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Mark Rowlands ha corso e si è allenato per gran parte della sua vita: per lui, filosofia e corsa sono strettamente legate. Alla soglia dei cinquant'anni, alle prese con una crisi di mezz'età e con una maratona imminente per cui non si è allenato, Rowlands si trova a ripensare alle sue corse più memorabili in compagnia del suo inseparabile «branco»: il lupo Brenin, i cani Hugo e Nina, il cucciolo di cane lupo Tess. Ironico e appassionato, Rowlands intreccia ai suoi ricordi le meditazioni che la corsa gli ha ispirato sull'esistenza, l'invecchiamento e la morte. E ci racconta perché farlo a ritmo del suo branco lo ha avvicinato ogni volta all'essenza della natura selvaggia, permettendogli di dimenticare gli obblighi e le sovrastrutture del quotidiano, per riscoprire il valore profondo dell'esistenza: un senso di libertà e pienezza che, ci ricorda, è dentro di noi da sempre.



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Correre con il branco 2016-10-01 05:55:34 AndCor
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AndCor Opinione inserita da AndCor    01 Ottobre, 2016
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Chi ha detto che la corsa è solo attività fisica?

Mark Rowlands è un uomo nato e fatto per la corsa e considera il running come una vera e propria filosofia di vita. Sì, una filosofia, perchè giunge al fatidico traguardo dei cinquant'anni e una violenta crisi esistenziale lo 'costringe' a mettersi alla prova nella maratona di New York. Un polpaccio strappatosi solamente due mesi addietro non è particolarmente d'accordo con l'impresa che l'uomo vuole compiere, ma Rowlands non si dà per vinto e, per evitare di arrendersi ai muscoli fragili e alle giunture tremolanti, ripensa alle corse della vita passata nelle quali era fidamente spalleggiato dal lupo Brenin, dai cani Hugo e Nina e dal cane-lupo Tess. Mai scontato e mai superficiale, Rowlands lega a doppio filo il personale e importante percorso filosofico ai passi fisici della marcia, anestetizzando la mente dalla routine e dalle abitudini quotidiane fino a raggiungere la tanto sospirata meta: non il traguardo concreto della maratona, bensì un senso aulico di pace e libertà che solo il valore intrinseco della corsa può offrire.

In aperto contrasto con l'utilitarismo dell'epoca moderna (ovvero lo 'scuramento del mondo' per Heidegger) e con l'ottimismo pionieristico americano, il saggio si prefigge di (ri)scoprire la gioia insita nella corsa nella sua essenza più pura. "Correre è un luogo del rimemorare. Ed è in questo luogo che ritroviamo il significato della corsa.", con le filosofie centrali di Spinoza, Cartesio, Hume e Sartre, arricchite dai cenni su Wittgenstein, Schlick, Suits, Epicuro, gli edonisti, l'Illuminismo, Schopenhauer e Nietzsche ad accompagnare le capacità cognitive e il fisico di Mark attraverso la montagna gallese Mynydd Maen, la penisola irlandese di Rathmore, la giungla di Miami, la diga del fiume francese Orb e la stessa maratona statunitense e ad analizzare progressivamente il dualismo mente-corpo, il valore effettivo della vita, il disfacimento del proprio Io, la dicotomia inestricabile 'gioco-lavoro', il fine ultimo della corsa e, last but not least, il nichilismo definitivo e inconfutabile della coscienza.

"In questi istanti, la corsa mi sussurra all'orecchio: i suoi sussurri sono i pensieri che vanno e vengono, che spuntano dal nulla e nel nulla si dissolvono. Mi sussurrano una verità che un tempo conoscevo e poi ho dimenticato, come un sogno sfuggito per un soffio oltre i confini della memoria. Sono sussurri di gioia, sussurri di libertà, mi suggeriscono ciò che è davvero importante in una vita come questa, una vita che ci tiene fra le braccia, nudi e morenti. I suoi sussurri mi parlano di quando ero ancora in paradiso.": siamo, dunque, di fronte a manifesto sciovinista "di eventi, occasioni e obblighi" che esalta la bellezza della corsa all'interno di uno spazio in cui cessano gli scopi e in cui la vita ritorna meritevole di essere vissuta.

Un ultimo consiglio: fate sempre in modo di farlo divertendovi.
Fate sempre in modo "di accertarvi, cioè, che sia sempre gioco, mai lavoro."

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