Storia di Cristo
Saggistica
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Il grido dell'innocenza crocefissa
Giovanni Papini, convertito, dopo un furente anticlericalismo, all’annunzio evangelico, con questo libro mette a frutto la sua intensa esperienza spirituale. Lo stile è sempre virulento, improntato ad un impietoso realismo e mordace denuncia, ma in questo caso volto ad accusare il male e a difendere a spada tratta la verità. Colui che si profila in questo libro è un Cristo a tutto tondo, delineato in tutti i suoi molteplici aspetti che riconducono alla carismatica personalità del Messia. Tutti i personaggi che s’intrecciano alla Sua vicenda storica sono immagini speculari che, come in un caleidoscopio, rifrangono ciascuno una sfaccettatura del Signore, il quale è il protagonista principale attorno a cui ruotano le variegate sfumature della miseria umana. Essendo Cristo “Via, Verità e Vita”, infatti, egli diventa l’ineludibile parametro di giudizio per ognuno, verso cui non si può restare neutri, né esimersi dal prendere una posizione, né ammettere mezze misure: come tutti i grandi attira i due estremi, odio o amore. Così, la santità di Gesù mette in luce l’ipocrisia e la meschinità dei farisei, la Sua rettitudine stride con la corruzione di abietti dominatori quali Pilato ed Erode, mentre in ogni incontro d’amore con i diversi volti dell’umanità dolente risalta la misericordia infinita che si china sulla sfinita debolezza della creatura. In questa drammatica dialettica di luce e tenebre si accendono i riflettori su quel “guazzabuglio del cuore umano” (direbbe il Manzoni), ciò che fa eco alla sentenza biblica “un baratro è l’uomo e il suo cuore un abisso” (Sal 63,7), in cui si annida come una serpe quel mysterium iniquitatis che circonda Cristo fin dalla nascita (prefigurato dalla terribile strage degli Innocenti), che lo accompagna passo dopo passo, durante la sua vita pubblica, attraverso le persecuzioni, le calunnie, le contestazioni - in un fosco scenario in cui già si staglia l’ombra lunga della croce che come il serpente di Mosè viene innalzata per guarire l’uomo dai morsi del male -, fino al Calvario. Dinanzi all’innocenza assoluta di Gesù, l’oscuramento morale sembra emergere in tutto il suo potere in quella notte del Getsemani in cui il Salvatore viene consegnato ai nemici, per poi culminare nel grido di estremo abbandono (Elì, Elì, lemà sabactàni?) sull’infame patibolo: “Quasi millenovecent’anni son passati dal giorno che fu gridato quel grido e gli uomini hanno centuplicato i fragori della loro vita per non sentirlo più. Ma nella bruma e nel fumo delle nostre città, nel buio sempre più profondo dove gli uomini accendono i fuochi della loro miseria, quel grido disperato di gioia e di liberazione, quel grido infinito che eternamente chiama ognuno di noi, rintrona nell’anima di chi non ha saputo dimenticare. Cristo è morto. È sulla croce come gli uomini hanno voluto, come il Figlio ha scelto e il Padre accettò. L’agonia è finita e i Giudei sono contentati. Ha espiato fino all’ultimo ed è morto. Ora comincia la nostra espiazione – e non è ancora finita.” Eppure, se “questa è la vostra ora, l’impero delle tenebre” (Lc 22,53), l’ultima Parola sarà dell’Amore, sproporzionato rispetto a quel male scatenato all’ennesima potenza, per quanto il Salvatore l’ha assunto in Sé, in tutto il suo orrore, fino a trasfigurarlo nel Sommo Bene, a tramutare l’umana maledizione, eredità del peccato originale, in benedizione, a commutare l’apparente e provvisoria disfatta della morte nella vittoria autentica ed eterna della Resurrezione. La nostalgia di Colui che solo è smisurato Amore sottentra tra le pieghe del “tragico quotidiano” (per citare ancora Papini), scava in fondo all’abisso melmoso dell’animo umano dove ristagnano i vizi e le pusillanimità, insorge dal buio delle desolazioni e intimi avvilimenti quale anelito di limpida sorgente di purezza e di divina compassione: “Ma noi, gli ultimi, ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto della nostra indegnità e d’ogni impossibile. E tutto l’amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore.”
Indicazioni utili
Storia dell'Uomo
Posseggo la XVII edizione del 1957 di questa opera di Giovanni Papini, un libro che non ha perso la sua grandezza e che riletto a distanza di tanto tempo conserva tutto intatto il suo spessore letterario. Vallecchi riporta in libreria il libro più tradotto del primo Novecento italiano.
Uno dei «libri più entusiasmanti» che siano mai stati scritti sulla figura del Cristo: così ha di recente sottolineato Papa Benedetto XVI, nel suo Gesù di Nazareth. Pubblicato per la prima volta nel 1921 e più volte ristampato fino all’ottava edizione del 1985, “Storia di Cristo”, in libreria dal 29 novembre (Vallecchi, pp. 448; 20 Euro ), considerato il “libro della redenzione” dello scrittore più irriverente del Novecento italiano, ha avuto sin dall’inizio un successo planetario, tanto da essere tradotto in venticinque lingue, tra cui cinese, giapponese, l’arabo e perfino l’esperanto.
Scriveva Papini nella nota al lettore: «Cristo è sempre vivo in noi. C’è ancora chi l’ama e chi l’odia». Nel 1921 l’atto di fede del miscredente Papini giunse inatteso e sorprendente. Come fa notare il Cardinale Ennio Antonelli (nella Presentazione) “E’ impressionante constatare come il grido verso l’Assoluto attraversi la letteratura del ventesimo secolo, anche l’opera di molti autori che a prima vista potrebbero essere catalogati come atei e agnostici. Giovanni Papini, già nella fase della sua ribellione, implicitamente invocava Dio, con tutta la veemenza del suo carattere. La sua ostilità già portava il segno di un’insopprimibile nostalgia. Non si comprende questa “Storia di Cristo” se non si tiene presente che la ricerca dell’autore prende avvio dall’humus culturale di uno scetticismo che, pur brancolando nel buio, non può fare a meno di sentire il richiamo dell’Assoluto”.
Rileggere oggi la prosa di Papini è stato per me un riscoprire non tanto e non solo il valore di una scrittura che cerca di dar forma a contenuti ultraterreni nella figura del Figlio di Dio, quanto anche un ritrovare una forma linguistica nella quale il grande scrittore si cimenta nello stile dei grandi fiorentini della storia.