Buchi bianchi
Saggistica
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Buchi neri e buchi bianchi
«Cinque giorni prima, il 10 maggio 1933, nella Opernplatz di Berlino si era celebrato il più grande rogo nazista di libri. Fra i testi bruciati ci sono quelli di Vladimir Majakovskij […] e i libri di e su Albert Einstein. Ottant’anni più tardi, grazie alle idee presenti in quei libri, sappiamo cosa sia il fischio misterioso ascoltato da milioni di americani: è la radiazione emessa dalla materia incandescente che, prima di caderci dentro, vortica furibonda attorno a un colossale buco nero che sta al centro della nostra galassia. Un buco nero grande come l’intera orbita della terra, con una massa quattro milioni di volte la massa del nostro sole.»
Quante volte abbiamo alzato lo sguardo al cielo e siamo rimasti colpiti e conquistati dalle stelle, quante volte la maestosità del cosmo ci ha fatto perdere nei suoi non confini e quante ancora ci siamo chiesti dell’entità dei buchi neri? Tante, tante volte. È un universo tanto vasto quanto complesso, tanto affascinante quanto magico e da scoprire. Ecco allora che ci tuffiamo tra le pagine di “Buchi bianchi” ultima opera di Carlo Rovelli che muove le sue fila partendo dai buchi neri. Eh sì, perché per comprendere cosa sono i buchi bianchi è prima di tutto necessario aver chiaro cosa sono i buchi neri. Buchi neri che sono ancora oggi studiati dalle equazioni di Albert Einstein del 1915, equazioni che ci guidano nei meandri di quel buco in cui ci addentriamo in presenza del nostro Virgilio in forma di formule matematiche. Formule, che si noti bene, dal 1915 ad oggi sono state smentite quanto comprovate. È solo a partire dalla parte più bassa del buco – notare e ricordare che in questo è ancora presente la stella che lo ha provocato – che subentra la fisica quantistica, disciplina che con il suo subentrare ci lascia senza il nostro Virgilio e in balia di un tempo diverso, distorto, incomprensibile e che ci porta ai buchi bianchi.
«Keplero voleva andare a vedere. Andare a vedere, questo è la scienza. Andare a curiosare dove non siamo mai stati. Usando la matematica, intuito, logica, immaginazione, ragionevolezza. In giro per il sistema solare, nel cuore degli atomi, dentro cellule viventi, nelle convoluzioni dei neuroni del nostro cervello, oltre l’orizzonte dei buchi neri… Andare a vedere con gli occhi della mente.»
E se il buco nero trattiene e intrappola, una volta cioè varcato l’orizzonte non ci permette più di uscire e ci attrae con la sua gravità che influisce sul regolare scorrere del tempo, ecco che il buco bianco non è oscurità ma luce, luce che non trattiene ma espelle. Ed ecco ancora che vengono introdotti nuovi concetti quali “i grani di spazio” (quanti di spazio) analoghi ai “grani di luce” (fotoni). Il procedimento tra i due buchi è inverso, un po’ come un calzino rovesciato o un film al contrario. “Stella di Planck” è il nome che normalmente viene attribuito al fenomeno e cioè una stella che sprofonda nel buco nero, ed ancora il suo rimbalzo e infine il buco bianco che tutto fa nuovamente uscire.
«Siamo sempre convinti che le nostre intuizioni naturali siano giuste: è questo che ci impedisce di imparare.»
Ma cosa succede davvero all’interno di un buco nero? Per capirlo bisogna pensarlo come un lungo tubo con in fondo la stella che l’ha generato: il tubo si allunga e si stringe nel futuro si schiaccia su una linea. Dov’è la singolarità? La singolarità è al centro; sta dopo. È questa la chiave, la vera riflessione. Ma come si procede quando i maestri non bastano più e come imparare qualcosa di nuovo quando ancora non lo sappiamo? Andiamo oltre, dobbiamo ingegnarci, imparare.
«Così funziona, credo, anche l’arte migliore. Scienza e arte riguardano la continua riorganizzazione del nostro spazio concettuale, ciò che chiamiamo significato.»
“Buchi bianchi” di Carlo Rovelli è un libro a dir poco affascinante. Si tratta di uno scritto che non mancherà di incuriosire i cuori e gli animi più curiosi ma che sarà anche in grado di coinvolgere il lettore più lontano al mondo scientifico e il tutto in modo estremamente comprensibile anche, dunque, ai non addetti ai lavori. Ma tranquilli, se siete invece più avvezzi alla materia e ne avete maggiore consapevolezza perché magari vi dedicate da tempo a studi inerenti, nelle note sarete appagati della vostra curiosità con approfondimenti ancora più tecnici e in particolar modo composti da linguaggio specifico per gli addetti ai lavori.
«La prima è che conosciamo il passato (non il futuro). Il passato quindi ci appare fisso, determinato. La seconda è che sappiamo decidere del futuro (non del passato). Il futuro. Ci appare aperto, indeterminato. Possibile che differenze così fondamentali fra passato e futuro siano solo accidentali della configurazione delle cose?»
