Il lungo, il corto, il nulla
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Intuizione e cinesi che parlano ai russi
Come si può commentare un libro che si prefigge come obiettivo di spiegare e soprattutto farci capire, o meglio farci intuire noi stessi, la vita, la realtà e il tutto? Intuizione infatti e non comprensione poiché, come lo stesso Osho sostiene nel libro, la comprensione è solo superficiale, influenzata dal nostro ego e per tanto falsa, mentre l’osservazione e la pura intuizione che da essa ne deriva sono vere, anzi scorci del vero che conducono alla Verità, con la V maiuscola.
Come si può dunque mettersi a ragionare su un libro, sul suo obiettivo, sul significato di quella tanto agognata e sfuggevole Verità, se nello stesso libro si mettono in discussione e poi si rifiutano rispettivamente la ragione, gli obiettivi e il significato delle cose? E’ impossibile e dunque qualsiasi commento è superfluo poiché il contenuto del libro è aprioristico rispetto ad ogni possibile recensione, revisione o critica.
Tuttavia in qualche modo bisogna pur parlarne del suo messaggio, certi termini, per quanto dica lui insignificanti e fuorvianti vanno utilizzati, altrimenti come introdurre, spiegare, comprendere (eddai con la comprensione!), intuire volevo dire!, ed eventualmente trasmettere il suo messaggio? Per forza di cose ci si deve abbassare al linguaggio, alle parole, a quel minimo comune denominatore tra gli uomini che è il parlare quotidiano, per quanto foriero talvolta di mal interpretazioni ed equivoci; sì ci si deve “abbassare”, per poter anche solo indicare al lettore neofita il percorso verso la suprema Verità (però…basta una maiuscola al posto giusto e subito ci si sente in obbligo di appesantire la frase con avverbi e superlativi assoluti, il potere delle parole! …ah già, ops!), e per poter presentare al “novizio” il messaggio del grande filosofo, anche se filosofo lui non voleva esser definito (e che cavolo!). Ma facendo uso di quell’arma a doppio taglio, che è la parola, talvolta anche arma di distruzione di massa, allora bisogna fare uso anche del linguaggio, e se si fa uso del linguaggio si fa uso del pensiero e dunque del ragionamento e col ragionamento delle critiche, non se ne scappa… ma ancora come criticare qualcosa che non si può comprendere ma solo intuire, qualcosa che non si può comunicare poiché intima esperienza e rivelazione di un soggetto privo di soggetto? Poiché a questo vuole tendere il suo messaggio, all’annullamento dell’io per armonizzarsi al tutto. (Verrebbe da chiedersi perché uno dovrebbe volere una cosa del genere, ma viene poi da pensare che la volontà e una diretta conseguenza del proprio ego e dunque va ripudiata pure quella… ma è meglio evitare altrimenti non se ne esce più!)
Dunque come criticare qualcosa che è aprioristico a qualunque critica, come recensire qualcosa che non richiede recensioni e non le ammette neppure? Be, capirete il mio imbarazzo e l’imbarazzo di chiunque si ponga come obiettivo la critica al pensiero di Osho. E allora come?
Verrebbe da dire con l'estrapolazione delle singole affermazioni dell’autore dal loro contesto originario: privandole della loro propedeuticità al raggiungimento di una più elevata forma di vita tornerebbero ad essere soltanto frasi, tornerebbero ad essere soltanto normali affermazioni e allora, qualora dal loro confronto nascesse un apparente contrasto logico, si potrebbero finalmente, umilmente, criticare.
Ma Osho, anche in questo caso, avrebbe la meglio sul pensiero del comune lettore spiegando che è naturale contraddirsi enunciando postulati illogicamente consequenziali poiché l'uomo, per sua natura, è un essere in costante evoluzione, che ogni secondo muore a se stesso rinascendo in una nuova forma, che dove c'è contraddizione c'è vita e speranza, dove non c'è cambiamento invece c'è staticità e morte, e dunque è naturale contraddirsi. Ribatterebbe poi anche che il valore principale per ogni singolo essere umano è la libertà e che lui è un essere talmente libero che non si cura nemmeno di contraddirsi. E si ritornerebbe al punto di partenza.
Se uno parla solo cinese e uno parla solo russo non c’è speranza che i due interlocutori si capiscano, salvo, certo, ricorre a gesti, a i segni comuni ed intuibili da entrambi.
Dunque ritorna la domanda: quale può essere in questo, nel caso di questo libro e per estensione di tutto il pensiero di Osho, quel fattore, quel minimo comunue denominatore che ci permette di stare sul suo stesso piano e in tal mondo tentare di criticarlo?
Può essere uno e uno solo, quell’unico che è comune a tutti e a cui neanche le menti più illuminate possono sfuggire: il tempo.
In fondo infatti anche Osho era un uomo, era un essere umano, e come tale è vissuto in un certo tempo, in un determinato periodo di anni… ed ecco la soluzione! Il fattore tempo è l'unico modo per poter rivolgere una critica al suo pensiero.
Purtroppo Osho ha "lasciato il suo corpo terreno" agli inizi degli anni 90, dunque non è potuto venire a conoscenza di tutti quegli avvenimenti e quelle scoperte che si sono susseguite nell'arco degli ultimi trent'anni. Il risultato è qualche innegabile castroneria scientifica e socio-politica, vedasi quando afferma che l'anima entra nell'essere umano quando è ancora un atomo nell'utero materno, o quando afferma che le donne non hanno aspirazioni poiché hanno un numero di atomi pari o quando infine sostiene che l’India e gli indiani non diventeranno mai una potenza economica poiché hanno altri valori e istintivamente sono più portati per il misticismo e la filosofia. Ecco la critica, ecco lo sperone a cui aggrapparsi: anche lui, come ogni altro essere, doveva fare i conti col tempo.Per il resto è inattaccabile su tutta la linea. (A onor del vero verrebbe da osservare che di tanto in tanto si concede eccessivamente al qualunquismo, o per usare un espressione molto in voga in questo periodo, alla demagogia, ma si rischierebbe di ricadere nell’errore di prima, di valutare cioè qualcosa che di per se, secondo lui, non ha alcun valore, e il cinese ricomincerebbe a parlare cinese al russo…dunque è meglio tralasciare.)
In sostanza, in somma, poiché e vero come sostiene Lui che tutti noi abbiamo la capacità e la facoltà di elevarci al rango di “illuminati”, ma finché non ci riusciamo siamo pur sempre dei pinco pallini qualunque, e per tanto abbiamo bisogno di parlare, ragionare e capire se un libro vale la pena di leggerlo o no, in sostanza, dicevo, è stupendo, rilassante, divertente, gioioso, rassicurante e talvolta a dir poco illuminante (Illuminante, ma dai? Non l’avrei mai detto!) leggere Osho, finché però rimane sugli “argomenti di cui è esperto”, quando si occupa di materia d'altri, facendo sfoggio di un eccessivo attaccamento al suo tempo e di una malcelata ignoranza, si può solo sorridere bonariamente. Oltre a questo non si può dire nient’altro se non: leggete e comprend… intuite!
Aggiungo soltanto a mo di nota che questo resta comunque un libro dall'inizio leggermente ostico e dunque sconsigliato a chi affronta queste tematiche per la prima volta.
Assolutamente inspiegabile infine la traduzione italiana del titolo che letteralmente sarebbe: "Il lungo, il corto, il tutto".