprio questa consapevolezza gli impedisce di essere preda delle paure, di non addentrarsi nei rischi più profondi, in primis perché chi persegue uno scopo nobile e può essere utile agli altri non deve temere rischi, in secondo luogo perché, da uomo saggio, Socrate sa bene di non conoscere la morte e di non poter presumere nulla, non avendo una visione del tutto.
Nella sua lunga difesa, il nostro filosofo ha ben di fronte a sé la perentoria condanna, non spinge la giuria ad impietosirsi, non si scompone, anzi fino all’ultimo istante persegue la sua meta. Anche nelle ultime ore, non si stanca di mettere a nudo le presunzioni dell’uomo con il suo principio instancabile: il dialogo, che apre le strade ad una verità che è continua ricerca.
Ritornano più volte nell’opera le cause formali dell’accusa rivolta a Socrate: empietà e corruzione dei giovani. Eppure, non smettono di affiorare nel lettore le cause più profonde: la grave colpa del nostro filosofo è quella di mettere a nudo il suo interlocutore, di sgonfiare le sue certezze ostentate e mettere ogni cosa in discussione, di lasciarlo inerme di fronte alla sua limitatezza.
Nonostante i dubbi iniziali circa la difficoltà del testo, mi sono completamente ricreduta. E’ sicuramente una lettura arricchente e intensa nelle sue poche pagine, dominata da una tensione continua, che porta il lettore a sperare fino all’ultimo minuto in una assoluzione insperata e inaspettata.
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colpevole perché sapiente
Vi invito a chiudere gli occhi e a farvi trasportare dalla macchina del tempo, nell'anno 399 a.c. In un'Atene cambiata in negativo, con la corruzione che padroneggia in città, diventerete spettatori inermi nel processo che dovrà decidere le sorti di un imputato eccellente.
L'imputato in questione è Socrate, ormai settantenne, che salito sul banco degli imputati dovrà pronunciare, probabilmente l'ultimo discorso della sua vita.
La difesa seppur magistrale, non riuscirà a far cadere le accuse rivolte da Meleto, Licone e Anito che son riusciti a mettere su, un impianto accusatorio, basato sul nulla.
Lui colpevole di: non legittimare gli dei che lo Stato riconosce, introdurre nuove forme di culto e corruzione dei giovani.
Cercherà di spiegare le ragioni del perchè abbia tanti nemici, nonostante sia un uomo sapiente. Sapiente è colui che riconosce di non sapere, a differenza di politici, artisti e poeti che vantandosi di sapere, risultano più ignoranti di lui.
Accusatori vecchi e nuovi hanno puntato il dito contro Socrate, i primi sono i più pericolosi perchè sono riusciti a plasmare i più giovani, che per la tenera etá sono portati, da sempre, a credere a tutto, i secondi hanno remato nella direzione opposta, per invidia o cattiveria.
Egli chiederà a chi lo dovrà giudicare di non farsi abbindolare dalle belle parole pronunciate dai suoi accusatori ma di accertare la verità.
Una verità che non interessa a nessuno, essendo l'imputato soggetto pericoloso per la nuova democrazia, dovrà essere eliminato dalla scena politica a costo di cambiarne il destino.
"Ma già ora è di andare: io, a morire; voi, a vivere. Chi di noi andrà a stare meglio, occulto è a ognuno, salvoché a Dio"
P.s. I miei ringraziamenti vanno all'amico Bruno Elpis che mi ha incoraggiato nell'intraprendere la lettura di 'apologia di Socrate' scritto da Platone. Uno scritto che per l' argomento trattato non ha età...
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Ricordi, la nascita di un amore
Avevo sedici anni, tanti sogni e ideali per la testa, sentimenti vivi che si agitavano nel cuore. Frequentavo la prima liceo classico. Durante le vacanze di Natale ci fu assegnata la lettura dell’apologia di Socrate, scritta da Platone.
Lessi l’opera in un pomeriggio. Nevicava. In un’atmosfera liliale ebbi il mio primo contatto diretto con la filosofia, quello con la “storia della filosofia” era avvenuto nei tre mesi antecedenti.
Fui folgorato dalla figura del filosofo settantenne (“E’ la prima volta questa, vecchio come sono di compiuti settanta anni, che salgo i gradini di un tribunale”), che non lasciò alcuno scritto e che fece della consapevolezza dell’ignoranza una straordinaria forma di sapienza (“la Pizia rispose che più sapiente di me non c’era nessuno”), dopo aver cercato invano la saggezza tra politici, poeti e artisti.
Mi fece tenerezza sentirlo parlare per bocca dell’allievo Platone, fui incantato dalla forza con la quale Socrate articolò la sua difesa nei confronti dei tre rozzi accusatori (Meleto, Anito e Licone), percepii il senso dell’ingiustizia (che si sarebbe ripresentato negli anni a venire di fronte a ogni vittima dell’ignoranza e dell’intolleranza) nel sentirlo imputato di corruzione della gioventù e di spregio della religione ufficiale (“Socrate è reo, e si dà da fare in cose che non gli spettano: investigando quel che c’è sottoterra e quello che c’è in cielo; tentando di far apparire migliore la ragione peggiore; e questo medesimo insegnando ad altri”). Ne ammirai la fierezza (“Ho anch’io famiglia e figlioli… eppure io nessuno ve ne ho condotto qui per muovere la commiserazione vostra ad assolvermi”) anche nella scelta della pena (rifiutò l’esilio, preferì la morte), fui assalito dalla rabbia per la condanna ingiusta e risicata (“io non immaginavo che ci sarebbe stata una differenza così piccola”) che gli fu inflitta. Fui rapito dalla conclusione dell’apologia: “Ma ecco che è l’ora di andare: io a morire e voi a vivere. Chi di noi due vada verso il meglio è oscuro a tutti, fuori che a Dio”.
Oggi ho riletto quest’opera, perché i primi amori ritornano, a volte prepotentemente, cavalcando le onde della nostalgia che monta sotto il vento sferzante delle idee. Anche oggi nevica, come allora. Ed è la prima neve dell’inverno.
Bruno Elpis