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Buchi bianchi fluttuanti come libellule ...
Confesso subito, prima di iniziare, la mia ignoranza sul tema: salvo un’infarinatura di Fisica al liceo ed un facile esame sulla stessa materia al primo anno di Medicina, gli argomenti che tratta Rovelli sono stati sempre lontani dai miei interessi. L’arrivo della pensione, però, mi ha stimolato, come penso abbia fatto con tanti altri, nello spingermi a curiosare in campi non ancora esplorati: uno di questi è stato la struttura dell’atomo (come conseguenza allo studio della cellula?), con particelle annesse e relativi quanti, e poi, dal piccolo all’immensamente grande, l’universo (anche se Cechov nei Quaderni scriveva che”forse l’universo si trova dentro al dente di qualche gigante”!). Amici cari, qui si rischia di perdersi: dopo 15 miliardi di anni, abbiamo scoperto solo l’altroieri (circa 400 anni fa, merito di Copernico e Galileo)) che la Terra gira intorno al Sole e addirittura solo circa trent’anni fa la Chiesa riconobbe il torto di aver allora condannato l’incolpevole Galileo. E poi, tutto un susseguirsi di inebrianti scoperte: le galassie che fuggono, la velocità di espansione dell’universo e la relativa costante di Hubble, le migliaia di stelle della nostra galassia (noi siamo, pianeti e Sole compresi, un insignificante puntino periferico), per non parlare del famoso big bang iniziale sul quale discutono anche i ragazzini delle elementari. Anche i misteriosi buchi neri sono ormai una realtà, dimostrata e osservata, come ci racconta Rovelli: corpi celesti di ogni dimensione con gravità talmente elevata da non lasciar uscire neppure la luce. Ma Rovelli ha un’intuizione: la possibilità che teoricamente possano esistere anche i buchi bianchi, esponendoci una ricerca sull’argomento nel suo ultimo saggio, “Buchi bianchi”.
Il saggio inizia con le ricerche sui buchi neri, dall’esame del loro orizzonte all’ingresso negli stessi, un lungo imbuto fino al massimo della gravità, dove il tempo scorre più lento. E’ l’occasione per ricordare che in montagna (più lontana dal centro della terra, quindi gravità meno forte) il tempo scorre più veloce (ovviamente si tratta di millesimi di secondo!) rispetto al livello del mare (gravità più forte), ove il tempo scorre più lentamente. Concetti non facili per un profano: e Rovelli giustamente ammonisce che proprio la convinzione che le nostre intuizioni naturali siano giuste ci impedisce di imparare. Bisogna imparare (lo sosteneva anche Galileo!) a disimparare! In fondo al buco nero la gravità che, afferma Rovelli, è una distorsione dello spazio-tempo, è massima e il tempo scorre lentissimo.
Quando Rovelli comincia a trattare i cosiddetti buchi bianchi, introduce oltre alle proprietà quantistiche di spazio e tempo, anche altri concetti: ad esempio i “grani di spazio” (quanti di spazio) analoghi ai “grani di luce” (i fotoni), con tanto di regole matematiche delle teorie quantistiche. Dal buco nero a quello bianco, c’è un procedimento inverso: è come girare un film al contrario. “Stella di Planck” è il nome che si dà all’intero fenomeno: la stella che sprofonda nel buco nero, il rimbalzo, il buco bianco “fino a che tutto esce di nuovo”.
Questo passaggio è stato studiato in forme diverse, non ci sono certezze, solo la convinzione di “avere in tasca la verità”.
Rovelli si dilunga poi sulla “informazione” contenuta in un buco nero e sul fatto che, quando la stella rimbalza in buco bianco, questo risulta più piccolo, non ha energia per crescere e finisce per sparire.
E se, conclude l’autore, la famosa “materia oscura”, quella misteriosa polvere invisibile che pullula nell’universo, fosse costituita da miliardi di piccoli buchi bianchi che “ribaltano il tempo dei buchi neri e fluttuano lievi nell’universo come libellule …” ?
Così finisce il saggio di Rovelli. Se nella prima parte dedicata prevalentemente ai buchi neri ci ho capito qualcosa, nella seconda, quasi tutta teorica e avvolta, almeno per me, nel mistero e rivolta soprattutto a chi ha nozioni non superficiali di fisica quantistica e astronomia, ho solo avuto intuizioni fuggevoli: resta il fascino di nozioni ancora tutte da approfondire e verificare e lo stupore per chi si dedica con entusiasmo e dedizione alla ricerca.
Lo stile è scarno, privo di sottigliezze: Rovelli scrive come parla, senza maiuscole e con punteggiatura approssimativa. Si esprime con la mente e con il cuore, con frequenti richiami danteschi e con l’entusiasmo di chi ha dedicato e dedica tutta la vita agli argomenti che tratta.