Stai zitta Stai zitta

Stai zitta

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Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva. Se si è donna, in Italia si muore anche di linguaggio. È una morte civile, ma non per questo fa meno male. È con le parole che ci fanno sparire dai luoghi pubblici, dalle professioni, dai dibattiti e dalle notizie, ma di parole ingiuste si muore anche nella vita quotidiana, dove il pregiudizio che passa per il linguaggio uccide la nostra possibilità di essere pienamente noi stesse. Per ogni dislivello di diritti che le donne subiscono a causa del maschilismo esiste un impianto verbale che lo sostiene e lo giustifica. Accade ogni volta che rifiutano di chiamarvi avvocata, sindaca o architetta perché altrimenti «dovremmo dire anche farmacisto». Succede quando fate un bel lavoro, ma vi chiedono prima se siete mamma. Quando siete le uniche di cui non si pronuncia mai il cognome, se non con un articolo determinativo davanti. Quando si mettono a spiegarvi qualcosa che sapete già perfettamente, quando vi dicono di calmarvi, di farvi una risata, di smetterla di spaventare gli uomini con le vostre opinioni, di sorridere piuttosto, e soprattutto di star zitta. Questo libro è uno strumento che evidenzia il legame mortificante che esiste tra le ingiustizie che viviamo e le parole che sentiamo. Ha un'ambizione: che tra dieci anni una ragazza o un ragazzo, trovandolo su una bancarella, possa pensare sorridendo che per fortuna queste frasi non le dice più nessuno.



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Stai zitta 2021-08-31 13:32:13 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    31 Agosto, 2021
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…e non sono solo parole!

“Stai zitta: e altre nove frasi che non vogliamo sentire più” è stata una lettura interessante. Su audible, avete la possibilità di ascoltarlo dalla voce della stessa scrittrice e vi assicuro che non c’è modo di distrarsi: il tono è proprio come la penna di lei. Graffiante, duro, incisivo e chiaro.
Come per il monologo della Cortellesi, in occasione del David di Donatello 2018, sul significato delle parole maschili declinate al femminile, anche in questo caso possiamo dire che…non sono solo parole.
Come ho avuto modo di leggere altrove, in altri libri sulla tematica della disparità di genere, il linguaggio è importante, è veicolo di cultura, è specchio di una mentalità

“Il linguaggio è una infrastruttura culturale che riproduce rapporti di potere”

Attraverso brevi capitoli titolati che incarnano anche espressioni stereotipate entrate nel nostro linguaggio comune, l’autrice ci mostra come certe espressioni rivelino in realtà, senza neppure nasconderle, vere discriminazioni sessiste e tentativi di sminuire il potere, le capacità, l’importanza di una donna che abbia qualche ruolo di rilevanza in gli ambito sociale, politico o economico.

L’utilizzo, ad esempio, del nome di battesimo o di soprannomi e non del titolo culturale/ruolo politico economico di quella donna “Virginia, Giorgia, Elena…” per indicare “sindaca”, “onorevole”, “dottoressa”, ecc.
Per i giornali italiani è impossibile utilizzare per le donne il cognome (senza farlo precedere dall’articolo determinativo) o il titolo professionale. È un modo come tanti altri che la giornalista ci illustra, per sminuire il potere delle donne.

Addirittura, l’utilizzo di diminutivi, di soprannomi, (la Merkel accetta di farsi chiamare “Mutti”, mamma) serve per

“Ridurre la distanza simbolica, ispira paternalismo (…) diminuisce l’autorevolezza della funziona ricoperta”

e rende più umane, più avvicinabili, donne che, come gli uomini si distinguono per qualche merito. Un trattamento di familiarità non richiesto.
Ma in Italia, dice l’autrice, una donna capace, piena di talenti, “una donna che comanda è un evento eccezionale che appartiene al fiabesco mondo del fantasy”.

Se si vuole attivare una rivoluzione culturale, bisogna cominciare dal linguaggio. È in quest’ottica che la denuncia della Murgia ha senso, al di là di ogni critica che le si potrebbe muovere. Le idee sono in sostanza ben condivisibili, anche se, a mio parere, in certi passaggi, ho rilevato qualche punta di esagerazione e di radicalismo che mi ha lasciata alquanto perplessa.

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